Rialto   IdT

10.47

 

   

Aimeric de Pegulhan

 

 

 

 

   
   

I.

   
   

Ses mon apleich    non vau ni ses ma lima,

  Non vado in giro senza la mia pialla e senza la mia lima, con cui forgio le parole, e le levigo e le limo, poiché io non vedo opera sottile e fine di alcun tipo che sia più sottile e più fine della mia, né operaio più avveduto nel comporre versi preziosi né uno che sappia spezzare le sue parole di più o rimarle meglio. Tuttavia, credetemi, mi trovo nel tormento d’amore al punto tale che non mi difendo, e non mi aiuta difesa.
   

ab que fabreich    motz, et aplan e lim,

 
   

car ieu non veich    d’obra sotil ni prima

 
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de nuilla leich    plus sotil ni plus prim,

 
   

ni plus adreich    obrier en cara rima

 
   

ni plus pesseich    sos digz ni mieills los rim.

 
   

Mas el destreich    d’amor tant no m’escrim

 
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sui, fe que·us deich,    e no m’en val escrima.

 
   

 

   
   

II.

   
   

Si per merce    fetz Amors apercebre

 

Se per intercessione Amore facesse prestare attenzione alla bella, che non si accorge delle mie preghiere, affinché si degnasse di ricevermi come servitore, farebbe molto bene, ma lei sbaglia perché non mi riceve. Non so per quale ragione mi uccide e vuole ingannarmi, giacché continuo ad avere fedeltà salda in lei quanto più mi inganna; non ha pietà in sé se non ne prende in prestito, ma confida nell’orgoglio, cosicché non le interessa prenderne in prestito.

   

la bella, que    mos precs non apercep,

 
   

que deignes me    per servidor recebre,

 
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mout feira be,    e faill car no·m recep.

 
   

Non sai per que    m’auci ni·m vol decebre,

 
   

que bona fe    l’ai on plus mi decep;

 
   

non a en se    merce, si no·n soisep,

 
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mas orguoill cre,    que no·n li cal soisebre.

 
   

 

   
   

III.

   
   

Ben es d’amor    voja e de merce sema,

  È del tutto priva di amore e manchevole di misericordia, povero me! Perché io piango? Perché mi ha privato il cuore di gioia, dal momento che non mi soccorre, anzi si allontana e se ne va da me, giacché vuole che mi trasferisca altrove e me ne vada. Non ha paura e non trema neppure un poco per il dolore che mi fa fremere e tremare, sicché io provo una sofferenza maggiore e ho l’impressione di ardere di più, perché della viva passione che mi brucia ella non arde.
   

las! Per q’ieu plor?    Que·l cor m’a de joi sem,

 
   

que no·m socor,    anz si loigna e s’estrema

 
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de mi, c’aillor    vol qe·m mut e m’estrem.

 
   

Non a paor    ni tant ni cant non trema

 
   

de la dolor    don ieu fremisc e trem,

 
   

per q’ai major    mal e·m par que plus crem,

 
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car de l’ardor    que m’art ella non crema.

 
   

 

   
   

IV.

   
   

Tant doussamen    mi ven nafrar e poigner

 

Tanto dolcemente viene a ferirmi e a pungermi che io non sento ciò e non so con che cosa mi punga, poi senza unguento medicamentoso mi sa guarire e ungere, con un affabile sguardo: ecco a voi come mi unge; e congiunge il mio senno con la mia volontà, poiché di un’intenzione sola li trovo che li lega e li fonde, sicché correndo vengo verso lei da cui mi allontano, tanto promette lentamente e più a lungo sottrae.

   

q’ieu non o sen,    ni no sai ab qe·m poing,

 
   

puois ses onguen    mi sap garir et oigner

 
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ab un plazen    esgart: ve·us ab que m’oing;

 
   

que fai mon sen    ab ma voluntat joigner,

 
   

que d’un talen    los trob qe·ls lia e·ls joing,

 
   

per qu’eu corren    venc vas lieis don mi loing

 
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tant promet len    e fai de loignor loigner.

 
   

 

   
   

V.

   
   

Senes manjar,    dompna·m poiriatz paiser,

 

Senza cibo, signora, potreste nutrirmi col parlare gentile, giacché il cortese discorso mi nutre; con lo schivarmi mi fate arrabbiare, sicché non bisogna biasimarmi se mi arrabbio. Persino l’ingrassare ho perso, perché io dovrei essere più grasso. Per nessun’altra faccenda mi viene meno la carne e il grasso; e se in voi non nasce pietà con le mie preghiere sarebbe meglio che non foste mai nata!

   

ab gen parlar,    qe·l cortes digz mi pais;

 
   

c’ab esqivar    mi tornatz en iraisser

 
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per c’om blasmar    no·m deu s’ieu m’en irais.

 
   

Neis l’engraissar    en pert, q’ieu fora graisser.

 
   

Per autr’afar    no·m fail la carns ni·l grais;

 
   

e s’ab prejar    en vos merces no nais,

 
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fora·m so·m par    mieils que fossetz a naisser!

 
   

 

   
   

VI.

   
   

Ab doutz esgar    sap sos vezedors paiser

 

Con un dolce sguardo e con l’onorare sa nutrire coloro che la vedono, Donna Emilia, che gioia nutre, giacché tiene caro l’onore e il pregio, che con lei rinasce, e sostiene il corteggiamento e lo fa resuscitare quando è morto.

   

et ab honrar,    N’Emilla, cui jois pais,

 
   

c’onor ten car    e pretz, c’ab lieis renais,

 
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e dompnejar    soffr’e·l fa mort renaisser.

 

 

 

 

Testo: Francesca Sanguineti, Rialto 18.x.2016.


1-8. Sulla particolare tipologia degli incipit metapoetici, di cui questo di Aimeric costituisce un interessante esemplare, si veda Francesca Sanguineti e Oriana Scarpati, «Comensamen comensarai: per una tipologia degli incipit trobadorici», Romance Philology, 67, 2013, pp. 113-138, alle pp. 118-121.

9. De Bartholomaeis stampa Si per merce / fezes Amors percebre. In questo caso, invece, si è scelto, come già suggerito da Shepard, di optare per la lezione di C(P)RUc, dal momento che l’impiego del rim derivatiu, e quindi il successivo apercep in rima, fa ritenere scorretta la variante altrimenti adiafora di ADIKNQ.

31-32. Luogo del testo spinoso e di difficile interpretazione. Shepard, «Two Derivative Songs», p. 307, traduce «wherefore I come running toward her from whom I depart. She makes such smooth promises and makes one depart from further away (brings one back from a distance)»; Shepard - Chambers, The poems of Aimeric, p. 224, «Therefore, I come toward her hastily, toward her from whom I remove myself, for she makes such smooth promises and makes one depart from farther away (brings one back from a distance?)». Le traduzioni offerte da Shepard in entrambe le sedi risultano affini e pressoché identiche, dal momento che len è interpretato come len/lene ‘dolce, dolcemente’ e lonher è considerato come un neologismo o meglio come una variante di lonhar qui introdotta da Aimeric per salvaguardare la rima. Per quanto concerne invece l’espressione loigner de loignor, Shepard chiarisce in nota la propria proposta interpretativa: «I take as a conceit (“go far from farther”) meaning “come nearer”, quite in keeping with the affected taste of the whole piece» (Shepard - Chambers, The poems of Aimeric, p. 225). Riguardo a tale interpretazione, il coeditore Chambers precisa di non trovarla perfettamente convincente, ma finisce comunque con l’accoglierla in assenza di soluzioni migliori. D’altra parte, per loignor Levy, che riporta il significato «länger», segnala che l’accezione non è in quest’occorrenza molto chiara (SW, IV:438). In effetti, pur condividendo con Shepard la giusta osservazione che lonher sia qui dettato da ragioni rimiche, ritengo che la soluzione più accettabile consista nell’interpretare il più possibile alla lettera questi due versi. Innanzitutto, infatti, al v. 29 e al v. 32 sembra che il verbo faire seguito da infinito sia impiegato in una perifrasi pleonastica che dal punto di vista semantico equivale al verbo semplice (Frede Jensen, Syntaxe de l’ancien occitan, Tübingen 1994, § 419). Proponiamo, inoltre, di attribuire a de loignor il senso letterale di ‘più a lungo, per molto tempo ancora’ e interpretiamo len come ‘lentamente’ in opposizione a corren e fai loigner come ‘allontana, separa, distacca’ in opposizione a fai joigner ‘congiunge, unisce, avvicina’. Partendo da questi spunti interpretativi sembrerebbe possibile leggere in questi versi un velato impiego della tecnica de oppositis, che si svilupperebbe attraverso le seguenti coppie oppositive: sen / voluntat, joigner / loigner, corren / len.

37-38. Ricorre il topos dell’innamorato emaciato, la cui magrezza è legata alle pene d’amore. Si tratta di un motivo particolarmente caro alla lirica amorosa classica e presente soprattutto negli elegiaci latini e in Ovidio (Her. XI, 27-28 e Ars. I, 729 e sgg.), anche se qui sembra reimpiegato in chiave burlesca.

42. La dedica contenuta in tornada è rivolta a N’Emilla, in cui va riconosciuta Emilia di Ravenna. Su Emilia si veda Fritz Bergert, Die von den Trobadors genannten oder gefeierten Damen, Halle 1913, pp. 76-77. Secondo Francesco Torraca, Le donne italiane, p. 52, n. 2, proprio questo invio proverebbe una conoscenza diretta dei Traversara da parte di Aimeric nonché un’ospitalità gentilmente offerta al trovatore. Per approfondimenti ulteriori si rimanda alle Circostanze storiche.

[FS]


BdT    Aimeric de Pegulhan    IdT

Testo   Circostanze storiche