Rialto    IdT

16.2

 

   

Albertet

 

 

 

 

   

I.

   

Ab son gai e leugier

   

vuoill far gaia chansso,

   

car de gaia razo

   

son miei gai cossirier,

5  

per qu’es dreigz q’ieu retraia

   

chansson coinda e gaia,

   

que mon cor e mon sen

   

e mon entendemen

   

ai mes en la genssor;

10  

mas non preza mon mal ni ma dolor.

   

 

   

II.

   

E doncs per que l’enqier,

   

puois no·i conosc mon pro?

   

Partirai me·n? Ieu no,

   

c’om esforcius conqier,

15  

per q’es fols qui s’esmaia

   

e qui no se n’essaia

   

ad amar autamen;

   

car ben aven soven

   

c’om conquier en amor

20  

ab ardimen trop mais que ab paor.

   

 

   

III.

   

Et auria·m mestier

   

q’ieu esgardes sazo

   

a dir so qe·il fos bo

   

e que del desirier

25  

en que m’a mes mi traia.

   

Ai!, cals paors m’esglaia

   

d’una vilana gen,

   

que fant bruich de nien!

   

Per q’ieu mi gart de lor,

30  

qu’ill no metan el mieu parlar error.

   

 

   

IV.

   

Aissi co·il mainadier

   

qe·is geton a bando

   

per faire gran preiso,

   

ai mes mon cor entier

35  

en la soa manaia

   

per far tot so qe·il plaia;

   

e pois a lieis mi ren,

   

aia·n bon chausimen

   

e no·i gart sa ricor,

40  

c’aissi pot far de mon bon cor meillor.

   

 

   

V.

   

Chanssos, part Balaguier

   

te·n vai ad espero,

   

al bon rei d’Arago,

   

q’el a fin pretz entier

45  

e voluntat veraia

   

e non cre gen savaia,

   

anz sap far bonamen

   

faitz de bon rei valen,

   

per qe·il gran e·il menor

50  

van issausan son pretz e sa valor.

   

 

   

VI.

   

La pro comtessa gaia

   

de Savoia, car gen

   

manten pretz e joven,

   

sal Dieus e sa lauzor

55  

e Monferrat e·l marques mon seignor.

 

 

Traduzione [FS]

I. Con una melodia gaia e leggera voglio fare una gaia canzone, perché da una gaia circostanza discendono i miei gai pensieri, sicché è giusto che io componga una canzone graziosa e gaia, visto che ho riposto il mio cuore, il mio senno e il mio intendimento nella più gentile che esista; ma lei non tiene conto del mio male né del mio dolore.

II. E allora per quale motivo ricerco il suo amore, dal momento che non trovo in esso il mio vantaggio? Me ne allontanerò? No di certo, perché chi insiste riesce nel risultato, per cui è folle chi si perde d’animo e chi non osa amare una persona posta in alto; giacché ben spesso accade che in amore si ottiene con il coraggio molto più che con la paura.

III. E mi sarebbe necessario trovare l’occasione di dirle ciò che le tornasse gradito e che mi traesse fuori dal desiderio in cui mi ha messo. Ah!, quale paura provo per certa gente villana, che fa rumore per niente! Sicché io mi guardo da loro, affinché non guastino il mio parlare.

IV. Così come i mercenari che si lanciano a capofitto per fare un gran bottino, io ho messo tutto il mio cuore nel suo potere così da fare tutto quanto le piaccia; e poiché mi rendo a lei, abbia per questo una benevola pietà nei miei confronti e non tenga in ciò conto della sua nobiltà, perché così può rendere migliore il mio buon sentimento.

V. Canzone, vattene velocemente oltre Balaguer, presso il valoroso re d’Aragona, che ha fine pregio perfetto e ferma volontà e non crede alla gente malvagia, anzi sa eseguire bene i compiti di un buon re valente, sicché i potenti e i comuni mortali vanno esaltando il suo pregio e il suo valore.

VI. Che Dio protegga la nobile contessa gaia di Savoia, perché gentilmente mantiene pregio e giovinezza, e la sua fama e il Monferrato e il marchese mio signore.

 

 

 

Testo: Sanguineti 2012. – Rialto 11.vi.2015.


Mss.: A 54v, C 236v, D 76v, Dc 256r (solo il v. 1 e i vv. 11-20), E 93, R 20v, Sg 41v, T 129v, a2 442.

Edizioni critiche: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. I, p. 220 (estratti di testo secondo la lezione del ms. A); Jean Boutière, «Les poésies du troubadour Albertet», Studi medievali, 10, 1937, pp. 1-129, a p. 35; Francesca Sanguineti, Il trovatore Albertet, Modena 2012, p. 89.

Altra edizione: Jaume Massó Torrents, «Riambau de Vaqueres en els cançoners catalans», Anuari de l’Institut d’Estudis Catalans, 1, 1907, pp. 414-462, a p. 431 (edizione interpretativa di Sg).

Metrica: a6 b6 b6 a6 c6’ c6’ d6 d6 e6 e10 (Frank 592:66). Cinque coblas unissonans di dieci versi ciascuna, tutti senari, tranne l’ultimo che è decenario, più una tornada di cinque versi. Rime: -er, -o, -aia, -en, -or. Nella prima cobla l’aggettivo gai e il corrispondente femminile gaia ricorrono ai vv. 1, 2, 3, 4, 6, per cui si può riscontrare un principio di coblas refranchas.

Note: Canzone di argomento cortese, la cui datazione ha suscitato pareri diversi tra gli studiosi. Partendo dalle allusioni e dalle proposte di identificazione dei personaggi storici menzionati, Boutière, che ritiene si tratti del primo pezzo lirico composto da Albertet in Italia, lascia desumere come data approssimativa il 1210 (cfr.  Boutière, «Les poésies», pp. 14-15). L’editore francese individua infatti nel re d’Aragona Pietro II il Cattolico, morto nel 1213, e nel marchese di Monferrato Guglielmo, la cui successione a Bonifacio I avvenne nel 1207, dopo la morte di quest’ultimo mentre era crociato in Oriente. Mario Giangrande, L’opera di Albertet de Sisteron e la sua posizione nella poesia provenzale, Lanciano 1986, p. 18, fissa il terminus ad quem intorno al 1215, anno di tensioni tra le case di Savoia e Monferrato, sicché difficilmente il trovatore avrebbe realizzato alla corte di Monferrato un pezzo lirico contenente l’elogio alla nobile contessa di Savoia (vv. 51-54). De Bartholomaeis considera invece la data molto incerta, ma suggerisce come termine ante quem il 1220 (anno delle nozze di Beatrice di Savoia, in cui identifica la pro comtessa gaia del v. 51) e come termine post quem il 1213 (anno dell’ascesa al trono di Giacomo I, in cui riconosce il bon rei d’Arago del v. 43). Sulla base di una più attenta ricostruzione cronologica dei componimenti del trovatore, e tenendo conto di alcune osservazioni fatte da Saverio Guida, la canzone può in realtà essere datata tra la fine del secolo XII e gli inizi del XIII, a partire innanzitutto dall’identificazione del marchese di Monferrato in Bonifacio I, morto nel 1207; cfr. Saverio Guida «Trovatori provenzali in Italia: chiose al partimen tra Albertet e Peire (BdT 16,15)», Revista de Literatura Medieval, 21, 2009, pp. 173-193, alle pp. 177-179. Tale marchese è definito al v. 55 mon seignor, definizione che lascia presupporre una stesura della canzone nel milieu culturale della corte del Monferrato. Diversamente, Guida ipotizza che la composizione della canzone sia avvenuta a Tolosa, non distante cioè dal regno catalano-aragonese e pertanto in un ambiente favorevole all’encomio di Pietro II, al quale è indirizzato il pezzo; cfr. Saverio Guida, «Questioni relative a tre partimens provenzali (BdT 388,1; 16,17; 75,5)», Cultura neolatina, 68, 2008, pp. 249-309, alle pp. 258-259.

41. Balaguier indica la località situata, venendo da est, sulla strada di Saragozza, dove probabilmente si trovava il re.

43. Nell’ultima cobla Albertet si rivolge alla canzone indirizzandola a un valoroso re d’Aragona. Secondo Boutière, «Les poésies», p. 14, il buon re d’Aragona andrebbe identificato in Pietro II, detto il Cattolico e regnante fino al 1213, presso il quale Albertet avrebbe forse soggiornato prima di arrivare in Italia. De Bartholomaeis e Giangrande, L’opera di Albertet, p. 16, n. 46, ritengono invece che si tratti del figlio Giacomo I, tenendo conto della sua maggiore liberalità nei riguardi dei trovatori. Come rilevato anche da Saverio Guida, l’ipotesi di identificazione fatta da De Bartholomaeis e Giangrande è in realtà dovuta alla sottovalutazione del ruolo di protettore esercitato da Pietro il Cattolico, in cui va pertanto riconosciuto il sovrano aragonese dedicatario della canzone (cfr. Guida, «Questioni relative a tre partimens», p. 256, n. 22).

44-46. Breve elogio del re d’Aragona, dedicatario del testo, che è depositario di virtù e ferma volontà. Particolarmente interessante è il v. 46, in cui ritorna il motivo dei maldicenti (gen savaia), già sviluppato al v. 27. Viene infatti sottolineato che il re non presta credito a quanto dice la gente malvagia.

51. Nella tornada il poeta celebra una nobile e gaia contessa di Savoia, sulla cui identificazione disponiamo di pareri diversi. Secondo Boutière, «Les poésies», p. 14, e Giangrande, L’opera di Albertet, p. 17, si tratta della moglie del conte Tommaso I (1189-1233), Margherita, mentre De Bartholomaeis ritiene che l’elogio sia rivolto alla figlia del conte, Beatrice, qui menzionata prima che divenisse contessa di Provenza sposando Raimondo Berengario IV nel 1220. Albertet attribuisce a questa contessa, in cui va probabilmente riconosciuta la moglie e non la figlia di Tommaso I, la capacità di conservare in vita due principali valori cortesi: pretz e joven. Boutière, proprio a partire dai personaggi citati, immagina che questa canzone sia stata composta al momento dell’arrivo nel Monferrato, dopo il soggiorno del trovatore nelle corti di Aragona e di Savoia.

55. Nel verso conclusivo della tornada viene menzionato l’ultimo personaggio storico presente nella canzone. Boutière, «Les poésies», p. 15, riconosce nel marchese di Monferrato il figlio di Bonifacio I, Guglielmo, partendo dal presupposto che l’identificazione con Bonifacio I risulterebbe problematica sulla base della ricostruzione cronologica da lui stesso operata dei componimenti del trovatore. Come però è stato dimostrato da Guida, la ricostruzione effettuata dall’editore francese risulta in più casi discutibile e parecchi sono gli indizi che orientano verso una retrodatazione dell’attività poetica di Albertet (cfr., in particolare, Guida, «Trovatori provenzali in Italia», pp. 177-179). Partendo da questi presupposti, l’identificazione del marchese di Monferrato con Bonifacio I, morto in un combattimento contro i Bulgari nel 1207, non comporterebbe alcuna difficoltà con la possibile datazione della canzone, che è una delle più antiche poesie di Albertet pervenuteci.

[FS]


BdT    Albertet   IdT

Circostanze storiche