Note al testo

 

2. Correggo in o·l la scrizione el del manoscritto, conservata invece da Suchier e di per sé non insensata (= e·l), ma che allenta il legame sintattico e concettuale con l’incipit: lo scambio o/e, paleograficamente facile, può essere stato incoraggiato dalla comparsa di el (= e·l) poche parole dopo. – bon foc clar: fuoco ‘chiaro’ perché non fa fumo, o perché ottenuto con legno di faggio, come nella scena abbastanza simile evocata da Bertran de Born in BdT 80.19 vv. 1-4, cfr. nota 3 alla Premessa (v. 3: «e·l focs fos clars cum de fau»)? – Di vi fort parla già Guglielmo IX, in BdT 183.4 v. 20. – Con bon foc clar e vin fort, soggetti privi del segnacaso, inizia un disordine flessivo che, seppure non interessa le rime, non sembra tutto giustificabile con accidenti di copiatura ma in buona misura connaturato al testo: nel v. 3 il soggetto bels mantils è a norma se inteso come singolare, ma pan blanc manca nuovamente del segnacaso, come poi, nel v. 5, çarn; nel v. 6 gras capons potrebbe essere sogg. sing. di m’abellis, ma, coordinato con ocas, pare plurale. – Sulla forma seia, richiesta dalla rima in luogo di sia del manoscritto, cfr. Luciana Borghi Cedrini, «La lingua dei trovatori fra grammatiche e edizioni», in «Ab nou cor et ab nou talen». Nouvelles tendances de la recherche médiévale occitane, Colloque international AIEO L’Aquila, 5-7 juillet 2001.

3. bel’osta: trattandosi di un contrafactum da Guillem de Berguedan, viene subito da pensare all’osta, ‘albergatrice’ od ‘ospite’, che è protagonista di sfrenati giochi erotici nelle strofe parallele, e sicuramente correlate, d’un testo di quel trovatore (BdT 210.6b cc. IV, V) e di uno di Guillem de la Tor (BdT 236.10), nel quale è chiamata, al v. 9, bel’osta (sui rapporti fra i due testi cfr. Giuseppe E. Sansone, «Guilhem de Berguedan e Guilhem de la Tor: plagio?», in La filologia romanza e i codici. Atti del Convegno Messina - Università degli studi - Facoltà di lettere e filosofia 19-22 dicembre 1991, Messina 1993, II, pp. 649-61).

4. bels mantils: Paul Meyer, Guillaume de la Barre, roman d’aventures par Arnaut Vidal de Castelnaudari, Paris 1895, Glossaire, p. 182, registra mandils del romanzo (v. 351) come «nappes ou serviettes», avvertendo che in Flamenca i mandil sono usati per asciugare le mani (v. 509: «dels mandils on ensugo·ls mans»), ma che anche la tovaglia poteva servire a questo scopo, e che l’antico francese mantil poteva anche designare altra cosa che la tovaglia e il tovagliolo. Bisognerà vedere in t della nostra voce un francesismo o un italianismo? (cfr. anche ocas del v. 6).

5. perdis: l’evoluzione -tz > /s/ attestata dalla rima con 6 abellis è tutt’altro che infrequente nella lirica trobadorica.

5-6. Il menu è particolarmente ricco, giacché comprende sia la più usuale carne bovina sia quelle più pregiate di volatili: i due tipi di carne sono invece contrapposti nelle due coblas anonime BdT 461.127 vv. 9-12: «Sol qe m’aiut la vach’e·l vins e·l pans / a tot [l]o[s] bon[s] es als autres cortes / las las gruas e·ls denitos cores / auchas perdriz e lebres e fassans» (ed. Paola Allegretti, «Parva componere magnis. Una strofa inedita di Bernart de Ventadorn (BdT 70,33) e due schede per BdT 461,127», Rivista di Studi testuali, 1, 1999, pp. 9-28, a p. 16).

6. gras capons et ocas: cfr. in BdT 422.2 = 192.1a v. 22 «raustir un gras capon», nel mottetto antico-francese richiamato per la nostra cobla da Suchier (si veda la nota 5 alla Premessa), «les gras chapons mangier»; «gras capons ne grosses oches» si trovano abbinati nel v. 14 della dansa anonima oscena non-BdT 461.27b, dove compaiono diversi francesismi e dove secondo Gerald A. Bond, «The Last Unpublished Troubadour Songs», Speculum, 60, 1985, pp. 827-49, a p. 834, oches sarebbe un ibrido tipicamente pittavino tra l’occitanico auca e l’oitanico oes. Nella nostra cobla, ocas con o da AU secondario potrebbe però anche essere un’eco italiana.

7-8. Suchier, nella nota al v. 8 (p. 555), affermava: «verstehe ich nicht. Ist complida = completa ‘Abendgebet’? Man erwartet complit», ma non diceva come intendesse can ven a la partida del v. 7: forse, considerando che il mottetto antico-francese pone come ultimi desiderabilia «les des et le tablier sans tencier», pensava a ‘quando si passa alla partita (al gioco di dadi)’. Tuttavia il confronto con vari passi trobadorici (BdT 234.9 vv. 35-6 «e meynhs n’aurai, so cug, a la partia / qu’al comensar», BdT 41.1 v. 48 «e donar t’a rossin a la partida», BdT 47.6 v. 14 e 374.1 v. 4 «can ven al partir») induce a preferire ‘quando si arriva alla conclusione (del pasto), al momento di andarsene’, anche perché non far raxon del v. 8 può ben significare, come ha proposto Karl Bartsch recensendo il lavoro di Suchier (Zeitschrift für romanische Philologie, 7, 1883, pp. 157-63, a p. 162), «‘keine Rechnung machen’, d. h. nicht bezahlen müssen für das was er genossen hat». Quanto a far complida, sembra possibile riconoscervi il senso letterale di recitare la ‘compieta’ (< COMPLETA (HORA), nel latino ecclesiastico medievale ‘ultima ora dell’ufficio liturgico, che conclude la giornata’) e il sovrasenso di concludere la serata facendo l’amore, se si ricordano i vv. 13-16 della canzone BdT 227.8, in cui Guillem Peire de Cazals auspica che la dama, con cui un tempo si intratteneva in giochi erotici, rammenti «cum solia·m far tercia et ora nona / e las autras horas e nostra completa / que durava leu tro qu’om la prima sona» (ed. Jean Mouzat, Guilhem Peire de Cazals, troubadour du XIIIe siècle. Edition critique et traduction, Paris 1954, p. 62). Nella lirica trobadorica d’altronde il verbo complir può alludere all’atto amoroso, sia in associazione con complementi oggetti come gaug o joc (o perifrasi, cfr. BdT 27.4 vv. 20-21 «lai on cascuns poges conplir / so qe mais vol, de leis qi plus ll’agensa»), sia usato assolutamente (cfr. BdT 101.11a = 433.1 vv. 49-50 «e del parlar m’es guirenza / baizar, tener e complir»); e il passaggio di complida da ‘compieta’ a ‘compimento del desiderio amoroso’ pare confermato, sia pure in età posteriore, dal medio francese aller à complie ‘faire l’amour’ citato in Walter von Wartburg, Französisches Etymologisches Wörterbuch, Bonn 1928 ss., Leipzig-Berlin 1934-40, Basel 1944 ss., vol. 2, II, p. 983a.