Rialto    IdT

461.6

 

   

Anonimo

 

 

 

 

   
   

I.

   
   

Ades vej pejurar la gen

 

Vedo che la gente peggiora sempre e i migliori muoiono velocemente: la viltà aumenta e il pregio, ogni valida gioia e l’amore perfetto diminuiscono; infatti, gli ignoranti sono così tanti che vedo che l’ignoranza, che è tale da uccidere i buoni e far vivere i malvagi, occupa la maggior parte del mondo.

   

e leumen morir los meillors:

 
   

malvistatz poja, presz deiscen,

 
4  

e tuitz bos jois e fin’amors;

 
   

qe tant son li desconoiscen

 
   

q’ieu vej qe·l plus del mon perpren

 
   

desconoiscencha, q’es aitals

 
8  

q’auci·ls bos e faj viure·ls mals.

 
   

 

   
   

II.

   
   

Lj croi rich mi fan maldiszen

 

I ricchi vili mi danno motivo di maldicenza e io voglio parlar male dei peggiori di loro. Se ne avessi veramente la possibilità, ai ricchi vili farei disonore e a loro toglierei l’oro e l’argento, e i coraggiosi e valorosi sarebbero ricchi e passerei tutte le mie giornate a fare del bene e a diminuire i mali.

   

e·n voill dir mal vas los pejors.

 
   

S’ieu n’hages poder veramen,

 
12  

als crois richx fera deshonors

 
   

e lor tolgra l’aur e l’argen

 
   

e fora[n] rich li pro valen

 
   

e mesera totz mos jornals

 
16  

en far be ez en baissar mals.

 
   

 

   
   

III.

   
   

Joven[s] rich[s], qi no reigna gen

 

Un giovane ricco che non si comporta in modo conveniente e non fa ciò che gli è onorevole può difficilmente porvi riparo dopo che il parlar male è iniziato. Il pregio valido deve restare fisso allo stesso modo della stella polare. Il pregio perfetto per natura è questo: si deve fare del bene piuttosto che dei mali.

   

e no fai cho qe·ill sia honors,

 
   

grieu en pod far esmendamen,

 
20  

despuois qe lo mal dir es sors.

 
   

Bos presz deu estar eissamen

 
   

co·l tramontana fermamen.

 
   

Aitals prez es fis naturals:

 
24  

enansz deu hom far be qe mals.

 
   

 

   
   

IV.

   
   

Non ha conoiscencha ni sen

 

Non ha saggezza né intelligenza un uomo ricco se non dona e non elargisce in proporzione alla sua ricchezza, almeno nella misura in cui ne abbia lode. Si può onorare di più, cento volte tanto, colui che ha veramente pregio perfetto, perché tutte le genti non potranno mai discernere altro che il buon pregio e i mali.

   

ricx hom, segon q’es sa richors,

 
   

s’el no dona e no despen,

 
28  

sivals tan qe n’haja lauszors.

 
   

Plus se pot honrar per u cen

 
   

cel q[e] ha fi prez veramen,

 
   

q’anc mais veser non porran als

 
32  

nullas gentz mas bo prez e mals.

 
   

 

   
   

V.

   
   

Al markes Conrat qi s’enten

 

Me ne andrò dal marchese Corrado che corteggia, perché è il culmine della miglior parte del valore, a mia conoscenza, ed è pieno di pregio ancor più dei migliori, per questo ho desiderio di vederlo; e poiché non ne conosco uno più ricolmo di valore, gli sono vassallo e amico sincero: me ne venga ora un bene e non un male.

   

m’en irai, qar es caps de flors

 
   

de valor, per mo esscien,

 
36  

es es presatz sobre·ls meillors,

 
   

per q’ieu l’haj de veszer talen;

 
   

e qar ieu non sai plus valen,

 
   

li soj hom ez amicx corals,

 
40  

si·m reven[h]’er bes e no mals.

 

 

 

 

Testo: Giorgio Barachini, Rialto 26.ix.2018.


4. Conservo la grafia del codice tuitz, emendato in tutz da Kolsen e in totz da Caïti-Russo. Essa non pone particolari problemi di lettura e potrebbe nascondere una sorta di francesismo grafico.

5. Il codice dà qui la lezione desconoiscen, non desconiscen, come si legge negli apparati di Kolsen e Caïti-Russo (quest’ultima vi dedica anche una nota).

10. vas significa ‘riguardo a’, come già in Kolsen («betreffs», «in Beziehung auf»). Caïti-Russo edita: «e·n voill dir malvas los pejors», e traduce: «je veux en dire mauvais les pires».

14. Seguo Kolsen nel rettificare la lezione del codice fora, passando dal singolare al plurale foran. Tuttavia, il cambio di soggetto rispetto ai due versi precedenti e a quello seguente, nei quali le forme verbali sono alla prima singolare, è brusco.

18. Conservo la sinalefe tra sia e honors.

21. La forma verbale dei del codice è inaccettabile perché è prima persona singolare e va pertanto emendata in deu (terza persona), come già in Kolsen. Si tratta di una banale svista, forse di tipo paleografico. Caïti-Russo conserva dei.

22. Il ms. ha la lezione: coltramontana fermamen in cui si devono solo separare correttamente le parole. Il sostantivo tramontana indica la «tramontane, vent du nord; étoile polaire (aussi estela tramontana)» (PD, p. 329). il secondo significato, molto diffuso, è quello adottato correttamente da Kolsen (cfr. l’espressione ‘perdere la tramontana’, cioè ‘perdere la stella polare’, ‘perdere l’orientamento’). Non accettabile Caïti-Russo che manipola la lezione del codice, stampando: «contra montaigna fermament» e traducendo: «le parfait mérite doit se tenir fermament au sommet», ma l’avverbio eissamen, non tradotto dall’editrice, garantisce che si ha qui a che fare con un comparativo di uguaglianza, nel quale il secondo termine di paragone è introdotto da co (letteralmente ‘ugualmente come’).

25-28. Lo stesso tema è trattato in Honratz es hom per despendre (BdT 242.38), sirventese anch’esso composto alla corte dei Malaspina in epoca più tarda: cfr. Circostanze storiche. Tuttavia, bisogna qui rilevare la prospettiva opportunistica del nostro autore, evidente al v. 28, in cui la liberalità è finalizzata al raggiungimento della lode. A tale opportunismo sarà contrapposto il possessore del pregio perfetto.

30. Il verso è ipometro di una sillaba. Kolsen integrava: «cel q’ha faich fi prez veramen», riprendendo il verbo dal verso seguente (l’espressione faire pretz significa ‘fare qualcosa di lodevole’). Caïti-Russo emenda: «sol cel q’ha fi prez veramen»; la caduta di sol si spiega per la somiglianza con cel. A fronte di queste due proposte, adotto una terza via, minimalista, introducendo uno iato tra qe e ha.

31-32. La lezione del codice è, secondo la mia lettura, «qanc mais nefes. non | porran als Nullas gentz / mas bo prez e mals». Kolsen e Caïti-Russo assumono invece che il ms. rechi la lezione: «qanc mais nofes. nen | porran als Nullas gentz / mas bo prez e mals», ma credo che, se qualche scrupolo permane su «nefes», non vi possano essere dubbi sul seguente «non». Kolsen emendava quindi il codice con tre interventi (porran > porra; nullas > nulla; e > o): «q’anc mais no fes n’en porra als / nulla gentz mas bo prez o mals» e traduceva: «denn nimmer taten Leute anderes, noch werden sie noch etwas anderes tun können als Rühmliches oder Übles». È chiaro, nonostante non vi siano note esplicative, qual è stato il problema incontrato da Kolsen: intendendo «nofes» del codice come «no fes» ‘non fece’ e sottintendendo un infinito faire retto da «porra», il soggetto non poteva essere plurale come nel ms., ma doveva essere posto al singolare. Tuttavia, al di là della lettura, a mio avviso, inesatta del codice, vi sono due considerazioni da fare su tale emendamento: anzitutto, il copista non scrive quasi mai no/non unito alla parola seguente, a meno che questa non sia voce del verbo aver; e in secondo luogo, modificare il sintagma porran... nullas gentz, che è tutto coerentemente al plurale, per giustificare una lezione incerta, non pare legittimo. La lezione posta a testo da Caïti-Russo segue quella di Kolsen: «q’anc mais no fes ne·n poira als / nullas gentz mas bo prez o mals»; si interviene, dunque, ancora su porra > poira, mentre nullas resta incoerentemente al plurale. Ritengo che il guasto sia da ricercare sotto nefes, che non ha alcun senso (il termine non esiste) ed è estremamente opaco nel rivelare la lezione corretta. Neppure la lezione nofes, cioè no-fes ‘malafede’, è convincente, perché in questa posizione ci si attenderebbe l’infinito di un verbo transitivo in dipendenza da porran. Quest’ultimo verbo ha, del resto, già un proprio accusativo in als e non ne può avere un secondo in nefes/nofes. Inoltre, un uso assoluto di poder è insolito e non restituisce un senso chiaro. Propongo di riconoscere ueser al di sotto di nefes, benché la correzione non sia del tutto giustificabile sul piano paleografico: se scambi di n per u e di f per s alta sono possibili e addirittura frequenti, un passaggio r > s non è affatto facile e, del resto, risulta arduo spiegare come il copista non sia stato in grado di riconoscere il verbo veser (che egli avrebbe peraltro scritto ueszer). Ma nefes è a tutti gli affetti una crux, risolvibile solo per via di congettura. Il senso dei due versi sarebbe, quindi, che, rispetto a chi dona solo per ricevere una lode (vv. 25-28), colui che ha il vero pregio deve essere stimato cento volte di più (vv. 29-30), anche perché ciò che le persone riescono a vedere e il loro stesso giudizio si concentrano su una visione polare divisa tra il buon pregio e i mali, senza sfumature, pertanto solo chi appare totalmente disinteressato possiede, ai loro occhi, il pregio perfetto.

33. Il markes Conrat è Corrado Malaspina l’antico: cfr. Circostanze storiche.

34. Come ricorda Caïti-Russo, flor significa «élité, ce qu’il y a de meilleur», anche se in questo senso non è mai usato al plurale. Potrebbe trattarsi di una licenza di rima o di un fenomeno analogico simile a quello che porta amor a divenire amors anche al singolare obliquo: cfr. Stefano Asperti, Il trovatore Raimon Jordan, Modena 1990, p. 244-245, e Giorgio Barachini, Il trovatore Elias de Barjols, Roma 2015, pp. 289-290, nota a Bon’aventura don Dieus (BdT 132.6), v. 24. Collego flors direttamente a de valor, anziché considerare unite in asindeto le due espressioni.

40. La lezione a testo proviene dal ms.: sim reven bes er e no mals. Kolsen riteneva che, essendo alla fine del testo, ci si dovesse aspettare un’esclamazione al congiuntivo (revenha), non un’asserzione all’indicativo, e pertanto emendava: «si·m revenh’er bes e no mals!» «so wahr mir jetzt Gutes zuteil werde und nicht Übles!», con inversione di bes ed er. L’emendamento è semplice ed efficace e viene adottato anche dalla mia edizione. Caïti-Russo sbaglia, invece, a leggere il codice (sim reven bes er no mals) e indica sia in nota sia in apparato un’ipometria inesistente, e infine emenda: «si·m reven un bes er no mals» «si un bien m’en revient, ce ne sera pas injuste», dove «un» è da intendere uns e il «no» posposto al verbo «er» è molto forzato.

[GB]


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