Rialto
Repertorio informatizzato dell’antica letteratura trobadorica e occitana
Anonimi
Quor qu’om trobes Florentis orgulhos
461.
70a
Anonimi
Quor qu’om trobes Florentis orgulhos
Trad. it.
Apparato
Note

I. Per quanto uno abbia potuto spesso trovare arroganti i fiorentini, ora li trova cortesi e accostumati, di nobile linguaggio e di piacevoli risposte. Sia benedetto il re Manfredi, che ha fatto insegnare loro l’educazione e avere dolore e lamento, al punto che molti ne sono rimasti con la testa spogliata! Ah, fiorentini! Siete morti per il vostro orgoglio, perché l’orgoglio non è altro che una tela di ragno [cioè: vano e inconsistente].

II. Oh, re Manfredi! Voi siete tanto potente che io considero folle colui che si mette a lottare con voi. Infatti, vedo che uno solo dei vostri baroni ha distrutto i fiorentini e li rende dolenti, cosicché io non credo che in pianura o in montagna si possa ormai trovare chi vi conceda cattiva accoglienza. E non consiglio a quelli del Campidoglio di passare in fretta in Campania contro il re.

4 que·l[s]] quel    – Tra prima e seconda strofa è ripetuta la rubrica peire, successivamente erasa –     11 un[s]] un    15 conselh [a sels] del] conselh del (-2) (lacuna segnalata nell’intercolumnio da una mano posteriore).

1. I guelfi fiorentini hanno dovuto abbassare la testa (hanno avuto il capo spogliato, v. 6) dopo la sconfitta di Montaperti (4 settembre 1260) contro una coalizione ghibellina. ‘Orgoglio’ è qui inteso come ‘superbia, arroganza, tracotanza’. La strofa è apertamente sarcastica e denigratoria.

4. Il reys Matfre è Manfredi di Svevia, re di Sicilia, che inviò in Toscana i propri cavalieri guidati da Giordano d’Agliano, conte di San Severino (cfr. v. 11; cfr. Circostanze storiche). Poiché il termine noiremens non può essere soggetto singolare, è necessario intenderlo al plurale, benché la grammatica risulti claudicante: manca, in effetti, la s all’articolo (si veda una svista simile al v. 11). Tuttavia, l’uso al plurale, che propongo a testo, è anch’esso insolito. Noirimen non è letteralmente il ‘nutrimento’, come ha frainteso De Bartholomaeis che ha tradotto: «ha fatto dar loro il nutrimento [efficace]», il cui senso non è chiaro. Si tratta piuttosto metaforicamente dell’‘educazione’, delle ‘buone maniere’, significato ben attestato per il lemma (cfr. SW, V:404): Manfredi ha insegnato l’educazione ai fiorentini.

6. Avere il capo coperto era, fino a tempi recenti, segno di ‘distinzione sociale’ (che è uno dei significati possibili di orgolh in provenzale). Scoprirsi il capo era invece segno d’ossequio. Qui l’autore dice che molti fiorentini sono rimasti a capo scoperto, cioè sconfitti e sottomessi; è implicita anche l’idea che molti siano stati spogliati della testa in battaglia, cioè siano morti, come si dice al v. 7.

8. L’obra d’aranha, il ‘lavoro del ragno’, la ‘tela di ragno’ è «simbolo dell’inconsistenza e della vanità» (d’Arco Silvio Avalle, Peire Vidal, Poesie, Milano-Napoli 1960, p. 457): l’espressione ritorna tre volte in Peire Vidal (si vedano le Circostanze storiche e Marco Grimaldi, «Politica in versi. Manfredi dai trovatori alla Commedia», Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, 24, 2009, pp. 79-167, a p. 152 nota 252).

10. Impossibile da dimostrare, ma molto probabile che in «selh qu’ab vos pren contens» siano adombrati il papa o, a giudicare dagli ultimi versi, i guelfi romani, che miravano a convincere Carlo d’Angiò a invadere il Regno di Sicilia, o Carlo stesso, qualora egli fosse già stato eletto senatore: cfr. Circostanze storiche.

11. L’uomo indicato come «sol un[s] dels vostres baros», ‘solo uno dei vostri baroni/vassalli’ è sicuramente Giordano (Lancia?) d’Agliano, conte di San Severino presso Salerno, parente del re Manfredi che era figlio di Bianca Lancia, sorella (o cugina) di Giordano. Manfredi lo inviò in Toscana già nel 1256 e poi di nuovo nel 1259 a capo di circa 1800 uomini, con i quali si pose al comando dell’esercito ghibellino. Il 4 settembre 1260 a Montaperti sconfisse l’esercito guelfo capeggiato dai fiorentini. Dopo la battaglia, dal 1261, rimase in Toscana come vicario (si veda Ludovico Vergano, «Giordano Agliano», in Dizionario Biografico degli Italiani, 1, 1960, versione in rete, www.treccani.it). Catturato nella battaglia di Benevento nel 1266, morì prigioniero di Carlo d’Angiò. Cfr. Circostanze storiche.

15-16. Per colmare la lacuna del v. 15 seguo, come i precedenti editori, il testo di Raynouard: la lacuna è giustificabile come saut du même au même. Sul contesto storico si vedano le Circostanze storiche. Poiché il tipo di correzione apportata alla lacuna condiziona l’interpretazione del testo, bisogna sottolineare alcuni punti non del tutto illuminati. Il v. 16 può essere inteso anche al singolare, leggendo pass’on, con cesura di sesta; pertanto, anche al v. 15 non è strettamente necessario integrare con un plurale (sels). Inoltre, l’espressione conselh del Caupiduelh potrebbe indicare l’organo comunale di Roma, il Senatus; bisognerebbe intendere conselh nell’accezione di ‘assemblea, consiglio’. La lacuna potrebbe quindi essersi prodotta prima, tra no e conselh, con la caduta del verbo. Il sostantivo singolare conselh non è poi inconciliabile con un plurale passon al verso seguente (sarebbe un plurale a senso). La correzione di Raynouard resta, tuttavia, quella più economica. Bartsch e i successivi editori emendano la forma Caupiduelh in Canpiduelh, in modo da normalizzarla sulla base dell’indigeno Campidoglio. L’esito propriamente occitano è Capdolh/Capduelh, laddove la prima parte cap-, risegmentata, può divenire regolarmente caup- in alcune parlate antiche e moderne (cfr. TdF, p. 452; An com domn’ e bella et plasent, BdT 461.24, v. 4: sia de bel cauptenimen). Non è strettamente necessario, quindi, intervenire. Inoltre, considerato il tenore del testo, non si può escludere che un gioco di parole sia stato sovrapposto al toponimo: l’equivoco si giocherebbe tra caup, pf. di caber ‘tenere dentro, essere contenuto’, e duel, cioè dol ‘dolore’. L’autore si rivolgerebbe sia a chi si trova in Campidoglio, sia a chi ‘ha ricevuto dolori’, agli addolorati, cioè i guelfi che egli vede sconfitti da anni.

Testo

Edizione, traduzione e note: Giorgio Barachini. – Rialto 28.ix.2018.

Mss.

C 45r (Peire. Vidal).

Edizioni critiche / Altre edizioni

Edizione critica: Karl Bartsch, Peire Vidal’s Lieder, Berlin 1857, p. 135.

Altre edizioni: François Juste Marie Raynouard, Choix des poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1816-1821, vol. IV, p. 186; Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-1886, vol. I, p. 235 (testo Raynouard); Friedrich Schirrmacher, Die letzten Hohenstaufen, Göttingen 1871, p. 657 (testo Bartsch); Ernesto Monaci, Testi antichi provenzali, Roma 1889, c. 94; Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll. Roma 1931, vol. II, p. 225 (testo Bartsch); Francesco Ugolini, La poesia provenzale e l’Italia, Modena 1949, p. 119 (testo Bartsch).

Nota filologica

Il testo è trasmesso dal solo ms. C. Si rimanda alle note al testo per i singoli interventi effettuati.

Metrica e musica

Metrica: a10 b10 a10 b10 c10’ d10 d10 c10’ (Frank 421:14). Due coblas unissonans di otto versi in sé concluse (cfr. BEdT). Rime: -ós, -ens, -anha, -uèlh. Il testo non ha alcuna designazione interna di genere; BdT lo indica come «Miei-Sirv.» ‘mezzo sirventese’, ma niente permette di pensare che il testo fosse più esteso di quel che ci è pervenuto. Inaccettabile anche la designazione di Frank «sirventes». Il modello metrico è rintracciabile in una canzone di Pons de Capdolh, Lejals amics cui amors te jojos (BdT 375.14), imitata anche da Pujol, Cel qui salvet Daniel dels leos (BdT 386.1a; canzone?), da Sordello, No·m meraveill si·l marit son gilos (BdT 437.20b; cobla con tornada) e da Uc de Saint-Circ, Mesier Albric, so·m prega Ardisos (BdT 457.20a; cobla con risposta: N’Uc de San Sir, tot per amor de vos, BdT 16a.1). Tutti i testi presentano le stesse rime.

Informazioni generali

Le due coblas sono state scritte dopo il 1260, com’è evidente per via del ricordo della battaglia di Montaperti. Una data più precisa può essere posta tra il 1263 e il 1265 o probabilmente proprio nel 1265, mentre Carlo d’Angiò si trovava a Roma e si accingeva a marciare contro Manfredi in Campania. Qualche cautela è d’obbligo, perché questa interpretazione si fonda sull’integrazione della lacuna del v. 15 fornita da Raynouard. Per i dettagli si vedano le Circostanze storiche. – L’attribuzione a Peire Vidal è certamente errata, perché le coblas sono troppo tarde rispetto alla produzione del tolosano. All’insorgere dell’errore attributivo hanno concorso più fattori: tipo di tradizione, composizione dei materiali di copia, somiglianze tematiche, raffronti intertestuali. Si vedano anche in questo caso le Circostanze storiche.

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