Rialto

29.7

Arnaut Daniel

 

 

 

 

 

 

 

Testi: Canello 1883, Toja 1960, Perugi 1978, Eusebi 1995 (VI). – Rialto 24.i.2008.


Mss: C 206v, E 63.

Edizioni critiche: Ugo Angelo Canello, La vita e le opere del trovatore Arnaldo Daniello, edizione critica corredata delle varianti di tutti i manoscritti, di un’introduzione storico-letteraria e di versione, note, rimario e glossario, Halle 1883, p.101 (VI); René Lavaud, Les poésies d’Arnaut Daniel, réédition critique d’après Canello avec traduction française et notes, Toulouse 1910 (ristampa anastatica Genève, Slatkine, 1973), p. 32 (VI); Arnaut Daniel, Canzoni, edizione critica, studio introduttivo, commento e traduzione a cura di Gianluigi Toja, Firenze 1960, p. 229 (VI); Maurizio Perugi, Le canzoni di Arnaut Daniel, Milano-Napoli 1978, II, p. 189 (VI); James J. Whilhelm, The Poetry of Arnaut Daniel, edited and translated, New York - London 1981, p. 22 (VI); Arnaut Daniel, L’aur’amara, a cura di Mario Eusebi, Parma 19952, p. 61 (VI). 

Altre edizioni: Arnaut Daniel, Poesías, traducción, introducción y notas por Martín de Riquer, Barcelona 1994, p. 99 (testo Eusebi).

Metrica: a8 b8 b8 a8 10c 10d 10e (Frank 648: 1). Cinque coblas unissonans di sette versi.

 

Note

Difficoltà esegetiche consistenti si registrano per il v. 7; Canello (trad.: «non avendo io più facoltà di parlarle se non ‘a tre’» [p. 125]) annota: «Verso oscuro […]. Forse ella gli avea proibito di parlargli ‘a quattr’occhi’ cioè ‘à deux’; ed egli induce tre amici o amiche, le quali cantino questa canzone, e così le parla ‘ab tres’» (p. 208); Lavaud (trad.: «Et j’en ai bien le loisir, vu que, sur un autre sujet, je ne parle pas à trois personnes») crede che la divulgazione sia motivata dal particolare argomento trattato perché «il ne parle volontiers que de ce qui le préoccupe» (p. 35); Toja (trad.: «perché io non ho facoltà, altrimenti, che parlarle “a tre”»), condiviso da Perugi, chiosa: «Mi pare che la vera ragione del parlare “a tre” l’abbia indicata il poeta, quando dice che ha bisogno di “chiedere grazia” per mezzo di varie persone alla sua donna. Solitamente non parla “a tre”, ora sì, per merce trobar e perdon presso la sua donna, per mezzo della parola d’altri» (p. 232); infine il parere di Eusebi (trad.: «dato che ne ho l’occasione, perché altrimenti non parlo a tre»): «Il luogo è difficile, ma è chiaro che qui Arnaut si giustifica della divulgazione. Più vicino alla verità del testo mi pare sia andato il Lavaud» (p. 62). L’ipotesi Canello-Toja-Perugi non convince perché resta inspiegato il passaggio dai mans che dovrebbero mediare ai tres che alla fine mediano; più interessante il parere di Lavaud-Eusebi, anche se si ha l’impressione che esso abbia isolato solo uno (la razo) dei punti programmatici enunciati da Arnaut nei primi due versi della canzone, lasciando fuori del tutto l’altro punto, lo stile (la guiza), che potrebbe invece fornire la soluzione all’enigma. Il gruppuscolo (che non arriva a tres) di persone alle quali solitamente il poeta parla potrebbe essere, in quest’ottica, il ristrettissimo pubblico del suo tipo più usuale di poesia (vicino al trobar clus), sostituito in questa circostanza da un trobar più leu per le finalità apertamente dichiarate (permettere a mans di merceiar per lui). A supporto di questa lettura si potrebbero citare i versi iniziali di Guillem de Montanhagol, Leu chansoneta (BdT 225.6), dove l’analogia con la situazione danielina sta nella costrizione (qui prodotta dalla richiesta della donna) del locutore a un trobar di ampia diffusione (leu appunto), che senza di essa verrebbe rifiutato: «Leu chansoneta m’er a far, / pus n’ay man de ma douss’amia, / qu’estiers non la vuelh ja chantar, / quar no plai joys ni cortezia / als ricx, tan son tornat avar» (Les poésies de Guilhem de Montanhagol, troubadour provençal du XIIIe siècle, éditées par Peter T. Ricketts, Toronto 1964, p. 80).

Divaricazioni anche ai vv. 9-10; Canello, ripreso da Toja, modifica la lezione dreitz di E (C omette) in dreit e traduce: «se l’usanza non mi priva tanto del mio diritto da togliermi anche di chiedere grazia» (p. 125); buona l’intuizione di Perugi per tal di 10 («tal è ovviamente un pronome riferito alla donna amata» [p. 195]), che però inspiegabilmente pone a testo sempre a 10 col invece di tol, senza accorgersi della scarsa congruità logica del risultato: «se la corretta usanza non mi fa perdere tale che non mi permette di chiedere pietà» (p. 191); la felice intuizione di Perugi non viene raccolta da Eusebi, che senza nulla spiegare traduce: «se la giusta consuetudine non viene meno per me, quella che non m’impedisce di chiedere pietà» (p. 63). La raccogliamo in questa sede, proponendo di intendere: «se la retta usanza non mi toglie una donna così che non mi vieta di chiedere pietà»: per destol cfr. Bertran de Born, Anc no·s poc far maior anta (BdT 80.3) 61-63: «Mariniers, enjanz / es c’amar destol / als amanz» (The Poems of the Troubadour Bertran de Born, edited by William D. Paden, Jr., Tilde Sankovitch and Patricia H. Stäblein, Berkeley 1986, p. 395).

Irresolubile appare invece la quaestio legata al sintagma in clausola di 34 (en cort, necessariamente con o aperta); Eusebi, che rinuncia a tradurre, annota: «“Bedenklich” – come diceva Bartsch, favorevole a cort “Hof” – cort latinismo da corde, che è quel che intendono Canello (dubitativamente), Toja e Perugi (“prendete per amor nostro Arnaut in cuore”). Chabaneau proponeva a Canello d’Arnaut recort, mentre Lavaud rimedia un prendetz per nos d’Arnaut acort “acceptez, pour l’amour de nous, la paix d’Arnaut”» (p. 65). Per quanto ci riguarda, riteniamo che la buona intuizione di Lavaud sia stata vanificata dall’eccessivo interventismo sulla lezione di C, unico codice latore del verso (un guasto meccanico rende inutilizzabile la testimonianza di E): forse si potrebbe pensare a un originario *’n acort trasformatosi in un ipermetrico *en acort nell’antecedente di C, e quindi dal menante di questo normalizzato metricamente in en cort, senza avvedersi dell’aporia rimica innescata. D’altra parte lo stesso sintagma, in rima e all’interno di un motivo molto prossimo a quello danielino, lo ritroviamo nell’auctor principe di Arnaut: cfr. RbAur, Ab vergoinha part marrimentz (BdT 389.2) 43-45: «E donc en breu, ses duptanza, / per merce·m tornatz en acort, / si no·us platz ma mort o·l valentz» (Walter T. Pattison, The Life and Works of the Troubadour Raimbaut of Orange, Minneapolis 1952, p. 109). Cfr. anche PEsp, Com selh que fon ricx per encantamen (BdT 342.2) 37-40: «E si mos precx pren ab vos tal acort, / aura·m merces del mal d’amor estort, / que·m destrenh tan per vos mon fin coratge / qu’en fauc quec iorn mil sospirs per uzatge» (Peter T. Ricketts, «Les poésies de Peire Espanhol : édition critique et traduction», in Studies in Honor of Hans-Erich Keller. Medieval French and Occitan Literature and Romance Linguistics, ed. by Rupert T. Pickens, Kalamazoo 1993, p. 389).

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