Rialto    IdT

30.19

 

   

Arnaut de Maroill

 

 

 

 

   
   

I.

   
   

Mout eron doutz miei cossir

 

I miei pensieri amorosi erano molto dolci e privi di ogni tristezza, quando la bella dal corpo aggraziato, umile, generosa e nobile, mi annunciò il rifiuto del suo amore, dal quale io non posso separarmi; e poiché lei non mi vuole e io non oso implorare la sua pietà, ogni gioia mi ha abbandonato, poiché mi manca il piacere di lei.

   

e ses tot marrimen,

 
   

qan la bell’ab lo cors gen,

 
   

humils, franqu’e de bon aire

 
5  

me dis de s’amor estraire,

 
   

don ieu no·m puosc partir;

 
   

e car ill no·m rete,

 
   

ni l’aus clamar merce,

 
   

tuich solatz mi son estraing,

 
10  

pos de lieis jois mi sofraing.

 
   

 

   
   

II.

   
   

Dompna, si·us plagues sofrir,

 

Signora, se voleste permettere per la vostra compassione che con tenere dolci preghiere, chiedendo umilmente pietà come un amante fedele, io osassi aprirvi il mio cuore, in luogo di qualunque altro piacere, a voi non costerebbe nulla, e a me fareste molto bene, poiché quando il malato si lamenta, se ciò non gli giova, almeno si consola.

   

per vostre chausimen,

 
   

c’ab doutz precs cars, humilmen

 
   

merceian cum fis amaire,

 
15  

vos auses mon cor retraire

 
   

en luoc d’autre jauzir,

 
   

vos non costera re

 
   

e mi feiratz gran be;

 
   

qe·l malautes qan si plaing,

 
20  

si no·il val, si se refraing.

 
   

 

   
   

III.

   
   

Doussa dompna cui desir,

 

Dolce signora che io desidero, in nome della vostra educazione, non negatemi la vostra benevolenza, che mi solevate accordare. Non oso chiedervi di più, talmente sono spaventato, poiché siete di così alto lignaggio; ma Ovidio ha detto che fra amanti sinceri la nobiltà non fa aggio.

   

per vostr’enseignamen,

 
   

vostre bel acuillimen

 
   

no·m vedetz, qe·m soletz faire.

 
25  

Del plus no·us aus preiar gaire

 
   

tan sui espaventatz,

 
   

car es de tan rics plais;

 
   

mas Ovidis retrais

 
   

q’entre·ls corals amadors

 
30  

non paratgeia ricors.

 
   

 

   
   

IV.

   
   

Enseignamens e beutatz,

 

La vostra cultura e la bellezza, la nobiltà e il bell’eloquio, la capacità di accogliere e di rendere onore, cortesemente e con volto lieto, vi danno pregio sopra tutte le altre donne; è per questo che la Gioia e il Piacere rivivono in voi e rinascono benché altrove siano in declino; e non me lo fa dire l’amore, ma la verità e il vostro valore.

   

franquessa e gens parlars,

 
   

gens acuillirs et honrars,

 
   

cortes ab gaia semblanssa,

 
35  

vos fan sobr’autras honranssa;

 
   

per qe Jois e Solatz

 
   

reviu en vos e nais

 
   

vas calque part biais;

 
   

e no m’o fai dir amors,

 
40  

mas vers e vostra valors.

 
   

 

   
   

V.

   
   

Tant es per tot essausatz

 

Il vostro valore ricco e prezioso è talmente esaltato da tutti che io temo che le mie lodi non possano aggiungere altro. Però so bene che, anche quando la bilancia è piena, se qualcuno aggiunge un solo granello, il piatto si abbassa da quella parte: e così il vostro onore cresce quanto più lo si loda.

   

vostre pretz rics e cars,

 
   

tem qe no·i val mos lauzars;

 
   

pero ben sai ses doptanssa,

 
45  

si tot s’es plena·il balanssa,

 
   

qui met plus de l’un latz

 
   

sol un gran, pesa mais

 
   

vas cella part lo fais:

 
   

atressi creis vostr’honors

 
50  

cum hom plus en ditz lauzors.

 
   

 

   
   

VI (ABR)

   
   

Genoes, so sapchatz,

 

Genovese (Genovesi?), sappiate che così come aprile e maggio sono più piacevoli delle altre stagioni, allo stesso modo il vostro grande valore è un colore che risplende più dei più belli.

   

si cum abrils e mais

 
   

es d’autres temps plus gais,

 
   

es vostre rics pretz colors

 
55  

resplandens sobre·ls meillors.

 
   

 

   
   

VII (R+CN)

   
   

Franses, qui que·s biais,

 

Francese (Francesi?), anche se molti decadono e rinunciano all’ardimento, in voi vi sono pregio e valore, checché ne dicano i maldicenti.

   

ni de proeza·s lais,

 
   

en vos er pretz e valors,

 
   

mal grat dels lauzenjadors.

 

 

 

 

Testo: Luca Barbieri, Rialto 7.ii.2018.


5. La lezione non genera particolari reazioni nella tradizione manoscritta ma è difficile da spiegare. Il verso è di ardua comprensione e il verbo estraire può significare sia ‘ritirare, togliere’ sia ‘rinunciare, separarsi’. Johnston, Les poésies, p. 151 ipotizza un uso di tipo ἀπò κoινοῦ della preposizione de; in alternativa si potrebbe ipotizzare un uso dell’infinito all’accusativo come complemento oggetto, con de s’amor inteso come specificazione e determinazione del verbo (letteralmente ‘mi disse il rifiutare del suo amore’).

8. Per questo verso si veda il commento a La francha captenensa (BdT 30.15), v. 33.

15. Johnston, Les poésies, p. 150 traduce retraire con «dépeindre» (fuor di metafora ‘descrivere’), ma alcuni casi analoghi ci inducono invece a propendere verso il significato di ‘palesare, rivelare’, oppure quello segnalato dai dizionari di «exposer, raconter» (LR 5, 405; SW 7, 301; PD 326). Si veda Elias de Barjols, Ben fui conoyssens a mon dan (BdT 132.4a, v. 23: «pus no·us aus mon cor retraire», e Guiraut d’Espanha, Si no·m secor dona gaire (BdT 244.16), vv. 11-14: «Mas si l’auzes d’ins en mon cor retraire / a la bela de cui soi fis amaire / si com ie·l soi merceiaire / ho clamar merce», versi che hanno molte analogie con i nostri vv. 14-15.

27. L’espressione de rics plais è poco frequente, ma torna due volte in Albertet (A mi non fai chantar folia ni flors, BdT 16.5a, v. 38, e Donna pros e richa, BdT 16.11, v. 41), e l’editrice Francesca Sanguineti (Il trovatore Albertet, Modena 2012, pp. 106, 110, 160 e 165) la traduce impeccabilmente «patto vantaggioso». Ma il contesto di Arnaut e l’esistenza della versione negativa de mal plai suggeriscono di attribuire a plai piuttosto il senso di ‘origine, stirpe, condizione (di sangue e di animo)’, forse per un’influenza del francese plait che può significare ‘corte di re o signore’ o ‘condizione, stato’.

28-30. In alcuni testi (Aissi cum selh que tem qu’Amors l’aucia, BdT 30.5, vv. 25-28; Cui que fin’Amors esbaudey, BdT 30.11, vv. 14-15; La francha captenensa, BdT 30.15, vv. 37-40 e 47-50; Si cum li peis an en l’aiga lor vida, BdT 30.22, vv. 22-24; Si·m destreignetz, dompna, vos et Amors, BdT 30.23, vv. 9-13), Arnaut ricorda le possibilità che sono offerte agli uomini poveri e di origine modesta; in altri (Aissi cum selh que tem qu’Amors l’aucia, BdT 30.5, vv. 6-7; Anc vas Amor no·m poc res contradire, BdT 30.8, vv. 27-28; Franquez’e noirimens, BdT 30.13, vv. 37-40; Uns gais amoros orguoills, BdT 30.25, vv. 25-32) illustra la sottomissione della nobiltà ad Amore. Questo passo è particolarmente interessante per l’evocazione esplicita di Ovidio. Luciano Rossi, «I trovatori e l’esempio ovidiano», in Ovidius redivivus: von Ovid zu Dante, hrsg. von Michelangelo Picone und Bernhard Zimmermann, Stuttgart 1994, pp 105-48, alle pp. 116-117 propone di identificare la fonte con Ars am. II, 161-65 o Amores III, 8, oppure con alcuni passi di Her. III, ma in questi casi si tratta di passi dove la distanza tra gli amanti si colloca piuttosto sul piano economico. Altri critici hanno considerato puramente convenzionale il riferimento a Ovidio (si veda Aimo Sakari, «Azalais de Porcairagues, le “Joglar” de Raimbaut d’Orange», Neuphilologische Mitteilungen, 50, 1949, pp. 23-43, 56-87, 174-198, a p. 192), ma se si considera il senso sociale piuttosto che economico che si deve attribuire a forme quali plais, ricor, ric hom, il riferimento più diretto potrebbe essere a Her. IV, 161: nobilitas sub amore iacet, di cui Anc vas Amor no·m poc res contradire, BdT 30.8, 28 costituisce una traduzione quasi letterale (si veda Luca Barbieri, «Pour une nouvelle édition du troubadour Arnaut de Maruelh», in Le rayonnement de la civilisation occitane à l’aube d’un nouveau millénaire. 6e Congrès international de l’Association Internationale d’Études Occitanes (Wien, 12-19 septembre 1999), actes réunis et édités par Georg Kremnitz, Barbara Czernilowsky, Peter Cichon, Robert Tanzmeister, Wien 2001, pp. 141-156, alle pp. 145 e 152-153).

30. Il verbo paratgeiar, accolto senza esitazioni anche da Johnston, non risulta attestato altrove in lingua d’oc; i dizionari infatti lo riportano traendolo dal presente passo e si tratta verosimilmente di un neologismo creato da Arnaut de Maruelh (si veda Barbieri «Pour une nouvelle édition», pp. 147 e 153). Esso andrà fatto risalire alla radice di paratge ‘lignaggio’, con l’aggiunta di un suffisso verbale -eiar non nuovo per Arnaut (si vedano per esempio in Razos es e mezura, BdT 30.VI i termini forsjutjada al v. 115, autrejada al v. 116 e senhoreya al v. 159; in Dona, gencher q’ieu no sai dir, BdT 30.III domneja al v. 155 e maneja al v. 148, oltre a essaureyar in Cui que fin’Amors esbaudey, BdT 30.11, v. 49). Sembra che tanto paratge quanto ric/ricor assumano in Arnaut una sfumatura sociale più che economica (si veda la nota precedente). I passi degli altri trovatori citati e quello simile di Arnaut Anc vas Amor no·m poc res contradire (BdT 30.8), vv. 25-28, ci permettono di glossare, se non di tradurre, il verbo paratgeiar, per il quale proporrei il senso di ‘non fa aggio’, ‘non costituisce un ostacolo’, ‘non ha alcun potere’.

34. La preposizione ab è difficile da spiegare ma è troppo ben attestata ed è indubbiamente difficilior. Tanto più che la stessa costruzione si trova anche in Gaucelm Faidit, Al semblan del rei thyes (BdT 167.4), v. 34: «joios ab gaia semblanssa», all’interno di un testo che è un vero e proprio centone di Arnaut de Maruelh. Si potrebbe attribuire alla preposizione il senso di ‘insieme’ (‘aspetto cortese e insieme gaio’), oppure interpretare cortes(a) al femminile con valore sostantivato ‘donna cortese dal gaio aspetto’, o ancora meglio dare a cortes un valore avverbiale riferito al verbo precedente.

38. Il senso proprio di biaisar è ‘deviare’, oppure ‘inclinarsi’, ma è spesso usato con l’accezione negativa di ‘declinare, corrompersi’. Il soggetto sono le virtù cortesi, e certamente non può essere la dama come sembra pensare Johnston, perché ci vorrebbe una forma plurale. Probabilmente la frase mette insieme il valore comparativo che può assumere ves (Jensen, Syntaxe, § 717, p. 310) e quello concessivo o avversativo del relativo calque (Jensen, Syntaxe, § 385, p. 167). La stessa idea è poi ripresa al v. 56, dove biais avrà lo stesso significato. Il passo dei vv. 37-38 s’inserisce nell’abituale polemica morale sulla decadenza delle virtù, ma non va trascurato un possibile parallelo con il tema tipicamente lirico della reverdie, per cui si veda per esempio il paragone tra la rinascita della primavera e quella delle virtù attestato dalla tornada ai vv. 52-55.

43. In Arnaut de Maruelh, dopo l’espressione temer que l’indicativo è decisamente preferito al congiuntivo, a causa di uno slittamento semantico del verbo temer dal valore di ‘aver paura’ a quello più sfumato di ‘ritenere’, usato quindi più con funzione dichiarativa che dubitativa (Jensen, Syntaxe, § 588, p. 254-255; ma si veda anche la nota a La francha captenensa, BdT 30.15, v. 10). Il futuro, meglio tollerato a causa del suo carattere potenziale, si trova in La francha captenensa (BdT 30.15), v. 10, e Aissi cum mos cors es (BdT 30.6), v. 12, ma in due casi si trova anche il presente (Anc vas Amor no·m poc res contradire, BdT 30.8, v. 26, e Mout eron doutz miei cossir, BdT 30.19, 43). In questi casi, i mss. più “normativi” modificano il testo (CMR). Il congiuntivo imperfetto è utilizzato con certezza in Uns gais amoros orguoills (BdT 30.25), v. 27; un secondo caso di congiuntivo presente (Tot quant ieu fauc ni dic que·m si’honrat, BdT 30.24, vv. 32-33) è attestato dai soli mss. CER e un terzo caso (Aissi cum selh que tem qu’Amors l’aucia, BdT 30.5, v. 1) si trova in un testo di dubbia attribuzione che questo elemento contribuisce a rendere ancora più incerta.

51-55. Tobias Leuker, «Le poesie “genovesi” di Arnaut de Maruelh, Raimbaut de Vaqueiras e Albertet», Medioevo romanzo, 37, 2013, pp. 327-348, alle pp. 330-331, interpreta Genoes come un plurale per confermare la sua interpretazione storica, ma va ricordato che nelle tornadas di Franquez’e noirimens (BdT 30.13) Franses e Genoes sono senza dubbio singolari, e che la tornada “genovese” è molto simile a quella di Mout eron doutz miei cossir (BdT 30.19), cosa che spingerebbe a interpretare anche quest’ultima al singolare. La tornada “genovese” di La francha captenensa (BdT 30.15) ha una sua originalità, ma anche in questo caso sembra forzato il tentativo di Leuker di emendare il testo e di trarne un’interpretazione che giustifichi Genoes come un plurale, quando il testo funziona benissimo così com’è e la sua tradizione (per una volta assai abbondante) è estremamente compatta e va chiaramente nella direzione di Genoes singolare. A questo proposito va anche ricordato che delle quattro occorrenze di Franses nelle canzoni di Arnaut de Maruelh tre sono sicuramente al singolare e una è molto dubbia. Pare quindi estremamente imprudente tentare di stabilire una cronologia relativa di anteriorità per Franquez’e noirimens (BdT 30.13) sulla base della distinzione tra singolare e plurale, come fa Leuker (pp. 339-340).

56-59. Questa seconda tornada è con tutta probabilità apocrifa. Essa è di fatto alternativa a quella “genovese” (solo il ms. R le riporta entrambe, ed è noto il suo ruolo di “collettore”) e la simmetria con La francha captenensa (BdT 30.15), che ha una sola tornada, imporrebbe di eliminarla. Inoltre il testo nei tre testimoni è molto incerto e presenta varianti notevoli e difficili da giustificare. Solo il primo verso è comune ai tre testimoni, mentre l’ultimo verso presenta tre versioni diverse ed era probabilmente assente nell’archetipo e forse anche nell’originale, se ne esiste uno. La versione di C sembra costruita unendo la ripresa dei vv. 37-38 e la fine della tornada “genovese” (ma per i vv. 57-58 si veda anche Uns gais amoros orguoills, BdT 30.25, vv. 33-34: «tant es sobre·ls aussors fuelhs / lo sieus pretz e seignoreia»), ma è molto vicina anche alla tornada “genovese” di Franquez’e noirimens (BdT 30.13). Le versioni di NR, oltre a divergere completamente sull’ultimo verso, sembrano riprendere le tornadas “francesi” di Aissi cum cel c’am’e non es amaz (BdT 30.3) e Si cum li peis an en l’aiga lor vida (BdT 30.22) (entrambe con Franses al singolare). I vv. 58-59 della versione di N poi sono identici a Peire Vidal, En una terr’ estranha (BdT 364.20), vv. 6-8: «sal Dieus las domnas de Biuelh, / quar en lor es pretz e valors / e gaugz e solatz e amors». Leuker si serve delle due tornadas per proporre una datazione all’agosto del 1190, quando la città di Genova accolse l’esercito di Filippo Augusto in partenza per la terza crociata (Leuker, «Le poesie “genovesi”», pp. 330-331); per questo motivo preferisce il futuro er di R al presente es di N, immaginando che si tratti di un augurio di vittoria. Ma la genericità della tornada “genovese” e la lezione en vos presente in NR sembrano collegare anche la tornada “francese” all’ambito retorico tradizionale della laudatio.

[LB]


BdT    Arnaut de Maroill    IdT

Testo    Circostanze storiche