Testo: Luca Barbieri, Rialto 7.ii.2018. 5. La lezione non genera particolari reazioni nella tradizione manoscritta ma è difficile da spiegare. Il verso è di ardua comprensione e il verbo estraire può significare sia ‘ritirare, togliere’ sia ‘rinunciare, separarsi’. Johnston, Les poésies, p. 151 ipotizza un uso di tipo ἀπò κoινοῦ della preposizione de; in alternativa si potrebbe ipotizzare un uso dell’infinito all’accusativo come complemento oggetto, con de s’amor inteso come specificazione e determinazione del verbo (letteralmente ‘mi disse il rifiutare del suo amore’). 8. Per questo verso si veda il commento a La francha captenensa (BdT 30.15), v. 33. 15. Johnston, Les poésies, p. 150 traduce retraire con «dépeindre» (fuor di metafora ‘descrivere’), ma alcuni casi analoghi ci inducono invece a propendere verso il significato di ‘palesare, rivelare’, oppure quello segnalato dai dizionari di «exposer, raconter» (LR 5, 405; SW 7, 301; PD 326). Si veda Elias de Barjols, Ben fui conoyssens a mon dan (BdT 132.4a, v. 23: «pus no·us aus mon cor retraire», e Guiraut d’Espanha, Si no·m secor dona gaire (BdT 244.16), vv. 11-14: «Mas si l’auzes d’ins en mon cor retraire / a la bela de cui soi fis amaire / si com ie·l soi merceiaire / ho clamar merce», versi che hanno molte analogie con i nostri vv. 14-15. 27. L’espressione de rics plais è poco frequente, ma torna due volte in Albertet (A mi non fai chantar folia ni flors, BdT 16.5a, v. 38, e Donna pros e richa, BdT 16.11, v. 41), e l’editrice Francesca Sanguineti (Il trovatore Albertet, Modena 2012, pp. 106, 110, 160 e 165) la traduce impeccabilmente «patto vantaggioso». Ma il contesto di Arnaut e l’esistenza della versione negativa de mal plai suggeriscono di attribuire a plai piuttosto il senso di ‘origine, stirpe, condizione (di sangue e di animo)’, forse per un’influenza del francese plait che può significare ‘corte di re o signore’ o ‘condizione, stato’. 28-30. In alcuni testi (Aissi cum selh que tem qu’Amors l’aucia, BdT 30.5, vv. 25-28; Cui que fin’Amors esbaudey, BdT 30.11, vv. 14-15; La francha captenensa, BdT 30.15, vv. 37-40 e 47-50; Si cum li peis an en l’aiga lor vida, BdT 30.22, vv. 22-24; Si·m destreignetz, dompna, vos et Amors, BdT 30.23, vv. 9-13), Arnaut ricorda le possibilità che sono offerte agli uomini poveri e di origine modesta; in altri (Aissi cum selh que tem qu’Amors l’aucia, BdT 30.5, vv. 6-7; Anc vas Amor no·m poc res contradire, BdT 30.8, vv. 27-28; Franquez’e noirimens, BdT 30.13, vv. 37-40; Uns gais amoros orguoills, BdT 30.25, vv. 25-32) illustra la sottomissione della nobiltà ad Amore. Questo passo è particolarmente interessante per l’evocazione esplicita di Ovidio. Luciano Rossi, «I trovatori e l’esempio ovidiano», in Ovidius redivivus: von Ovid zu Dante, hrsg. von Michelangelo Picone und Bernhard Zimmermann, Stuttgart 1994, pp 105-48, alle pp. 116-117 propone di identificare la fonte con Ars am. II, 161-65 o Amores III, 8, oppure con alcuni passi di Her. III, ma in questi casi si tratta di passi dove la distanza tra gli amanti si colloca piuttosto sul piano economico. Altri critici hanno considerato puramente convenzionale il riferimento a Ovidio (si veda Aimo Sakari, «Azalais de Porcairagues, le “Joglar” de Raimbaut d’Orange», Neuphilologische Mitteilungen, 50, 1949, pp. 23-43, 56-87, 174-198, a p. 192), ma se si considera il senso sociale piuttosto che economico che si deve attribuire a forme quali plais, ricor, ric hom, il riferimento più diretto potrebbe essere a Her. IV, 161: nobilitas sub amore iacet, di cui Anc vas Amor no·m poc res contradire, BdT 30.8, 28 costituisce una traduzione quasi letterale (si veda Luca Barbieri, «Pour une nouvelle édition du troubadour Arnaut de Maruelh», in Le rayonnement de la civilisation occitane à l’aube d’un nouveau millénaire. 6e Congrès international de l’Association Internationale d’Études Occitanes (Wien, 12-19 septembre 1999), actes réunis et édités par Georg Kremnitz, Barbara Czernilowsky, Peter Cichon, Robert Tanzmeister, Wien 2001, pp. 141-156, alle pp. 145 e 152-153). 30. Il verbo paratgeiar, accolto senza esitazioni anche da Johnston, non risulta attestato altrove in lingua d’oc; i dizionari infatti lo riportano traendolo dal presente passo e si tratta verosimilmente di un neologismo creato da Arnaut de Maruelh (si veda Barbieri «Pour une nouvelle édition», pp. 147 e 153). Esso andrà fatto risalire alla radice di paratge ‘lignaggio’, con l’aggiunta di un suffisso verbale -eiar non nuovo per Arnaut (si vedano per esempio in Razos es e mezura, BdT 30.VI i termini forsjutjada al v. 115, autrejada al v. 116 e senhoreya al v. 159; in Dona, gencher q’ieu no sai dir, BdT 30.III domneja al v. 155 e maneja al v. 148, oltre a essaureyar in Cui que fin’Amors esbaudey, BdT 30.11, v. 49). Sembra che tanto paratge quanto ric/ricor assumano in Arnaut una sfumatura sociale più che economica (si veda la nota precedente). I passi degli altri trovatori citati e quello simile di Arnaut Anc vas Amor no·m poc res contradire (BdT 30.8), vv. 25-28, ci permettono di glossare, se non di tradurre, il verbo paratgeiar, per il quale proporrei il senso di ‘non fa aggio’, ‘non costituisce un ostacolo’, ‘non ha alcun potere’. 34. La preposizione ab è difficile da spiegare ma è troppo ben attestata ed è indubbiamente difficilior. Tanto più che la stessa costruzione si trova anche in Gaucelm Faidit, Al semblan del rei thyes (BdT 167.4), v. 34: «joios ab gaia semblanssa», all’interno di un testo che è un vero e proprio centone di Arnaut de Maruelh. Si potrebbe attribuire alla preposizione il senso di ‘insieme’ (‘aspetto cortese e insieme gaio’), oppure interpretare cortes(a) al femminile con valore sostantivato ‘donna cortese dal gaio aspetto’, o ancora meglio dare a cortes un valore avverbiale riferito al verbo precedente. 38. Il senso proprio di biaisar è ‘deviare’, oppure ‘inclinarsi’, ma è spesso usato con l’accezione negativa di ‘declinare, corrompersi’. Il soggetto sono le virtù cortesi, e certamente non può essere la dama come sembra pensare Johnston, perché ci vorrebbe una forma plurale. Probabilmente la frase mette insieme il valore comparativo che può assumere ves (Jensen, Syntaxe, § 717, p. 310) e quello concessivo o avversativo del relativo calque (Jensen, Syntaxe, § 385, p. 167). La stessa idea è poi ripresa al v. 56, dove biais avrà lo stesso significato. Il passo dei vv. 37-38 s’inserisce nell’abituale polemica morale sulla decadenza delle virtù, ma non va trascurato un possibile parallelo con il tema tipicamente lirico della reverdie, per cui si veda per esempio il paragone tra la rinascita della primavera e quella delle virtù attestato dalla tornada ai vv. 52-55. 43. In Arnaut de Maruelh, dopo l’espressione temer que l’indicativo è decisamente preferito al congiuntivo, a causa di uno slittamento semantico del verbo temer dal valore di ‘aver paura’ a quello più sfumato di ‘ritenere’, usato quindi più con funzione dichiarativa che dubitativa (Jensen, Syntaxe, § 588, p. 254-255; ma si veda anche la nota a La francha captenensa, BdT 30.15, v. 10). Il futuro, meglio tollerato a causa del suo carattere potenziale, si trova in La francha captenensa (BdT 30.15), v. 10, e Aissi cum mos cors es (BdT 30.6), v. 12, ma in due casi si trova anche il presente (Anc vas Amor no·m poc res contradire, BdT 30.8, v. 26, e Mout eron doutz miei cossir, BdT 30.19, 43). In questi casi, i mss. più “normativi” modificano il testo (CMR). Il congiuntivo imperfetto è utilizzato con certezza in Uns gais amoros orguoills (BdT 30.25), v. 27; un secondo caso di congiuntivo presente (Tot quant ieu fauc ni dic que·m si’honrat, BdT 30.24, vv. 32-33) è attestato dai soli mss. CER e un terzo caso (Aissi cum selh que tem qu’Amors l’aucia, BdT 30.5, v. 1) si trova in un testo di dubbia attribuzione che questo elemento contribuisce a rendere ancora più incerta. 51-55. Tobias Leuker, «Le poesie “genovesi” di Arnaut de Maruelh, Raimbaut de Vaqueiras e Albertet», Medioevo romanzo, 37, 2013, pp. 327-348, alle pp. 330-331, interpreta Genoes come un plurale per confermare la sua interpretazione storica, ma va ricordato che nelle tornadas di Franquez’e noirimens (BdT 30.13) Franses e Genoes sono senza dubbio singolari, e che la tornada “genovese” è molto simile a quella di Mout eron doutz miei cossir (BdT 30.19), cosa che spingerebbe a interpretare anche quest’ultima al singolare. La tornada “genovese” di La francha captenensa (BdT 30.15) ha una sua originalità, ma anche in questo caso sembra forzato il tentativo di Leuker di emendare il testo e di trarne un’interpretazione che giustifichi Genoes come un plurale, quando il testo funziona benissimo così com’è e la sua tradizione (per una volta assai abbondante) è estremamente compatta e va chiaramente nella direzione di Genoes singolare. A questo proposito va anche ricordato che delle quattro occorrenze di Franses nelle canzoni di Arnaut de Maruelh tre sono sicuramente al singolare e una è molto dubbia. Pare quindi estremamente imprudente tentare di stabilire una cronologia relativa di anteriorità per Franquez’e noirimens (BdT 30.13) sulla base della distinzione tra singolare e plurale, come fa Leuker (pp. 339-340). 56-59. Questa seconda tornada è con tutta probabilità apocrifa. Essa è di fatto alternativa a quella “genovese” (solo il ms. R le riporta entrambe, ed è noto il suo ruolo di “collettore”) e la simmetria con La francha captenensa (BdT 30.15), che ha una sola tornada, imporrebbe di eliminarla. Inoltre il testo nei tre testimoni è molto incerto e presenta varianti notevoli e difficili da giustificare. Solo il primo verso è comune ai tre testimoni, mentre l’ultimo verso presenta tre versioni diverse ed era probabilmente assente nell’archetipo e forse anche nell’originale, se ne esiste uno. La versione di C sembra costruita unendo la ripresa dei vv. 37-38 e la fine della tornada “genovese” (ma per i vv. 57-58 si veda anche Uns gais amoros orguoills, BdT 30.25, vv. 33-34: «tant es sobre·ls aussors fuelhs / lo sieus pretz e seignoreia»), ma è molto vicina anche alla tornada “genovese” di Franquez’e noirimens (BdT 30.13). Le versioni di NR, oltre a divergere completamente sull’ultimo verso, sembrano riprendere le tornadas “francesi” di Aissi cum cel c’am’e non es amaz (BdT 30.3) e Si cum li peis an en l’aiga lor vida (BdT 30.22) (entrambe con Franses al singolare). I vv. 58-59 della versione di N poi sono identici a Peire Vidal, En una terr’ estranha (BdT 364.20), vv. 6-8: «sal Dieus las domnas de Biuelh, / quar en lor es pretz e valors / e gaugz e solatz e amors». Leuker si serve delle due tornadas per proporre una datazione all’agosto del 1190, quando la città di Genova accolse l’esercito di Filippo Augusto in partenza per la terza crociata (Leuker, «Le poesie “genovesi”», pp. 330-331); per questo motivo preferisce il futuro er di R al presente es di N, immaginando che si tratti di un augurio di vittoria. Ma la genericità della tornada “genovese” e la lezione en vos presente in NR sembrano collegare anche la tornada “francese” all’ambito retorico tradizionale della laudatio. [LB] |