Rialto

74.18

 

   

Bertolome Zorzi

 

 

 

 

    I.
    Totz hom qu’enten en valor
    deu esser amesuratz,
    si vol conquerer lauzor,
4   qu’estiers non er gen lauzatz
    ni de pretz garnitz;
    qu’aicel qui plus n’es aisitz
    en seria voigz e blos,
8   si aitals non fos;
    quar petita desmesura
    merm’e tol leugeramen
    so qu’auran conquist greumen
12   valors e senz e mesura.
     
    II.
    Per qu’om fai trop gran follor
    s’en re s’es desmezuratz,
    per afan ni per legor;
16   quar quecs deu sofrir en patz
    on plus es marritz,
    qu’aissi n’er pels pros grazitz;
    e blasmatz, s’es orgolhos,
20   on plus es joios.
    Pero a luec en melhura
    qui pas’a mezuramen,
    qu’a la vez razos consen
24   so que contraditz dreitura.
     
    III.
    Mas us tals usatges cor
    que paucs n’a d’adreituratz,
    ans si prezon li pluzor
28   per far faigz outracuidatz;
    don es pretz delitz
    e jois e dompneis peritz
    per us truans enojos,
32   qu’om galhartz ni pros,
    ni domna valenz ni pura
    non trueb’ab els garimen,
    si viure vol gaiamen,
36   tant es avols lur natura.
     
    IV.
    Quar il amon tan eror
    e tant lur plai malvestatz,
    qu’il se fan devinador
40   per destruir joi e solatz;
    e levon fals critz
    entr’amanz et amairitz,
    don li marit son gelos
44   e·lh dreg amoros
    grevat senes forfaitura,
    e las domnas eissamen;
    per qu’entr’amor e joven
48   deportz s’es mes a non-cura.
     
    V.
    E car jovenz laiss’amor
    et il lui devas totz latz,
    ira de mal en pejor
52   lo segles, de que·m desplatz;
    quar jovenz es guitz
    et amors cim’e rassitz
    de mainz affars cabalos,
56   don nais messios,
    qu’atrai joi e pretz atura.
    Per qu’ai de chantar talen
    sol per lur mantenemen,
60   er, on plus s’espan freidura.
     
    VI.
    Si tot ai ir’e dolor,
    quar per mainz enamoratz,
    qui·s fenhon fin amador,
64   es lurs mentirs autrejatz;
    qu’om es plus falhitz
    s’un fals dig no contraditz,
    des que·lh pejura·l resos,
68   qu’aicel qu’en ditz dos,
    tals que·l resos no·lh pejura;
    pero amdui, ses conten,
    meiron dol e marrimen
72   per foudat e per falsura.
     
    VII.
    Valhenz dompna, cui azor,
    tant es vostre senz triatz
    e vostre pretz rics d’onor
76   e fina vostra beutatz,
    que·is for’escarnitz
    chascus qui fos tant arditz
    que sol penzes contra vos;
80   ni que fos mest nos
    enjanz ni clams ni rancura
    de negun galiamen!
    e car ho sap veramen,
84   mos cors de joi m’asegura.
     
    VIII.
    Lai on es fals critz
    per mains faitz et aculhitz,
    t’en vai de ma part, chanzos,
88   per conort dels pros,
    a la plus douza figura,
    quar faza de ti prezen
    a leis, don chant a prezen
92   sol per esfortz de verdura.
     
    IX.
    Hai, Sainz Esperitz,
    tot home qu’acuelh ni ditz
    fals dig ni ver enojos
96   faiz tan doloros,
    com tanh a sa forfaitura,
    qu’aisi ral monz d’avinen,
    e cil qu’amon lejalmen
100   auran gran bon’aventura.

 

 

 

I. 9 desmesura] de mezura I

II. 14 s’es] se I    15 afan] fan I    23 consen] cosen I

III. 28 faigz] faig I    34 garimen] garimenz I    36 lur] lurs IK

IV. 37 eror] heror    40 destruir] destru IK    42 entr’amanz] etramanz IK

IX. 95 ver] ve I

 

 

Traduzione

I. Chi ricerca il valore deve essere misurato, se vuole ottenere lode, perché altrimenti non sarà affatto lodato, né rivestito di onore; perché colui che ne è più meritevole ne sarebbe vuoto e privo, se non fosse tale; poiché un piccolo eccesso riduce e toglie facilmente ciò che difficilmente potrebbero conquistare valore, senno e misura.
II. Perciò si commette davvero un grande errore, se in qualcosa si è smisurati per fiacchezza e per pigrizia, poiché ognuno deve soffrire pazientemente, quanto più è afflitto, che tanto più sarà apprezzato dai virtuosi, e biasimato, se è orgoglioso, quanto più è gioioso. Sebbene a volte se ne giova chi oltrepassa misura, perché a volte la ragione segue ciò che è contrario alla rettitudine.
III. Ma vi è una tale abitudine per cui ce ne sono pochi di giusti, anzi si apprezzano i più per compiere cose smodate; per cui il pregio è rovinato e gioia e cortesia morte per dei fastidiosi mascalzoni; tanto che né un uomo virtuoso e meritevole, né una donna valente e pura trova protezione presso di loro se vuol vivere con gioia, tanto è crudele la loro natura.
IV. Perché essi amano tanto l’errore e tanto a loro piace la malvagità che diventano spie per distruggere la gioia e il piacere e sollevano false voci tra gli amanti, sicché i mariti sono gelosi e i veri amanti sono pregiudicati senza fellonia; e allo stesso modo le donne, perché tra gioventù e amore si è intromesso il piacere con nessuna cautela.
V. E poiché la gioventù abbandona amore e a lui essa doveva ogni grandezza, andrà di male in peggio il mondo, cosa che mi dispiace, perché gioventù è guida e amore cima e radice di molte cose eccellenti, da cui nasce ricchezza, che produce gioia e preserva il pregio. Perché ho desiderio di cantare solo per il loro sostegno, quanto più si diffonde, ora, freddezza.
VI. Tanto più sono triste e sofferente, perché a molti innamorati che si fingono puri amanti è consentito mentire, tanto che sbaglia di più colui che non smentisce una falsa diceria, sicché peggiora la reputazione, che chi ne dice due in modo che la sua reputazione non peggiora; però entrambi, senza dubbio, meriterebbero tormento e tristezza per stoltezza e falsità.
VII. Valente donna, che adoro, tanto è distinto il vostro senno e ricco di onore il vostro pregio e pura la vostra bellezza che verrebbe schernito chiunque fosse tanto ardito solo da pensar male di voi; e che non fosse tra noi l’inganno, il malcontento e il rancore di nessuna insidia, e poiché lo so davvero, il mio cuore mi assicura la gioia.
VIII. Lì dove una falsa voce è da molti fatta e recepita, vai, canzone, da parte mia come sostegno ai buoni alla più dolce figura, perché faccia di te dono per lei, di cui adesso canto solo con la forza della primavera.
IX. Ahimè, Spirito Santo, ogni uomo che accoglie e riporta una falsa parola o una fastidiosa verità fate tanto infelice come conviene alla sua malignità, che così chiacchiera in modo molto piacevole, e coloro che amano lealmente avranno davvero una grande felicità.

 

 

Testo: Corradini 2013. – Rialto 11.xi.2013.


Mss.: I 99v, K 83r, d 273 (29).

Edizioni critiche: Emil Levy, Der Troubadour Bertolome Zorzi, Halle 1883, p. 55; Bruna Corradini, Rialto 11.xi.2013.

Metrica: a7 b7 a7 b7 c5 c7 d7 d5 e7’ f7 f7 e7’. Sette coblas unissonans di dodici versi più due tornadas di otto versi (Frank 396:1, unicum). Rime: a: -or, b: -atz, c: -itz, d: -os, e: -ura, f: -en.

Note: il componimento è riconducibile agli anni 1266-1273, in cui Bertolome fu fatto prigioniero dai Genovesi (cfr. Gianfranco Folena, Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete, in Storia della cultura veneta. I, Dalle origini al Trecento, a cura di Girolamo Arnaldi, Vicenza 1976, pp. 453-562, a p. 547) e, nonostante l’autodesignazione chanzos (v. 87), è ascrivibile al genere del sirventes-canso: mentre le prime sei coblas costituiscono la porzione di sirventese morale, in cui il trovatore delinea il profilo del fin amador e si lancia in un’invettiva contro i lauzengiers, l’ultima cobla risponde al genere della canzone. – Il componimento è imperniato sul concetto della mezura, il dominio di sé come principio etico fondamentale dell’amante cortese, ricalcato nel testo attraverso la figura flessionale del rim derivatiu (amesuratz v. 2, desmesuratz v. 14 e desmesura v. 9, mesura v. 12). - Si accetta la correzione di de mezura in desmezura (v. 9) operata da Levy per evitare il mot tornat con mezura (v. 12). – Al v. 24 correggiamo la svista di Levy che trascrive (anticipando la lettura del v. 36) natura al posto di dreitura, perfettamente leggibile in entrambi i manoscritti. – Alla quarta cobla è riservata la critica dei devinadors e dei lauzengiers (vv. 39-42) che mettono in pericolo gli amanti di fronte al gilos; lauzengiers e gilos sono gli ostacoli che rafforzano la distanza tra il trovatore e la dama, ma sono anche lo strumento attraverso il quale l’amante, per contrasto, può mettere in mostra l’onestà e l’integrità della propria condotta (cfr. Don A. Monson, «Les lauzengiers», Medioevo romanzo, 19, 1994, pp. 219-235, a p. 224). – L’immagine dell’amore come cima e radice (v. 54) è topico nella lirica trobadorica  in cui l’amore è motore primo e fine ultimo delle azioni con cui gli amanti possono nobilitarsi; a tal proposito Bertolome dichiara di poter cantare solo grazie al sostegno di Amore (vv. 58-59). – L’immagine della freddezza come metafora della malignità dei falsi amanti non è molto consueta nella lirica trobadorica; ritorna, però, proprio in un altro sirventes-canso, Mals fregz s’es els ricx croys mes (BdT 69.3), tutto giocato sul contrasto tra il cattivo freddo dei ricchi malvagi e il puro calore dell’amante leale. – Le due tornadas concludono, ciascuna a suo modo, i due argomenti accostati nel sirventes-canso: nella prima Bertolome invia il componimento alla plus douza figura (v. 89), mentre nella seconda invoca lo Spirito Santo perché renda infelici tutti coloro che inventano o riportano una menzogna a discapito dei leali amanti. – al v. 96, faiz: ’fate, rendete’; rarissimo caso in cui lo Spirito Santo compare da solo: nella maggior parte delle invocazioni dei trovatori lo Spirito viene sempre accostato alle altre figure della Trinità, esigendo l’uso della persona plurale; Joseph Anglade, Grammaire élémentaire de l’ancien français, Paris 1918, riporta faitz come voce dell’imperativo plurale di faire (p. 333) consentendo di interpretare la persona del verbo come una formula di cortesia, cosí come era d’uso nei trovatori nel rivolgersi al signore, alla dama o alle personificazioni di entità astratte (ad esempio Amore).

[BC]


BdT    Bertolome Zorzi