Rialto    IdT

96.3a

 

   

Blacasset

 

 

 

 

   

I.

   

De guerra sui deziros

   

e no·i am trega ni patz,

   

e can vei cavals armatz,

   

Sordel, sui rics e joios:

5  

per q’eu del comte volria

   

qe non anes pauz qeren,

   

en Sordel, car ai talen

   

c’auzis en luec comunal

   

cridar : «Toloza reial!»

10  

tan tro qe nostr’ou lur sia.

   

 

   

II.

   

Pero fort sui voluntos

   

q’ei d’els pogues vezer rengatz

   

e d’aitals bruis aiostatz

   

q’elms e lanzas e lanzos

15  

brizesson, e s’ieu temia

   

en aital envazimen

   

intrar, ges cel qi ab sen

   

creis son pretz emperial

   

no·m valgues, qe sobreval,

20  

s’ieu per mon grat no·i valia.

   

 

   

III.

   

Ben volgra vezer blezos

   

eissir de cocha trauchatz,

   

et elms ferrencz desbastratz,

   

e c’auzis hom los ressos

25  

dels colps, qe chascus faria,

   

e qe brizan e fragnen

   

vissem tal envazimen

   

far al Comte Proenzal,

   

qe cel qi ven per son mal

30  

tengues aunitz tot sa via.

   

 

   

IV.

   

E se·l Coms es coratjos

   

afortitz ni aturatz,

   

ni·l platz valors, er onratz,

   

e s’el i fai messions

35  

temen tem qe aunitz sia:

   

mas qe donan e meten,

   

rauban, tolen e prenen

   

fassa temer son segnal,

   

tro qe venza ab mescla tal,

40  

co·l Coms de Monfort fazia!

   

 

   

V.

   

Humils, fizels, amoros

   

si tot mi sui desamatz,

   

gentils domna, ia·m forzatz!

   

Vostres nous cors enveios,

45  

que·m venz ab douza paria

   

e·il plazer sobreplazen

   

m’an tant amorosamen

   

format de ferm cor coral

   

ab vos, qe plazen jornal

50  

non puesc far si no·us vezia.

   

 

   

VI.

   

E si Valors s’umelia,

   

gentils donna, qi·m defen

   

vostre nou jove cors gen?

   

Pois ren dels Comtes no·m chal,

55  

ni lur guerra vernazal

   

no voil, sol qe ab vos sia.

 

 

Traduzione [SA]

I. Di guerra sono desideroso e non mi piacciono tregue e paci, e quando vedo cavalli armati, Sordello, mi sento appagato e felice: proprio per questo vorrei dal Conte che non andasse in cerca di accordi, mio Sordello, perché vorrei poter udire in campo aperto gridare: «Tolosa reale», fintantoché la vittoria sia nostra o loro.

II. Perciò sono tanto desideroso di poterne vedere dei loro schierati e tali scontri ingaggiati che elmi e lance e spuntoni spezzassero, e se io temessi in una tale mischia di entrare [sarebbe giusto] che colui che col senno accresce il suo pregio imperiale non mi sostenesse più, come tanto fa ora, se io per mia scelta non me ne mostrassi degno.

III. Vorrei davvero vedere scudi uscire tranciati dalla mischia, ed elmi d’acciaio in pezzi, e che si udisse il clangore dei colpi portati da ciascuno, e che spezzando e frangendo vedessimo un tale assalto portare al Conte di Provenza, che colui che viene contro di lui riprendesse subito svergognato la strada di casa.

IV. E se il Conte è coraggioso, forte e saldo d’animo, ed ama valore, sarà onorato, e se invece spende i propri denari per timore, temo che finisca svergognato; ma che donando e spendendo, saccheggiando, predando e facendo bottino faccia temere la propria insegna, fino a che vinca con una battaglia tale come quelle combattute dal Conte di Montfort!

V. Umile, fedele, innamorato, per quanto io sia disamato, gentile donna ormai mi portate allo stremo! Il vostro giovane corpo desiderato, che mi sconfigge con la sua dolce vicinanza, e le vostre gentilezze superiori ad ogni altra mi hanno tanto amorosamente creato di fermo cuore sincero con voi, che neppure un giorno felice mi posso godere senza avervi vista.

VI. E se Valore viene meno, gentile donna, che altro può più tenermi lontano dal vostro giovane corpo seducente? Perché non mi interessa niente dei Conti, né la loro guerra dappoco non voglio, se solo posso essere con voi.

 

 

 

Testo: Asperti 1995. – Rialto 30.x.2017.


Ms.: a1 429.

Edizioni critiche: Giulio Bertoni, «Nuove rime di Sordello da Goito», Giornale Storico della Letteratura Italiana, 19, 1901, pp. 269-309, a p. 288; Stefano Asperti, «Sul sirventese Qi qe s’esmai ni·s desconort di Bertran d’Alamanon e su altri testi lirici ispirati dalle guerre di Provenza», in “Cantarem d’aquestz trobadors”. Studi occitanici in onore di Giuseppe Tavani, a cura di Luciano Rossi, Alessandria 1995, pp. 169-234, a p. 225.

Altra edizione: Martín Aurell, La vielle et l’épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris 1989, p. 261 (testo Bertoni).

Metrica: a7 b7 b7 a7 c7’ d7 d7 e7 e7 c7’ (Frank 646:1, unicum). Cinque coblas unissonans di dieci versi e una tornada di sei. Rime: -os, -atz, -ia, -en, -al.

Note: Sirventese composto in Provenza tra la fine del 1230 e l’inizio del 1231: si vedano le Circostanze storiche.

1-4. Fin dai primi versi, il componimento si configura come una celebrazione della guerra e ricalca le posizioni tipiche di Bertran de Born. In particolare, Blacasset sembra riprendere da Bertran l’esaltazione del valore militare mediante il ricorso a «una serie di immagini, di stilizzazioni, che permettono di materializzare visivamente, plasticamente, quei valori cavallereschi che fondano e animano il testo» (Stefano Asperti, «L’eredità lirica di Bertran de Born», Cultura neolatina, 54, 2004, pp. 475-525, alle pp. 513-514). Significativa per un confronto tra il sirventese di Blacasset e quelli del suo modello è la presenza di una strofe e della tornada (vv. 41-56) che presentano un cambio repentino di tono: dall’esaltazione del combattimento e delle armi si passa all’elogio della donna amata e alla richiesta di mercé, pratica che si riscontra in diversi sirventesi di Bertran de Born, come Molt m’es descendre car col (BdT 80.28) oppure Non puosc mudar mon chantar non esparga (BdT 80.29); cfr. Gérard Gouiran, L’amour et la guerre. L’œuvre de Bertran de Born, Aix-en-Provence 1985, pp. lviii-lx. Una più chiara celebrazione dell’importanza, anche dal punto di vista sociale, del valore militare ricorre nell’unico altro sirventese conservato di Blacasset, Gerra mi play qan la vei comensar (BdT 96.6).

5-6. Il conte al quale fa riferimento il trovatore è Raimondo Berengario, incitato a prendere le armi contro Raimondo VII. Il verso 6 è molto importante ai fini della corretta datazione del sirventese: è possibile infatti che il trovatore alluda alla tregua richiesta da Raimondo Berengario ai Marsigliesi assediati nell’estate del 1230 che portò alla temporanea sospensione delle attività militari del conte di Provenza, (cfr. Aurell, La vielle et l’épée, pp. 131-132).

7. En Sordel. Nella prima strofe del componimento Blacasset si rivolge per ben due volte a Sordello, trovatore particolarmente legato a Blacatz. Secondo le convincenti argomentazioni di Asperti, «Sul sirventese», pp. 206-208, è possibile che De guerra sui deziros sia stato composto in risposta al sirventese Non pueis mudar qan luecs es (BdT 437.21) di Sordello, nel quale il conte di Provenza è descritto come debole e insicuro mentre è invece esaltato il valore militare di Raimondo VII.

14. lanzos. Il manoscritto trasmette la lezione lauzos che, come suggerisce Aurell, La vielle et l’épée, p. 314, potrebbe indicare le pietre utilizzate da macchine d’assedio come trabucchi e catapulte. Asperti emenda invece in lanzos, adottando la stessa lezione introdotta da Bertoni, «Nuove rime», p. 288.

17-19. Federico II era impegnato a sostenere il conte di Provenza nello scontro con il comune di Marsiglia. Asperti, «Sul sirventese», p. 227, suggerisce che Blacasset possa riferirsi all’imperatore o a uno dei suoi rappresentanti nella regione. A mio avviso, Blacasset cita direttamente Federico II: è possibile infatti che l’ostentazione del sostegno imperiale al proprio partito potesse servire a infondere timore nel nemico.

27-30. Questi versi contribuiscono a chiarire la posizione di Blacasset, che appare schierato dalla parte del Comte proenzal, Raimondo Berengario.

30. La lezione del manoscritto tenguetz aunitz totz sa via non offre senso compiuto, dunque Asperti e Bertoni emendano il verbo in tengues. Asperti, «Sul sirventese», p. 227 suggerisce un’ulteriore soluzione alla correzione proposta, la modifica di tenguetz in tegnatz, con il significato di «consideriate disonorato per tutta la sua vita».

34-37. In questi versi il trovatore sembra voler suggerire al conte di Provenza il giusto comportamento da tenere: egli deve evitare di cercare tregue e mediazioni e assoldare piuttosto dei cavalieri per lo scontro, combattere e trarre bottino dalle sue sortite militari. Le azioni che Blacasset consiglia di mettere in pratica a Raimondo Berengario costituivano le attività tipiche della piccola aristocrazia del sud della Francia che viveva di guerre private e saccheggi. In realtà il conte di Provenza cercava di porre un freno ai disordini provocati dai baroni locali con l’istituzione di un forte apparato statale; su questo argomento si veda Thierry Pécout, «Noblesse provençale et pouvoir comtal: l’exemple du pays de Riez (Alpes-de-Haute-Provence), XIIe-XIVe siècles», Rives nord-méditerranéennes, 7, 2001, pp. 37-56.

40. Coms de Monfort. Si tratta di Simon de Montfort, condottiero della crociata antialbigese impegnato nel Midi tra il 1209 e il 1218. Blacasset suggerisce a Raimondo Berengario di comportarsi come Simon, che aveva conquistato i possedimenti del conte di Tolosa in seguito alla battaglia di Muret e al IV Concilio lateranense del 1215.

41-50. La quinta strofe del componimento si caratterizza per l’elogio della donna amata. In questo Blacasset sembra riprendere da vicino il modello di Bertran de Born che inserisce coblas amorose in sirventesi dedicati all’esaltazione del valore militare e all’esortazione alla guerra. Blacasset dedica alla tematica amorosa anche l’ultima strofe e la tornada del sirventese Gerra mi play qan la vei comensar (BdT 96.6).

41. L’accumulazione di aggettivi che descrivono l’atteggiamento assunto dall’io lirico nei confronti della donna amata ricorre anche nella produzione cortese di Blacasset, come Mos volers es qez eu m’eslans (BdT 96.7a), vv. 9-10: «Ferms, fizels, humilz, merceiantz / sui ab leis qez enchapdelha» e Ben volgra qe venqes merce (BdT 96.2), vv. 21-23: «Que humils, senz orgoill, temors / mi ten ab voler acordan / d’obedir tot vostre coman». Cfr. Alessandra Favero, «La canzone di Blacasset Mos volers es qez eu m’eslanz (BdT 96,7a)», Studi mediolatini e volgari, 52, 2006, pp. 55-79, a p. 67.

54-55. Nella tornada il trovatore, di fronte alla possibilità di stare con midons, prende le distanze dai due conti che aveva precedentemente incitato a prendere le armi e sostiene di non interessarsi minimamente alla loro volgare contesa.

[fsa]


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