Rialto    IdT

70.11

 

   

Bernart de Ventadorn (?)

 

 

 

 

   

I.

   

Belh Monruelh, aisselh que·s part de vos

   

e non plora, ges non es doloiros,

   

ni no sembla sia corals amicx;

   

francx e gentils e belhs e larcx e pros

5  

es Monruelhs, e vos plus que negus

   

dels companhos de midons, na Helis.

   

 

   

II.

   

Al chan d’auzel comensa ma chanzos,

   

quant aug chantar las guantas e·ls aigros

   

e pels cortils vey verdeyar los lis,

10  

la blava flor, que nais entre·ls boissos,

   

e·l riu son clar desobre los sablos,

   

lai on s’espan la blanca flors de lis.

   

 

   

III.

   

Lonjamens ai estat desamoros,

   

de bon’ amor paupres e sofrachos,

15  

per la colpa d’una fals’amayris,

   

qu’a fatz vas mi enjans e mespreyzos,

   

don ieu l’ai fag quaranta vetz perdos;

   

no·m laissera, tro que m’agues aucis.

   

 

   

IV.

20  

D’aquestas mas fon culhitz lo bastos,

   

ab que m’aucis la belazer qu’anc fos;

   

tan m’atendiey en lieis, que la servis,

   

que lauzengier e sospirs anguoissos

   

e loncx dezirs e petitz guazardos

25  

m’an fag estar faiditz del sieu pays.

   

 

   

V.

   

Ben pauc ama drutz, que non es gelos,

   

e pauc ama qui non es aziros,

   

e pauc ama qui non enfolletis,

   

e pauc ama qui non fay trassios;

30  

mais val d’amor, quant hom n’es enveios,

   

uns bons plorars, no fan quatorze ris.

   

 

   

VI.

   

Quant ieu li quier merce de genolhos,

   

ylh m’encolpa e·m troba ocaizos,

   

e l’aigua·m cor denan per miey lo vis;

35  

et ela·m fai un esguart amoros,

   

et yeu li baiss la boqu’e·ls huelhs amdos,

   

adoncx me ve us ioys de paradis.

   

 

   

VII.

   

Mon Joy coman al verai glorios;

   

l’onors, que·m fetz sotz lo pin en l’erbos

40  

en aquel temps, quant elha me conquis,

   

me fai viure e me ten delechos,

   

qu’ieu fora mortz, s’aquilh honors no fos

   

e·l bos respiegz, que mi reverdezis.

   

 

   

VIII.

   

Aquest chantars pogra ben esser bos,

45  

qu’en Monruelh comensa ma chansos

   

et en Mon Joi, de cui ieu sui, fenis.

 

 

Traduzione [gb]

I. Bel Moroello, colui che si separa da voi e non piange, non è affatto dolente, e non mi sembra che sia amico sincero; onesto, nobile, bello, generoso e valoroso è Moroello, e [anche] voi più che qualunque tra i compagni di midons, madonna Helis.
II. Con il canto degli uccelli inizia la mia canzone, quando sento cantare le oche e gli aironi e per i cortili vedo verdeggiare i gigli, il fiore blu che nasce tra i cespugli, e i ruscelli sono chiari sopra la sabbia, là dove si dispiega il fiore bianco del giglio.
III. Sono stato a lungo uno che non ama, povero e privo di amore vero, per colpa di una falsa amante, che nei miei confronti ha fatto inganno e torto, di cui io le ho concesso quaranta volte il perdono; non mi avrebbe lasciato, finché non mi avesse ucciso.
IV. Da queste mani fu raccolto il bastone, con cui mi uccise la più bella del mondo; tanto mi impegnai a servirla che i maldicenti, un sospiro angoscioso, un lungo desiderare e una piccola ricompensa mi hanno fatto restare esule dalla sua dimora.
V. Un amante che non è geloso ama ben poco e ama poco chi non si è adirato e poco ama chi non diventa folle e poco ama chi non commette tradimento; ma in amore, quando uno ne è desideroso, aiuta di più un buon pianto di quanto non facciano quattordici risate.
VI. Quando io le chiedo pietà in ginocchio, lei mi imputa e mi accusa, e le lacrime scendono lungo il viso; e lei mi lancia uno sguardo amoroso e io le bacio la bocca e tutti e due gli occhi – allora mi prende una gioia paradisiaca.
VII. Raccomando la Mia Gioia a colui che è veritiero e pieno di gloria; l’onore che mi fece sotto il pino sull’erba nell’occasione in cui mi conquistò mi fa vivere e mi conserva gioioso, perché io sarei morto, se non ci fossero quell’onore e il buono sguardo [oppure: la buona attesa] che mi fa verdeggiare ancora.
VIII. Questo canto potrebbe essere buono, perché in Moroello inizia la mia canzone e nella Mia Gioia, a cui io appartengo, finisce.

 

 

 

Testo: Appel 1882, con modifiche di gb. – Rialto 24.ix.2018.


Mss.: C1 59r, C2 241r, E 107, P 33r, R 93v, S 218v, Sg 36r, c 86r (84); in origine anche nel canzoniere di Bernart Amoros due volte: f. 62 (aa) e f. 115 (ab).

Edizioni critiche: Carl Appel, Das Leben und die Werke des Trobadors Peire Rogier, Berlin 1882, p. 92; John H. Marshall, «Le troubadour Peire Bremon lo Tort et deux chansons d’attribution douteuse», Le Moyen Âge, 86, 1980, pp. 67-91, a p. 86.

Altre edizioni: François Juste Marie Raynouard, Choix des poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1816-1821, vol. III, p. 60; Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-1886, vol. I, p. 18 (testo Raynouard); Karl Bartsch, Provenzalisches Lesebuch, Elbersfeld 1855, p. 48 (C1E); Karl August Friedrich Mahn, Gedichte der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1856-1873, vol. II, p. 23 (R); J. Massó y Torrents, «Riambau de Vaqueres en els cançoners cataláns», Institut d’Estudis Cataláns. Anuari, 1907, pp. 414-462, a p. 428; Leon Billet, Bernard de Ventadour, troubadour du XIIe siècle, Tulle 1974, p. 318.

Metrica: a10 a10 b10 a10 a10 b10 (Frank 91:1). Canzone di sette coblas unissonans di sei versi e una tornada di tre versi (seconda metà della strofa). Rime: -ós, -is. Esiste un’imitazione precisa con rime identiche: Peire Milo, Aissi m’ave con cel qi seigniors dos (BdT 349.1). Altri componimenti presentano la stessa forma metrica in modo indipendente: Peire Vidal, Drogoman seigner, s’agues bo destrier (BdT 364.18; canzone); Bertran de Born, Eu m’escondisc, domna, que mal no mier (BdT 80.15; canzone?) che probabilmente dipende dal precedente; Sordello, Quan qu’eu chantes d’amor ni d’alegrier (BdT 437.28; sirventese). Pons de la Garda, Farai chanson ans que venga·l laitz temps (BdT 377.3; canzone) risulta indipendente da entrambi, mentre Guillem Rainol d’At, Quant aug chantar lo gal sus en l’erbos (BdT 231.4; tenzone fittizia) sembra riprendere tutti e due (cfr. rime -ós, -ièr).

Ed. Appel: 5-6 es Monruelhs, e uos dels companhos / plus que negus de midons, na Helis, 45 mon ioi.

Note: Sulla tradizione della canzone, sul testo da considerarsi originale, sull’attribuzione, sulla tuttora incerta collocazione cronologica e sull’identificazione di Monruelh si vedano le Circostanze storiche. Il testo presenta elementi arcaici nella strofa relativamente breve e nell’incipit stagionale, che si trova, secondo la redazione “lunga” di C1E, nella strofa II, ma secondo la redazione “breve” testimoniata da tutti gli altri codici e dal perduto canzoniere di Bernart Amoros, a cui mancava la strofa I, essa è in principio assoluto di testo. Dato che l’uso dell’esordio stagionale va diminuendo nel corso del XII secolo e di fatto scompare nel XIII (cfr. Dimitri Scheludko, «Zur Geschichte des Natureinganges bei den Trobadors», Zeitschrift für französische Sprache und Literatur, 60, 1937, pp. 257-334, a p. 272 e Paolo Gresti, Il trovatore Uc Brunenc, Tübingen 2001, p. xxxiii), i compilatori hanno usato tale elemento per attribuire il testo a trovatori arcaici o comunque per lo più attivi entro il 1200 (tranne P, ma si vedano le Circostanze storiche). – Il testo che si propone è tratto da Appel, Das Leben, con la normalizzazione della grafia di u/v, il ripristino dei vv. 5-6 e l’uso delle maiuscole al v. 45, dove Mon Joy non può che essere ancora il senhal del v. 37. L’edizione concorrente di Marshall, «Le troubadour» segue in tutto la redazione “lunga” di C1E, che lo studioso considera genuina e originale, anche dove vi siano errori. Giacché niente dimostra che la versione lunga sia quella d’autore, è preferibile riprendere la ricostruzione lachmanniana di Appel.

1. Monruelh: Gilda Caiti-Russo e Enrica Salvatori, («A proposito del testo trobadorico di ambito malaspiniano Belh Monruelh aisselh que·s part de vos (BdT 70,11)», Cultura neolatina, 69, 2009, pp. 91-110) convalidano l’opinione di Marshall, «Le troubadour», e identificano questa figura in Moroello I Malaspina (morto nel 1197). Gli elementi apportati non sono, tuttavia, dirimenti e, data la tradizione del testo, non si può escludere che si tratti del pronipote Moroello di Mulazzo (morto nel 1284): cfr. Circostanze storiche.

5-6. Ripristino i versi così come sono trascritti nei due mss. latori C1E. Appel, Das Leben, invertiva i sintagmi stampando «es Monruelhs, e vos dels companhos / plus que negus de midons, na Helis», in modo da evitare la rima imperfetta (-us per -os) e discutendo a p. 106 altri emendamenti possibili. Il passo non riesce comunque chiaro neanche con l’ordine tramandato dai codici, per via della difficoltà d’interpretazione di es come 2a plur. (così in Marshall) o come 3a sing. (così in Appel) dell’ind. pres. di eser, che si riverbera sul vos seguente (nel primo caso riferito a Na Helis, nel secondo a Monruelh). Marshall, «Le troubadour», p. 89 in aggiunta, considera la rima imperfetta come un tratto franco-provenzale e ne trae un argomento a favore dell’attribuzione a Peire Bremon lo Tort. Il passo è verosimilmente corrotto.

16. Il rimante mespreyzos, a testo in Appel, è trasmesso da C2E, mentre gli altri codici hanno trassios, in rima anche al v. 28 (dove C1 sostituisce messios). Le ripetizioni di rimanti, pur sconsigliate, erano abbastanza diffuse, soprattutto negli autori meno accurati. Marshall preferisce qui ripetere trassios e non seguire la lezione né di C1 né di E; la coincidenza tra il testo di C2 e quello di E è giudicata casuale (il che, tuttavia, è improbabile).

6. Na Helis: dama non identificata, la cui menzione ha generato l’attribuzione di C1E a Bernart de Ventadorn, poiché Elis de Torena fu sorella di Maria de Ventadorn.

37. Mon Joi è senhal non decodificato.

[gb]


BdT    Bernart de Ventadorn    IdT

Circostanze storiche