Rialto    IdT

 

Bertran d’Alamano, Seign’En Coms, e·us prec qe·m dijatz (BdT 76.17),

Lo Coms de Proensa, Bertram, be cre qe conoscatz (BdT 184.3)


 

Circostanze storiche

 

 

 

Lo scambio di coblas tra Bertran d’Alamanon e il conte di Provenza Raimondo Berengario IV (1198-1245) s’inserisce nel contesto dell’assalto sferrato nel corso del 1238 contro Brescia dall’imperatore Federico II e dai suoi alleati. Come riferisce Salimbene de Adam nella sua Chronica, l’assedio vide impegnate le milizie provenienti da diverse città emiliane e lombarde, tra cui Cremona (i cui soldati sono infatti menzionati al v. 13), suggerendo l’impressione di un esercito pressoché invincibile («Et fuerunt cum eo Parmenses et Cremonenses, Bergamenses et Papienses et ducenti milites et mille pedites de Regio, et Saraceni et Theotonici et Apuli et alie diverse gentes et innumerabiles cum exercitu imperatoris»: CfS, p. 95). Alla campagna pare che anche Bertran d’Alamano avesse preso parte attiva al seguito di Raimondo, la cui presenza accanto a Federico non sembra essere in discussione per De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 140. Va però precisato che l’unica prova della partecipazione di Bertran all’assedio bresciano è costituita proprio dalla sopravvivenza di queste due coblas, cui comunque Aurell 1989, p. 107 accorda piena fiducia: «Dans l’été 1238, il fait partie du groupe des chevaliers qui accompagnent le comte en Italie pour apporter un soutien militaire à Frédéric II dans sa lutte contre les comunes lombardes».

L’episodio dell’assedio di Brescia rappresenta uno dei momenti fondamentali del conflitto tra lo Svevo e la città lombarda, le cui origini risalirebbero almeno al marzo del 1226: a quest’altezza cronologica Brescia aderisce infatti alla seconda Lega lombarda, ricostituitasi in virtù del privilegio di libera associazione concesso ai comuni dopo la pace di Costanza (1183). La revoca di tale privilegio, voluta da Federico e occorsa a pochi mesi di distanza dalla ricostituzione della Lega (nel luglio del 1226), provocò il bando delle città che ne facevano parte e diede il via a un periodo di fortissima instabilità politica, spesso acuita dall’ingresso di alcune realtà locali in orbita guelfa. E proprio a Brescia, come osservato da Bosisio 1963, p. 663, «la mutata stagione storica si manifestò con una progressiva conversione alla pars Ecclesiae», un atteggiamento che senz’altro provocò l’inasprimento delle ostilità tra la città e l’imperatore, sempre meno disposto a concedere autonomia di governo ai comuni dell’Italia del Nord.

Il rinnovo degli accordi tra le città aderenti alla Lega, suggellato proprio a Brescia nel luglio del 1235, in concomitanza con l’avvio della cooperazione militare tra Federico II ed Ezzelino da Romano gettarono le basi per la campagna contro la città lombarda. Sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalla recente vittoria conseguita a Cortenuova dalle forze imperiali contro la Lega (25-26 novembre 1237), Federico si decise dunque a tentare di sottomettere definitivamente Brescia, ponendo il campo a Goito, presso Mantova, il 28 giugno 1238. L’assedio proseguì per oltre tre mesi, sino al 9 ottobre, ma con esito fallimentare: Brescia riuscì infatti a opporre una strenua resistenza e Federico fu costretto a ritirarsi a Cremona, città tradizionalmente fedele alla pars ghibellina (Bosisio 1963, p. 669).

La risonanza della clamorosa disfatta di Federico e della inopinata resistenza bresciana è comprovata dal racconto dell’episodio in un buon numero di cronache dell’epoca e si mantenne intatta ancora nei primi anni del Quattrocento, quando Giacomo Malvezzi scrisse il suo Chronicon (cfr. Archetti 2016, pp. 304-307). Tra le fonti principali dell’assedio di Brescia spiccano in particolare gli Annales Placentini gibellini, nei quali (oltre a trovare conferma della presenza di Raimondo a fianco dell’imperatore) si rintracciano interessanti riferimenti alle fortificazioni fatte edificare dai bresciani e progettate da un non meglio identificato Calamandrino, ingegnere di origine iberica passato dalla parte dei bresciani ma che avrebbe invece dovuto soccorrere gli eserciti imperiali: «In proximo mense Augusti Brixienses ceperunt quendam Yspanum virum ingeniosum in trabuchis et bricollis, Calamandrinum nomine, quem Yzolinus de Romano ad exercitum imperatoris destinabat vinculis alligatum, cui Brixienses propriam domum et uxorem ei dederunt, ut facilius possent ipsum detinere» (APg, p. 479). Proprio il ricordo delle inespugnabili fortificazioni di Calamandrino (o Klamandrinus, come si legge nel Chronicon di Malvezzi: «Habebant utique apud se virum quemdam natione Hispanum […] Siquidem, ut diximus, multis aedificiis belli ipse Klamandrinus - sic enim nomen habebat - civitatem munivit»: cfr. CJM, XIV, col. 912) sembra sopravvivere nell’ironica rievocazione di Bertran d’Alamanon, che nel farne l’oggetto privilegiato della tenzone vi allude sarcasticamente con il termine palenc (v. 2), cioè ‘palizzata, recinto’. È peraltro interessante notare che il corrispettivo latino di palenc è impiegato da Salimbene esattamente nel passo della Chronica consacrato al resoconto dell’assedio: «Et ipsi brixienses suspenderunt captos Imperatoris per brachia extra palancatum civitatis» (CfS, p. 95).

Il tono leggero, quasi goliardico di questo botta-e-risposta tra Bertran e il conte di Provenza ha indotto De Bartholomaeis 1931, vol. II, pp. 140-141 a ritenere che «lo scambio di cobbole […] non può immaginarsi avvenuto se non davanti alle mura della città assediata, nel momento in cui le fortificazioni bresciane, invano assalite, incominciavano a far svanire le speranze degli assedianti». Ci troveremmo dunque, secondo lo studioso, poco prima del 9 ottobre 1238. È però possibile, se non addirittura più probabile, che la tenzone sia riferibile al periodo immediatamente successivo al fallimento della spedizione: a suggerirlo è proprio l’ironia che pervade l’intero componimento, rintracciabile non solo nella salace allusione all’insormontabile palenc, ma anche all’immagine del porteniers che si oppone agli invasori (v. 14). Del resto, ormai di ritorno in Provenza, è più verosimile che i due contendenti fossero più disposti a rievocare con distensione e rinnovato spirito l’amarezza degli eventi appena trascorsi.

 

 

Bibliografia

 

APg

Annales Placentini gibellini, in Monumenta Germaniae Historica. Scriptores. Annales Aevi Suevici, vol. XVIII, a cura di Georg Heinrich Pertz, Hannoverae 1863, pp. 457-581.

 

Archetti 2016

Gabriele Archetti, Le cronache bresciane di Giacomo Malvezzi, traduzione e note di Irma Bonini Valetti, Brescia 2016.

 

Aurell 1989

Martin Aurell, La vielle et l’épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris 1989.

 

Bosisio 1963

Alfredo Bosisio, «Il comune», in Storia di Brescia, 5 voll., a cura di Giovanni Treccani degli Alfieri, Brescia 1963, vol. I, pp. 559-710.

 

CfS

Chronica fratris Salimbene de Adam ordinis minorum, in Monumenta Germaniae Historica. Scriptores, vol. XXXII a cura di Oswald Holder-Egger, Hannoverae-Lipsiae 1905-1913.

 

CJM

Chronicon Jacobi Malvecii, in Rerum Italicarum Scriptores, a cura di Ludovico Antonio Muratori, vol. XIV, Mediolani 1729, coll. 791-1004.

 

De Bartholomaeis 1931

Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931.

 

Cesare Mascitelli

23.x.2017


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