Rialto

126.2

 

   

Duran Sartor de Carpentras

 

 

 

 

    I.
    Vill sirventes, leugier e venassal,
    vueilh de vills motz e vill raçon bastir;
    e ja tan fort no·l sabrai envelzir
4   qe·l vill baro, mensongier deslial,
    vill vas ells eis, e vas segl’e vas Dieu,
    vill mil aitan e plus qe non dic ieu;
    per qie·l vueilh far vill e dezavinen,
8   qar tan son vill lur croi captenemen.
     
    II.
    Ges no m’es grieu, s’ieu i pert mon jornal,
    q’ill ni miei chan no fan a car tenir;
    mas cell qi gen sap de mal dezeissir
12   pert son perdre, per qe·l perdres li val:
    per q’ieu, perden, gazainh sotil e lieu,
    qar sol d’aiço me sai desliurar breu,
    qe mot bastart me son ara valen
16   a mon trobar, e·l baro desplazen.
     
    III.
    E qar non vueilh mos chantars sapcha sal,
    ni c’om le dei’en nuilha cort grazir,
    i met primier, per desasaborir,
20   lo vieilh seinhor del Tor, qar ren no val;
    e·l sirventes tenra·n om per plus grieu;
    e no lo·l man en carta, ni en breu:
    ennanz lo·l dic, ab son ez a prezen,
24   qe dels avols lo tenc per menz valen.
     
    IV.
    E qar ieu eis afolli e desval
    lo sirventes, metrai y per delir
    lo mieg princep, qe nasqet al morir
28   de tot ver dig, per mensongier cabal;
    qe d’aqo ten obrador a renieu:
    don a tort ten del principat lo feu;
    e s’ieu·l lauziei en mas coblas, menten,
32   Dieus m’o perdon, q’ab ver dit m’en desmen.
     
    V.
    E qar amdui son avol per egal
    li Raimonet (tan c’om no·n deu ben dir)
    de Mezeilhon, hi metrai al fenir
36   (per tal coven qe ja Dieus no·ls mi sal,
    anz sion mort o pres enantz annieu),
    e·N Vassadell, si mas en els si plieu;
    qe·ls ha servitz en bada lonjamen;
40   mas qi croi serv, croi qiçardon aten.
     
    VI.
    Lo sirventes ten lo pe en l’estrieu,
    q’en moure es; per q’ieu no·l tenc per mieu,
    anz lo renec aici e·l desapren,
44   qez avols es, qar es fatz d’avol gen.

 

 

 

Traduzione

I. Un vile sirventese, facile e volgare, io voglio imbastire con parole vili su una materia vile; e, certo io non saprò svilirlo tanto come fecero i vili baroni, mentitori e sleali, vili verso loro stessi, verso il mondo e verso Dio, vili mille volte tanto e più non ne dico; così voglio fare il mio sirventese vile e spiacevole perché così è vile il loro basso comportamento.
II. Non mi spiace affatto se io vi ci perdo un giorno, perché quelli e le mie canzoni non rendono degno di pregio ma colui che ben sa ritirarsi dal male perde la sua perdita dacché questa perdita gli è di profitto; così io, perdendo, guadagno un poco, poiché solo di ciò so liberarmi facilmente: la parola falsa e i baroni spregevoli sono ora validi per il mio comporre.
III. E poiché non voglio che il mio canto piaccia, né che sia gradito in alcuna corte, vi ci metto per primo, per renderlo insipido, il vecchio signore di Thor che non vale nulla; e si stimerà il sirventese come il più malvagio; e non glielo mando per carta o per lettera: al contrario glielo dico con la melodia e pubblicamente, che lo considero il meno valente tra i malvagi.
IV. E poiché io offendo e svilisco il sirventese, vi metterò per distruggerlo, come mentitore perfetto, il mezzo principe che nacque al morir di ogni parola verace; che di ciò possiede bottega ad usura, per cui a torto possiede il dominio del principato; e se io lo lodai, mentendo, nelle mie strofi, Dio me lo perdoni, giacché sinceramente mi redimo.
V. E poiché entrambi i Raimondetti di Mévouillon sono ugualmente malvagi (sicché non se ne deve ben dire) li metterò alla conclusione (perciò conviene che Dio non li salvi anzi siano uccisi o catturati prima della fine dell’anno), e il signor Vassadel, se ancora di quelli si fida; che li ha serviti lungamente invano; ma chi un crudele serve, crudele ricompensa attende.
VI. Il sirventese tiene il piede nella staffa, perché è in attesa; dacché io non lo tengo per me anzi lo rinnego e lo dimentico, perché è malvagio poiché è fatto di gente malvagia.

 

 

Testo: Boutière 1930. – Rialto 30.x.2013.


Mss.: C 363v, To 9, M 235r.

Edizione critica: Jean Boutière, Les poésies du troubadour Peire Bremon Ricas Novas, Toulouse 1930, p. 81 (App. 1).

Metrica: a10 b10 b10 a10 c10 c10 d10 d10 (Frank 577:17). Sirventese di cinque coblas unissonans di otto versi e una tornada di quattro versi.

Note: Sebbene assegnato da M a Peire Bremon Ricas Novas, il componimento è da attribuire piuttosto, come secondo CTo, a Duran de Carpentras, trovatore che appare nelle rubriche di altri manoscritti come Peire Duran o Duran Sartre de Pernes. Concordano con l’attribuzione Martin Aurell, La vielle et l’épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris 1989. p. 74, e Paolo Di Luca, Il trovatore Peire Bremon Ricas Novas, Modena 2008, p. 70, che seguono entrambi la proposta di Boutière, che colloca il testo in appendice alla sua edizione di Peire Bremon Ricas Novas (p. 125). In particolare Aurell propone come autore del componimento un Peire Duran de Velorgues che, in un documento datato aprile 1196, appare come arbitro di una contesa riguardante possedimenti terrieri fra il prevosto dell’abbazia di Saint Paul de Mausole e la badessa de Saint Marcel de Cavaillon. Aurell sostiene che «aussi bien Carpentras que Pernes et Velorgues sont des localités situées dans le Comtat où le troubadour devait posséder des biens» ed il sirventese è rivolto proprio contro alcuni signori originari del Contado Venassino tra cui Guglielmo del Balzo. – Il trovatore, di cui si sa in realtà molto poco e a cui sarebbe attribuito un altro componimento databile sulla base di riferimenti interni al 1242, En talent ai qu’un sirventes encoc, BdT 126.1, si propone di scrivere un sirventese vile perché fatto da signori vili verso Dio, verso il mondo e verso sé stessi. Con un abile gioco di ripetizioni dell’aggettivo vill nella parte iniziale del sirventese, il cui incipit vede l’autodesignazione del genere, il poeta, sapientemente, pone le basi per lo sviluppo dell’invettiva contro i signori provenzali da cui intende prender le distanze. Così il trovatore, per rendere dapprima insipido il suo sirventese, introduce la figura del vieilh seinhor del Tor, che Aurell identifica come Ugo di Thor, membro del seguito di Alfonso II nella città di Arles nel 1208 mentre Joseph Linskill propende per Giraud Amic II, genero di Guglielmo del Balzo («An enigmatic poem of Raimbaut de Vaqueiras», The Modern Language Review, 53, 1958, pp. 355-363, alle pp. 357-358). Egli «ren no val» e finanche «dels avols» è reputato «menz valen». Nella quarta cobla poi, per svilire ulteriormente il suo vill sirventes, l’autore rivolge la propria invettiva a «lo mieg princep, qe nasqet al morir de tot ver dig». La formula ricorda molto da vicino il «Nostre mieitz princes» di Gui de Cavaillon nel sirventese Seigneiras e cavals armatz, BdT 192.4, rivolto a Guglielmo del Balzo. E non potrebbe essere che il principe d’Orange il personaggio a cui Duran de Carpentras si rivolge in questo sirventese. Il signore bausseno è ripreso aspramente dal trovatore del Contado Venassino per la sua ambiguità, molto probabilmente per esser venuto meno a dei patti precedentemente stabiliti, esperto nel tradimento, «mensongier cabal qe d’aqo ten obrador a renieu». Secondo l’autore del sirventese, Guglielmo del Balzo non meriterebbe il principato d’Orange che controlla e, qui il testo si fa interessante, l’autore chiede perdono a Dio di averlo lodato nelle sue coblas e dice di averlo fatto mentendo mentre ora si redime con parole veraci. Purtroppo non ci restano del trovatore altri componimenti se non il già citato En talent ai qu’un sirventes encoc che fa riferimento esclusivamente ad eventi molto posteriori al periodo di attività del principe d’Orange. Ma questa affermazione potrebbe essere, una volta di più, una conferma dell’attività di mecenate di trovatori svolta da Guglielmo del Balzo o quanto meno testimoniare la svolta che numerosi trovatori compirono nel valutare l’operato del principe d’Orange in seguito alla sua partecipazione alla Crociata contro gli Albigesi ma non solo, come vedremo più avanti. Il trovatore conclude la sua rassegna di vill baro citando i due Raimonet de Mezeilhon, Raimondo e Guglielmo di Mévouillon, parenti proprio di Guglielmo del Balzo e Vassadel, membro della famiglia di Venasque, per molto tempo al loro servizio. – L’autore di questo sirventese che, come si evince dalla tornada, brama di volersi rapidamente liberare del componimento, facendo sì che questo possa partire e girare per le corti provenzali al più presto, si schiera contro questi signori provenzali per una ragione particolare. Come evidenziato da Aurell, La vielle, p. 74, il nome di Duran de Velorgues è presente «dans la liste des témoins de l’arbitrage de juin 1220 par lequel étaient définitivement établis les droits respectifs sur le comté de Forcalquier de Guilhem de Sabran et de Raimon Bérenger V». – Il trovatore avrebbe dunque seguito la contesa tra i signori d’Aragona e quelli di Forcalquier per il controllo di ampie zone della Provenza, schierato dalla parte degli Aragonesi al contrario di quanto aveva fatto invece il principe d’Orange, dalla parte della famiglia di Forcalquier per legami di parentela ma, probabilmente, anche per avere un maggior spazio di manovra nell’appropriarsi delle terre provenzali del Contado Venassino. Negli anni in cui infuriava la Crociata contro gli Albigesi che vedeva i conti di Tolosa lottare assieme agli Aragonesi contro gli eserciti francesi guidati da Simon de Monfort, alcuni signori provenzali ne approfittavano per estendere i propri domini. Guglielmo del Balzo era tra i più attivi nella corsa all’allargamento dei propri domini e la quarta cobla di questo sirventese potrebbe essere un riferimento al tradimento che il principe d’Orange perpetrò ai danni di Raimondo VI di Tolosa. Come ci informano le fonti storiche infatti (cfr. Louis Barthélemy, Inventaire chronologique et analytique des chartes de la maison des Baux, Marseille 1882, p. 41), alla vigilia della nuova scomunica di Raimondo VI, nel luglio 1210, Guglielmo del Balzo s’era legato al conte di Tolosa con un giuramento di fedeltà e con la promessa di difesa contro i suoi nemici in cambio della cessione in feudo di diversi territori che andavano a formare il Principato d’Orange nel Contado Venassino. Ma dopo il concilio di Montpellier con il quale Raimondo VI e Tolosa divenivano nuovamente i nemici designati della Crociata, Guglielmo del Balzo era venuto meno ai suoi impegni e si era schierato a favore dei crocesegnati contro il conte di Saint Gilles di cui aveva immediatamente iniziato ad occupare i territori provenzali. A proposito dell’autorità di Guglielmo del Balzo nel Contado, al 1214 risale una sentenza d’arbitrato in cui il principe d’Orange decideva in merito a delle contese circa territori insistenti nel Venassino tra Dragonetto di Montauban, fedele al conte di Tolosa, e il Raimondo de Mévouillon citato nel Vill sirventes di Duran de Carpentras. Ovviamente il principe d’Orange si esprimeva in favore di Raimondo, imponendo al partigiano della casa di Saint Gilles di cedergli i propri possedimenti nell’area (Barthélemy, Inventaire chronologique, p. 44). – Come conferma la lettura di En talent ai qu’un sirventes encoc, Duran de Carpentras si rivela un partigiano della causa tolosana e un avversario dei Francesi, nemici principali dei signori meridionali schierati contro la crociata. Un trovatore così allineato non poteva che andare a colpire quei signori provenzali, quei traditori opportunisti che durante la prima Crociata contro gli Albigesi si erano approfittati della situazione sfavorevole ai conti di Tolosa e ai loro alleati per arricchirsi ai loro danni. Per queste ragioni sarei propenso a datare il sirventese tra l’aprile 1211 e il giugno 1218 ossia dal voltafaccia di Guglielmo del Balzo a Raimondo VI di Tolosa alla sua uccisione da parte degli Avignonesi.

[fsa]


BdT    Duran Sartor de Carpentras