Rialto    IdT

151.1 = 111.2

 

   

Folco  ·  Cavaire

 

 

 

 

   
   

I.

   
   

Cavaire, pos bos joglars est,

 

Cavaire, poiché siete un buon giullare, ditemi perché perdeste il piede: avete scassinato la sagrestia, o ucciso un pellegrino sul cammino? Tutti dietro di voi vi fanno boccacce, ma io vi garantisco impiccagione e rogo.

   

digatz me per qe·l pe perdest:

 
   

aviatz crebat lo revest-

 
4  

or, o mort romeu el cami?

 
   

Qe tuit vos fan detras boci,

 
   

mas penr’e ardre vos afi.

 
   

 

   
   

II.

   
   

Cavaliers, pos joglars lo vest,

 

Cavaliere, dal momento che giullare lo veste, di cavalleria si disveste, giacché un giullaretto del marchese d’Este, Folco, v’ha così vestito; e se mi domandate che mi ferì, io vi domanderò chi vi vestì.

8  

de cavalaria·s desvest,

 
   

c’us joglaretz del marqes d’Est,

 
   

Folco, vos a vesti ab si:

 
   

e se·m demandatz qi·m feri,

 
12  

e·us demanderai qi·us vesti.

 

 

 

 

Testo: Luca Gatti, Rialto 8.v.2018. 


2. Il verso, che mostra fra l’altro un uso abbastanza marcato dell’allitterazione, allude a una pena fisica subita da Folco in quanto reo di atti sacrileghi (vedi i vv. 3-4). Quantunque tali forme di punizione siano previste, ad esempio, da Alberto da Gandino nel suo De maleficiis (su cui vedi almeno Andrea Zorzi, «Menomare e sfigurare come atti di giustizia», in Deformità fisica e identità della persona tra Medioevo ed età moderna. Atti del XIV Convegno di studi organizzato dal Centro di studi sulla civiltà del tardo medioevo (San Miniato, 21-23 settembre 2012), a cura di Gian Maria Varanini, Firenze 2015, pp. 119-135, a p. 128), occorre tenere presente che questa composizione, connotata da diverbi e improperi propriamente giullareschi, rientra a pieno titolo nel filone della cosiddetta «accademia tabernaria» (espressione coniata da Gianfranco Folena, «Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete», in Id., Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, pp. 1-138, a p. 66), «cui, oltre Sordello, Joannet d’Albusson, Cavaire e F[olco] appartenevano anche Messonget, Guilhem de la Tor, Uc de Saint Circ» (Giuliana Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense. Posizioni vecchie e nuove della critica e testi, Pisa 1981, p. 85): le situazioni descritte, di cui si coglie un certo gusto per l’iperbole, non saranno da ritenersi dunque del tutto realistiche. Ad ogni modo, è significativo notare che anche Bonafos allude alla medesima pena comminata a Cavaire (in virtù dello stesso crimine), in Bonafos, yeu vos envit (BdT 111.1 = 99.1), vv. 28-36: «Ben aia selh que·us ferit, / Cavaire, del ferramen / que tan gen vos meschauzit / qu’anc pueys non anetz corren! / Merce·y fetz e chauzimen, / que romieus, so·n van comtan, / anavatz estrangolan; / e selh que vay ab lairos / tanh l’en aitals guazardos».

3-4. I versi sono privi di senso nell’intera tradizione manoscritta; il ms. H è ipometro di una sillaba al v. 4. Si accoglie l’emendatio di Crescini, che restaura la rima spezzata revest-or (sul significato del termine cfr. TL, VIII:1239, con rimando alla forma revestïaire, ma si veda l’articolato commento di Crescini, «Revestor», p. 48), espediente raro ma che ben si confà all’andamento del passo. La forma verbale corretta, crebat (ricavabile dal confronto con l’erronea cremaz di P, che pur lascia intendere la lezione originaria, e la forma banalizzata trobat di H), è già suggerita da La Salle de Rochemaure - Lavaud che, sebbene presentino un testo occitano perfettibile («Aviatz crebat lo revest / O mort romeu en lo cami?»), intuiscono nella traduzione il senso del passo: «Aviez-vous pillé avec effraction le trésor d’une église / Ou tué un pélerin dans le grand chemin?». Come che sia, revestor è hapax in occitano: la congruità della lezione è però giustificabile dal raffronto con la metafora della vestizione cavalleresca ampiamente sviluppata nella cobla seguente. La sagrestia, infatti, è il luogo «dove i sacerdoti preparavansi, e preparansi, agli offici ed ai riti rivestendosi dei sacri paramenti prescritti» (Crescini, «Revestor», p. 48): Folco coglierà lo spunto etimologico per rispondere acremente con un’articolata invettiva (si contano infatti quattro occorrenze di vestir e derivati nella cobla di risposta). Non accettabile è, dunque, la traduzione di De Bartholomaeis: «Avevate forse incorso in un’aggressione ovvero in un (pericolo di) morte durante il romeaggio?».

5. fan detras boci. Nella poesia occitana si rinvengono altri esempi di tale espressione: vedi No·m lau de midons ni d’amor (BdT 5.2), vv. 21-22 («quascus s’en guaba e s’en ri, / gieta lengua e fai bosci»), e Fals semblans e mot deslials (BdT 246.25), vv. 7-8 («c’aisi co vos tenres vostre cami, / ilh vos faran de la lengua bossi»).

6. La lezione di H, mas eu per me be vos n’afi, seguita da Ugolini e De Bartholomaeis (che traduce «io ve lo assicuro»), sembra ad ogni buon conto facilior, e dunque da scartare, anche perché non aggiunge alcunché al discorso e parrebbe, a tutti gli effetti, un semplice riempitivo. Folco vuole infatti comminare a Cavaire una pena ben maggiore del taglio del piede: la lezione corretta è intuibile, con alcuni aggiustamenti, dal testo di P (che pur si rivela privo di senso). Rispetto alla lezione messa a testo da Crescini («mas pendre, ardre vos afi») si propone un intervento correttorio con scarto paleografico minimo.

12. Si preferisce il costrutto del ms. P rispetto a quello del ms. H, per garantire un parallelismo con il v. 11.

[LG]


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Testo    Circostanze storiche