Analisi dei manoscritti: L’ampia tradizione della fortunata canzone, trasmessa da 20 testimoni in tradizione diretta e altri 2 recuperi in tradizione indiretta, nonché dotata di notazione musicale in tre mss. (GRX), è caratterizzata da due aspetti principali: da un lato essa non presenta un’ampia variabilità e le lezioni dei raggruppamenti possibili non divergono mai in maniera radicale; dall’altro i gruppi stessi sono determinabili con difficoltà, in quanto molti manoscritti concordano tra loro in modo incostante, ciò che segnala la presenza di un’ampia contaminazione e il ricorso abituale a fonti plurime collazionate e mescolate. A livello strofico l’ordinamento maggioritario, preferibile dal punto di vista della consecuzione logica e probabilmente autentico, di DaGIKMN”OQV+SU si oppone a quello di ARTa1p e di Cf; questa ripartizione trova corrispondenza, in effetti, nella presenza di raggruppamenti più piccoli: in ARTa1p (che è visibile come gruppo ai vv. 14 + CV e senza p, 16, 17 + MO e senza p, 23 + MN”O, 38, 40 senza p, 42 + V e senza T, 47, 48 senza p, 49 + GSU; a questo gruppo s’accosta per lo più α) si riconoscono i gruppi Aa1 (vv. 9 + Da, 21) e RT (vv. 27, 28, 30 + V, 34, 39 + A, 41 + V, 47 + M, 57 + G). Cf è confermato come gruppo dal v. 54 (e v. 47 + V) e dall’omissione del v. 38 (errore congiuntivo comune a O), ma in generale i due mss. sono altamente mobili e si spostano tra le lezioni presenti negli altri testimoni, com’è lecito attendersi in due compilazioni sicuramente costituite a partire da fonti plurime; C condivide peraltro un errore congiuntivo anche con M (inversione dei vv. 42-43, difficilmente fortuita), ma anche questa connessione è del tutto efimera e i due testimoni sono, per il resto, concordi solo in lezione presumibilmente buona. Un’eventuale tradizione occidentale costituita da CVXf (cfr. v. 16) è veicolata da mss. di posizione fortemente mobile. Gli altri mss. si raggruppano, ai piani bassi, secondo costellazioni note: DaIK (vv. 15, 22, 31, 35, 36 + V, 37, 38, 43, 45, 47, 48, 49; IK più vicini: vv. 4, 7, 8, 11, 13, 14, 17, 18, 23, 27, 50, 54, 56, 59, 60, tornada + A), MO (vv. 14, 20, 40, 53, 55, 56, 57, 58), GQSU (vv. 9 + TV, 14 + Da, 17 – ma qui GQS vs. UX cfr. sotto –, 18a + IK, 18b + fp e senza G, 20, 27 senza G, 33 + Cfp, 34 + Cf, 35 + fp, 36 senza G, 38, 39, 55 + DcMO con Q mancante; nonché gruppi più piccoli come SU vv. 11, 45, 47 + CVf, 48, 50, 53, 54, 57; QU vv. 20; GS vv. 20 + Da (desreng),  32 + Cp; QS vv. 29; si vedano tuttavia le tendenze centrifughe in gruppi quali UX vv. 8, 15 + Q, 17, oppure UVf v. 40). Anche in questi casi bisogna avvertire che ogni singolo testimone (in particolare Da, G – soprattutto nella str. V –, M, O) mostra frequentemente anche allineamenti divergenti rispetto a quelli prevalenti. Così il ms. N si affianca spesso al gruppo ARTa1p, ma altrettanto spesso, soprattutto nelle strofe V e VI (trasmesse anche da una prima trascrizione in coda ad una canzone di Peire Vidal che chiamo N’ e che è fortemente solidale con N” ai vv. 48 + G, 49, 50 + Da), procede assieme a DaIK (e G: vv. 41, 42, 45, 55 + MO, 56 + SU, 58 + AV). A causa della mobilità dei testimoni, una maggiore precisione nel loro raggruppamento non è conseguibile: i piani medi dovevano essere fortemente coinvolti in fenomeni di tradizione attiva e di contaminazione, sicché sfuggono anche legami pur presumibili, presenti altrove nella tradizione trobadorica, quali la vicinanza di GQSU alla tradizione occidentale (in ispecie a Cf come nella str. IV) o la vicinanza di V sia a R (ai vv. 6, 8 RV hanno lezioni comuni) sia alla tradizione occidentale (testimoniate entrambe per quel che riguarda il ms. catalano). La scelta del testo da proporre riposa sulla possibilità di riconoscere in una o in un’altra redazione elementi innovativi o banalizzanti (che risultano evidenti qualora caratterizzino solo coppie di mss. fortemente solidali come IK), giacché un criterio anche blandamente stemmatico è in questo caso impraticabile; in linea generale, si è preferita la lezione dei mss. GQSU, i quali, a seconda dei luoghi, ricevono il supporto d’uno o più d’uno dei restanti gruppi di manoscritti. – Così al v. 8 la lezione di AMa1+RV+α ni en ver (al ver α, en be RV) qe nois feigna, che riguarda anche il verso seguente (Aa1Da+Vpα), ha coinvolto una parte del gruppo ARTa1p nel quale ha forse avuto origine o nel quale era alternativa alla lezione a testo, al fine di chiarire i rapporti sintattici tra le frasi. Al v. 14 la diffrazione è scaturita probabilmente da un’ipometria d’una sillaba (cfr. IK) compensata con pois in ACRTVa1α, d’els DaGQSU (a testo), commutazione e > pero in MO e altri interventi singolari nei restanti mss. Al v. 17 le lezioni si se cuidan di GQS e se cuian be di UXα sembrano essersi generate all’interno del gruppo GQSU seguito da Xα, allorché i restanti mss., distribuiti – col beneficio del dubbio – su più raggruppamenti, trasmettono una lezione concorde che viene pertanto preferita; lo stesso accade per gratz (GQSU+IK) e bes (ADaMNORTVXa1fpα; C legge ioi) al v. 18, dove tuttavia vi sono anche raggruppamenti differenti (ACDaGNRTVa1 – cioè ARTa1 con altri testimoni: cove; IKMOXα: eschai; QSUfp: tang; è soprattutto la posizione di G a non essere coerente). Al v. 20 la lezione pren un drut di GQSU è parimenti interna a questo gruppo, a fronte di a un drut di ACIK e sofr’un drut di DaMNORTVfpα; quest’ultima risulta a tutti gli effetti più attestata e più difficile, sicché le lezioni concorrenti paiono banalizzanti (in a1 vi è forse una doppia lezione negativa). Al v. 23 l’alternativa tra gens (DaDcFGIKQSUVf) e bels (AMNORTa1p) viene risolta a favore della prima lezione, ripetitiva rispetto al verso precedente e per questo forse modificata da ARTa1p e MO (ma l’argomento non vuol essere conclusivo). Al v. 27 è il forte iato tra sola e amors ad aver generato tutte le possibili alternative. Al v. 30 si segue l’ordine delle parole presente in CDcFGNOQSUf (opposto a quello di ARTa1p-DaIK-M-V). Nella str. IV seguo le lezioni del gruppo GQSU, appoggiato da Cfp ai vv. 33-35 e isolato al v. 38 (verso omesso da COf). Ai vv. 41-45 la diffrazione delle lezioni è spiegabile a partire dalla lezione a testo, che presenta una sintassi complessa che è stata semplificata da alcuni gruppi di mss. con esiti tuttavia non soddisfacenti, che hanno lasciato le frasi incompiute o richiesto ulteriori interventi; ai vv. 47-48 si segue la lezione maggioritaria senza elementi di scelta decisivi, mentre al v. 50 la lezione estort (AIKMRVa1fp) è preferita alla lezione guarit (CDaG+N’N”+SU) che ha tutta l’aria d’essere una glossa (si noti che T ha una doppia lezione negativa). Se al v. 53 la lezione di C-IKf+MO è ampiamente minoritaria (e non coerente al proprio interno), al v. 55 seguo la lezione di GSU (in Q la strofa manca) confermata solo in parte dagli altri testimoni (in particolare per la variante degratz in luogo di devetz); al v. 56 la lezione a testo è la più ragionevole a fronte di una forte varianza del rimante ed è trasmessa da ADcGTa1: l’ordine dei sintagmi è confermato da CRf, la lezione merce è garantita da CMRf, mentre il rimante honors (ADcGTa1p) è l’unico possibile, una volta eliminate le singulares di C, R, MO (si noti, a conferma dell’ampia possibilità di interventi testuali, che MO, tuttavia, non coincidono nella porzione di verso precedente) e una volta esclusa la lezione dousors (DaIKN’N”SUf) ripetuta al v. 59, dov’è presente in tutti i testimoni tranne DaN’UV (che l’invertono proprio con honors). La lezione del v. 58 è preferibile per numero e raggruppamento dei mss. in quanto la lezione concorrente è trasmessa dalla sola tradizione orientale. Grafia: C.

Ordine delle strofe:

    I II III IV V VI T
  IK 1 2 3 4 5 6 7
  DaGMNʼʼV 1 2 3 4 5 6 -
  SU 1 2 3 4 6 5 -
  O 1 2 3 4 - 5 -
  Q 1 2 3 4 - - -
  A 1 2 3 6 4 5 7
  RTa1p 1 2 3 6 4 5 -
  C 1 2 4 6 3 5 -
  f 1 2 4 5 3 6 -

 

Datazione e circostanze storiche:

La datazione della canzone può essere fondata sulla base della strofa VI, ma non può pretendere d’approdare ad una precisione inconfutabile; la strofa in questione fa riferimento all’intenzione dell’io lirico di intraprendere un viaggio di romavia, di “pellegrinaggio”, part Lombardia “oltre, al di là della Lombardia”, cioè l’Italia. L’intenzione e il viaggio stesso di Gaucelm Faidit sono confermati da altri testi, quali BdT 136.3, 167.9, 167.14, 167.19, 167.33, 167.36, 167.50, 167.58. Come spesso avviene in questo trovatore, il dato biografico è volutamente mescolato alla finzione cortese della canzone (si veda l’edizione di BdT 167.33, 167.36, 167.58; persino nel canto di ritorno BdT 167.19 vi è l’innesto di un tema cortese nella str. II), sicché chi dice io nel testo afferma di non poter partire senza essersi preventivamente riconciliato con la dama, dalla quale egli è fuggito dopo che ella l’aveva gratificato (str. IV; amplificato nella str. V). Questo tema è un vero e proprio marchio di fabbrica di Gaucelm (si veda, su questo sito, il commento a BdT 167.36 con citazione dei luoghi paralleli e bibliografia e, inoltre, il commento a BdT 167.33) ed è, pertanto, improbabile che si tratti di un elemento autobiografico; sarà piuttosto un elemento finzionale, sfruttato per introdurre un blando accenno d’autobiografia (dunque, non bisognerà prenderlo come indizio d’un litigio intercorso tra Gaucelm e la dama – e specificamente Maria de Ventadorn –, così come preteso da Mouzat, Les poèmes..., p. 449). Tale accenno si fonda, inoltre, su un evidente precetto evangelico, in quanto fa sicuro riferimento a Matteo 5, 22-24: «Io, invece, vi dico: chiunque s’adira con il suo fratello sarà sottoposto al giudizio (...). Se dunque tu sei per deporre sull’altare la tua offerta e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa a tuo carico, lascia la tua offerta davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; dopo verrai ad offrire il tuo dono» (si veda anche la nota ai vv. 53-54); il concetto è ribadito al v. 55 con la menzione della patz (che rinvia senza dubbio al liturgico osculum pacis) e al v. 60 con la menzione del perdono divino, che suggella la strofa. Gaucelm gioca, dunque, con il tema amoroso prediletto (la fuga ingiustificata dalla dama, intesa come torto dal punto di vista cortese e come peccato da quello cristiano) e, in virtù della reminescenza evangelica ben nota agli ascoltatori, può collegare il tema cortese all’intenzione biografica di compiere un pellegrinaggio in Terra Santa – per così dire – con le carte in regola. Che si tratti della Palestina, è reso chiaro dalla determinazione geografica contenuta nel complemento part Lombardia: per chi veniva dalla Francia, un pellegrinaggio «al di là dell’Italia» mirava senza dubbio a Gerusalemme. La Lombardia si ritrova anche in BdT 167.14, v. 52, dove Gaucelm dice che vi lascia Mon Thesaur (Bonifacio I di Monferrato), sicuramente dopo che questi fu nominato capo della crociata nell’agosto del 1201 (cfr. v. 53). Vincenzo De Bartholomaeis (Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. I, pp. 104-105 e «Due ‘coblas esparsas’ inedite del sec. XIII», Studi medievali, 7, 1934, pp. 64-71) collega i due luoghi testuali e conclude che, poiché, dopo essere stato eletto capo della crociata a Soissons nell’agosto del 1201, Bonifacio tornò in Italia solo nel marzo del 1202, Gaucelm avrebbe potuto dire che lo lasciava in Italia o perché egli stesso stava rientrando in Provenza o perché egli partiva in pellegrinaggio. Ma la prima possibilità (che Gaucelm lasci in Lombardia Bonifacio perché torna in Provenza) sarebbe accettabile solo se Gaucelm fosse partito più tardi rispetto alla partenza dei crociati da Venezia nell’ottobre del 1202 (cfr. l’opinione di Lewent e Crescini riguardo al 1203 più avanti), altrimenti si dovrebbe dedurre, su queste basi, che egli abbia compiuto un viaggio dall’Italia alla Provenza e un secondo viaggio dalla Provenza all’Italia nel giro di pochi mesi nella primavera ed estate del 1202, ciò che è inverosimile (comunque per tale ipotesi propende implicitamente Robert Meyer, Das Leben des Trobadors Gaucelm Faidit, Heidelberg 1876, pp. 42-43). Giacché di una partenza ritardata al 1203 non vi sono prove (tale non è neppure l’accenno contenuto in BdT  167.36, su un ritardo occorso al trovatore; cfr. sotto), è dunque più che probabile che la str. VI di BdT 167.14 sia stata composta a ridosso della partenza da Venezia (dunque Gaucelm dice che lascia Bonifacio in Lombardia perché il trovatore parte da Venezia con il grosso della spedizione nell’ottobre 1202, mentre Bonifacio li raggiungerà a Zara solo più tardi: cfr. Datazione di BdT 167.14 su questo sito). Identica intenzione potrebbe essere espressa anche nella str. VI di BdT 167.6. Se quindi le due menzioni della Lombardia (in BdT 167.14 e BdT 167.15) fossero da collegare e si riferissero all’attraversamento dell’Italia al fine di raggiungere l’imbarco verso la Terra Santa, bisognerebbe concludere che la nostra canzone sia stata composta qualche tempo prima della partenza di Gaucelm in direzione di Venezia all’incirca nel 1202; tale datazione è indirettamente confermata da altri accenni dell’autore alla propria partenza e al proprio viaggio, collocabili in quell’anno (cfr. Datazione di BdT 167.9, 167.14, nonché BdT 167.36). È pur possibile che con la menzione della Lombardia Gaucelm volesse semplicemente indicare l’intenzione di percorrere, nella prima fase del pellegrinaggio, la via terrestre per l’Italia (che era quella più comune e meno costosa) e non la via marittima che da Marsiglia o Genova cabotava il Tirreno, toccando Napoli e Salerno, fino a Reggio o Messina, per raccordarsi poi alle rotte che partivano dalla Puglia (quelle più usate dai pellegrini in questo periodo); questa considerazione non influisce sui termini cronologici della questione, ma geograficamente rende estremamente inverosimili le supposizioni di Kurt Lewent (Das altprovenzalische Kreuzlied, Erlangen 1905, p. 25 e «Zu einer neuen provenzalischen Cobla und einem Liede des Gaucelm Faidit», Neuphilologische Mitteilungen, 37/2, 1936, pp. 81-85, a p. 84), sostenuto da Vincenzo Crescini («Canzone francese d’un trovatore provenzale», Atti e memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Padova, 26/1, 1910, pp. 63-105, in part. 79-86), secondo i quali Gaucelm sarebbe partito da Marsiglia nel 1203: per la determinazione dell’anno di partenza Lewent e Crescini trascurano il v. 52 di BdT 167.14 e si appoggiano piuttosto al ritardo espresso in BdT 167.36, canzone, tuttavia, composta tra 1199 e il 1202, senza che si possa meglio precisare la data e senza che da essa si possano trarre garanzie cronologiche (Gaucelm vi dice che partirà con un po’ di ritardo per un pellegrinaggio, ma nessuno può dire con esattezza quando egli avesse originariamente programmato di partire, né quindi a che epoca si collochi tale ritardo). Inoltre, i due studiosi si giovano di vacue interpretazioni della seconda tornada di BdT 167.9, che menziona Baldovino delle Fiandre e il pros marques Bonifacio I di Monferrato (a proposito della seconda tornada di BdT 167.9 si veda l’edizione su questo sito, ma anche i dubbi da me espressi nell’edizione di BdT 167.58, nota alla str. VII, circa la sua soppressione nel testo di Meliga): tale tornada invoca la protezione divina e il buon esito del viaggio sia per i pellegrini sia per Baldovino e Bonifacio e, lungi dal palesare un momento cronologico preciso, è stata probabilmente composta in itinere (si veda ancora BdT 167.58, Datazione e nota alla str. VII). Ancora, Lewent e Crescini si richiamano all’uso dei modi verbali della nostra str. VI (condizionale II dell’irrealtà), dove tuttavia l’irrealizzabilità della frase ipotetica non è da riferirsi al viaggio che non è affatto incerto, bensì al perdono della dama che è ancora in dubbio. La loro datazione mostra pertanto scarsi margini di credibilità. Infine, registro altre due ipotesi poco sostenibili: fondata sul presupposto evanescente ed errato che i rapporti tra Gaucelm Faidit e Maria de Ventadorn, a cui è dedicata la tornada trasmessa solo da AIK, si siano esauriti entro il 1195, è la datazione di Mouzat, che riferiva il testo al 1189 o al più tardi all’inizio del 1190; l’infondatezza di tale prospettiva è chiarita da Robert Lug («Gaucelm Faidit et Maria de Ventadorn, vivaient-ils encore en 1235?», in Gaucelm Faidit: amours, voyages et débats. Trobada tenue à Uzerche les 25 et 26 juin 2010 (Cahiers de Carrefour Ventadour 2010), Ventadour 2011, pp. 71-131), Giorgio Barachini («Una (quasi) nuova canzone di Gaucelm Faidit (BEdT 167,4a) e il suo quadro culturale», in Le forme del tempo e del cronotopo nelle letterature romanze e orientali, a cura di Gaetano Lalomia et alii, Soveria Mannelli 2014, pp. 561-579) e Walter Meliga («Gaucelm Faidit et la (les) croisade(s)», in Gaucelm Faidit: amours, voyages et débats, Ventadour 2011, pp. 25-36) e si vedano anche su questo sito le edizioni di BdT 167.33, 167.36 e 167.58: i rapporti tra Gaucelm e Maria sono indatabili con precisione, ma certo improntano di sé l’intera carriera del trovatore, che travalica gli anni della quarta crociata e si conclude dopo il 1206 (l’ultima notizia sicura di Maria è, ad ogni modo, del 1220). Tuttavia, anche le datazioni di Lug sono poco verosimili: una datazione di BdT 167.14 al 1221-1223 (e conseguentemente anche del nostro testo) è respinta a ragione da Meliga nell’edizione del testo su questo sito (in particolare nella nota al v. 52).

 

Note al testo:

La canzone mostra almeno tre aspetti tipici della produzione poetica di Gaucelm Faidit: procedimenti d’accumulo che coprano la prima parte della strofa (qui le str. I e III); la dichiarazione di un torto e di un abbandono commesso nei confronti di una dama che si era mostrata generosa verso l’io lirico (come si è già detto, il tema è un marchio di fabbrica di Gaucelm; cfr. § Datazione); la commistione e il trapasso dal contenuto cortese agli accenni a un programmato pellegrinaggio in Terra Santa, che coinvolgono l’ultima parte del testo, in ispecie la str. VI (la quale, grazie alla sua collocazione, poteva essere omessa a piacimento, restituendo al testo una dimensione esclusivamente cortese). La disposizione delle strofe presente in DaGIKMN”OQV (+SU che invertono solo penultima e ultima strofa) conferisce, inoltre, un consequenzialità logica alla canzone che muove dalla decadenza generale dei costumi cortesi (str. I) per passare alla condanna del comportamento di quei drudi e di quelle donne che vogliono avere più d’una relazione sentimentale contemporaneamente (str. II) e per concentrarsi sull’illiceità per le donne di avere o desiderare due amanti. Dalla str. IV il discorso, dopo un breve riepilogo di taglio generale (vv. 30-34), si fa personale (ma non autobiografico!) e chi dice io nel testo confessa d’essere anch’egli uno dei drudi ingannatori e d’aver abbandonato la donna dopo che ella l’aveva accolto; pertanto dichiara (str. V) che, se la donna volesse perdonargli la mancanza, le sarebbe fedele per sempre (cfr. qui sopra i luoghi paralleli in Gaucelm). La str. VI unisce, come si diceva, la finzione cortese della richiesta di perdono ad un accenno autobiografico (il progetto di andare in pellegrinaggio) attraverso una reminescenza evangelica. L’ordine strofico di ARTa1p è chiaramente errato, in quanto la collocazione della str. IV in ultima posizione crea un passaggio dalla str. III alla str. V, privo di ogni consequenzialità logica; ancor più scoordinato risulta l’ordine di C e di f, con ripetuti passaggi dal generale al personale. Per le questioni ecdotiche si veda il § Analisi dei manoscritti.

14-15. Essere cubertz e celatz è di solito titolo di vanto per il drudo leale, che in tal modo garantisce alla dama la necessaria discrezione (cfr. BdT 167.42, vv. 45-46, amors no pot gaire durar / qi no·l pot cubrir ni celar; Breviari, vv. 31829-31834, Cosseilhs es doncs que fis aimans / (...) guar se, sobre tota re, / que sabcha cobrir e selar, si vol de donas som pro far); Gaucelm, tuttavia, sta probabilmente giocando con il significato abituale dei termini e sta dicendo che i drudi adottano, sì, il comportamento cortese che prescrive di celare il proprio amore, ma non a fin di bene a vantaggio della dama, bensì per nascondere le proprie cattive azioni vas totz latz, cioè i loro interessi anche per tutte le altre dame.

17. Stante la correlazione tra il pus del v. 16 e il plus del v. 17, la congiunzione et all’inizio del verso 17 ha valore intensificativo e asseverativo ed è comune all’inizio di una frase comparativa (cfr. Frede Jensen, The Syntax of Medieval Occitan, Tübingen 1986, § 451).

25. Per l’uso del caso soggetto cor asigmatico, si veda Giorgio Barachini, «Cor comme nom particular en ancien occitan et le rôle du Consistori del Gay Saber dans la création de la norme grammaticale», in Los que fan viure e treslusir l’occitan. Actes du Xe Congrès de l’Association Internationale d’Études Occitanes (Béziers, 12-19 juin 2011), édités par Carmen Alén Garabato et alii, Limoges 2014, pp. 186-193 con bibliografia.

37. non es dregz vale letteralmente «non è diritto, non è consequenziale», cioè «non è sicuro, non è scontato»; que iamais en revenha significa «che io ritorni mai più da lì, dall’aver appreso cattivi costumi», cioè «che io me ne emendi, che io possa ritornare sulla giusta strada».

39-40. Tema tipico di Gaucelm Faidit è la fuga dalla donna, una volta che ella ha concesso all’io lirico un bels plazers (qui v. 41): si vedano i riferimenti già indicati nel § Datazione.

41-46. La costruzione sintattica è particolarmente intricata, ciò che ha indotto alcuni copisti all’intervento testuale: soggetto del verbo afrancar «addolcire, ammansire» (v. 43) è il bels plazers honratz (v. 41); quale sia tale piacere, è espresso, a mo’ d’apposizione, dal v. 42 (l’essere accolto nella signoria della donna, divenire suo spasimante ufficiale). Il bel piacere che dovrebbe essere concesso deve dunque divenire ancora più dolce grazie al perdono. Si noti che il verbo afrancar è particolarmente raro, ma Gaucelm lo usa in contesto identico anche in BdT 167.58, v. 34.

49-50. Golfier de Las Tors (lat. Gulpherius de Turribus), vissuto a cavallo dei secoli XI e XII, fu un cavaliere crociato della prima crociata, dove si distinse come uno dei combattenti più arditi e uno dei principali condottieri dell’armata. Golfier era limosino e divenne nei decenni successivi alla crociata un eroe – per dir così – nazionale; in questa luce va vista la menzione di Gaucelm Faidit, anch’egli limosino. La canzone fa riferimento a una leggenda, secondo la quale Golfier avrebbe salvato un leone intrappolato nelle spire d’un serpente; il leone sarebbe poi rimasto fedele al cavaliere aiutandolo sia nella caccia sia in battaglia. Una nota anonima aggiunta alla fine della Cronaca di Geoffroy de Vigeois dice al riguardo che «accidit una die quod [Gulpherius] rugitum cujusdam leonis a serpente circumligati audivit; et audacter accedens, leonem liberat. Qui, quod admirabile dictu est, memor accepti beneficii eum sequitur, sicut unus leporarius; qui quamdiu fuit in terra illa, nunquam recedens, multa commoda illi tulit, tam in venationibus quam in bellis: dabat carnes venaticas abundanter, et adversarium domini sui cursu velocissimo prosternebat» (RHGF, p. 428 [491]; «accadde un giorno che Golfier udì il ruggito di un leone avvinto da un serperte; e assalendolo coraggiosamente, libera il leone. Questi, il che è prodigioso a dirsi, memore del beneficio ricevuto lo segue come un levriero e per tutto il tempo che Golfier rimase in quella terra, senza allontanarsi mai, gli procurò molti vantaggi, tanto nelle battute di caccia quanto nelle battaglie: portava cacciagione in abbondanza e atterrava ogni nemico del suo signore con una corsa velocissima»). Pur di non allontanarsi da Golfier al momento del ritorno in patria, dopo che i marinai non avevano concesso che salisse sulla nave, il leone mostrò ancora la propria fedeltà, seguendo l’imbarcazione a nuoto, finché non morì annegato. È piuttosto evidente che l’episodio dell’uccisione del serpente è lo stesso che Chrétien de Troyes ha inserito nel Chevalier au lyon (vv. 3343-3409), rendendone Yvain protagonista, all’incirca negli anni 1177-1181; la nota anonima è forzatamente posteriore al 1183, quando si conclude la cronaca di Geoffroy de Vigeois, pertanto si può dire che il racconto fosse noto nell’ultimo quarto del XII secolo. Gaucelm si paragona al fedelissimo leone (non a Golfier, come si legge in Mouzat, p. 450), riconoscente per essere stato sottratto al pericolo e alla morte (cfr. v. 47). I guerriers peiors sono eco di Bernart de Ventadorn BdT 70.25, v. 44 (e si compari anche il nostro incipit e il v. 36 di Bernart).

VI. Sul senso della strofa, sulla sua affidabilità storica e sulla menzione della Lombardia, si veda il § Datazione.

53-54. Per chi dice io nel testo è impossibile portare a termine in modo corretto e onesto e con cuore sincero il progettato pellegrinaggio, senza essersi prima riconciliato con la dama per il torto descritto nella str. IV: io lirico e Gaucelm Faidit si sovrappongono, finzione cortese ed elemento autobiografico si toccano; alla base di questo contatto, si pone un passo del vangelo di Matteo (5, 22-24) in cui Gesù raccomanda di riconciliarsi con qualunque fratello prima di presentare offerte all’altare: il passo è all’origine anche dell’uso liturgico, attestato fin dal II secolo prima dell’Offertorio (in san Giustino di Nablus, ca. 155), di scambiarsi il bacio della pace (osculum pacis); e si noti che al v. 55 il rimante, coscientemente collocato, è proprio patz, che la donna deve desiderare nei confronti dell’io lirico, che ormai ha fatto ammenda del proprio torto. In questo senso vanno letti questi versi: il pellegrino può far leialmen romavia solo nel momento in cui nessun fratello abbia qualche cosa da recriminare contro di lui; calato nel contesto cortese, chi dice io nella canzone può far leialmen romavia solo nel momento in cui la dama non abbia nulla a suo carico. Il discorso, che al lettore moderno può apparire individuale, ha quindi un risvolto universale come exemplum del retto pellegrino (si veda ancora il § Datazione).

58. Il verso, prima della cesura, è interessato da un’ampia diffrazione probabilmente dovuta all’avverbio lai, il cui senso è sfuggito ai copisti: che la dama non sia nel medesimo luogo in cui si trova il trovatore è chiaro per il fatto che egli fuggì de cors, ed evidentemente non è più tornato. La dama, dunque, è lontana e, pertanto, il trovatore invia lai «là (da lei)» la canzone, proprio perché non sta parlando in presenza e l’interlocuzione è possibile solo per via poetica.

61. Maria è senza dubbio Maria de Ventadorn, protettrice principale di Gaucelm Faidit, nonché suo vero e proprio nume tutelare nel Limosino. A differenza di quanto credeva Mouzat, che collocava i rapporti tra lei e il trovatore tra l’anno 1185 e l’anno 1195 sulla base dei racconti romanzati delle razos e che traeva partito da questa datazione per stravolgere ogni altro dato cronologico riguardante Gaucelm (sulla distorsione fornita da Mouzat si veda Barachini, «Una (quasi) nuova canzone...»), il mecenatismo della viscontessa nei confronti del trovatore non ha confini temporali definiti e va collocata tra l’inizio degli anni Novanta del XII e, quanto meno, il primo decennio del XIII, quando di Gaucelm si perdono le tracce (almeno dopo il 1206; si tenga presente che Maria è ancora in vita nel 1220). L’elogio qui rivolto a Maria è uno dei più compiuti (e probabilmente dei più sinceri) dell’intera opera gaucelmina.

[GB, lb]


BdT    Gaucelm Faidit

Canzoni sulle crociate