Rialto    IdT

217.1

 

   

Guillem Figueira

 

 

 

 

   

I.

   

Del preveire maior

   

e del emperador

   

volgra paz entre lor,

   

q’aissi foran marrit

5  

li Turc e ll’Arabit.

   

Mas trop amaramen

   

mena chascuns d’elhs son conten,

   

e trebailhon si de nïen;

   

qar nïenz es tot ço q’om pot chauzir

10  

segon aqo qe es a devenir.

   

 

   

II.

   

A Dieu nostre seinhor

   

qi per nos ac dolor

   

en la crois, e paor,

   

segon q’avem auzit,

15  

coman mon esperit

   

qe·l gar de perdemen

   

e q’en aqest segle dolen

   

mi gar de mortal failhimen

   

e·m don tan sai mos peccatz penedir

20  

per q’ieu puesca al sieu reinhe venir.

   

 

   

III.

   

Mas non hagra temor

   

si del cors peccador

   

poges al criator

   

vas cui mout ai failhit

25  

servir, qar deservit

   

ll’ai trop, mon escïen;

   

per q’ai de passar mar talen,

   

s’o poges far adrechamen,

   

qar lai pot hom si onran Dieu servir;

30  

ez enaissi volgra mos tortz delir.

   

 

   

IV.

   

Mas qar non hai richor

   

de passar ab honor,

   

remanc sai ab tristor

   

qan pes ço q’ai merit

35  

ni con seran graçit

   

sobre tot autra gen

   

cill qi seran de Dieu serven

   

lai on el reinhet humilmen,

   

e az aital conqist fai bon venir

40  

ont hom conqier gaug qe non pot failhir.

   

 

   

V.

   

Qe·l bon envazidor

   

e·l bon combatedor

   

e l’ardit feridor

   

devon tut az un crit

45  

pasar, gerer complit

   

ab gran afortimen

   

de cobrar lo sant monimen;

   

e non ha cor d’ome valen

   

qi lai non vol l’arm’e·l cors enantir

50  

on ell nascet e volc per nos murir.

   

 

   

VI.

   

Aç aqel Dieu mi ren

   

q’en la Vergen venc veiramen,

   

e volc per nostre salvamen

   

amt’e dolor e pein’e mor sufrir,

55  

e pietat e turmen e consir.

   

 

   

VII.

   

Al pro comte valen

   

de Toloza·m digaz breumen,

   

estiers, qe·l sapcha veiramen,

   

qe per so·l volc Dieus part totz enantir

60  

qe lai on ell nascet l’anes servir.

 

 

Traduzione [lb]

I. Vorrei che il papa [lett. il prete supremo] e l’imperatore facessero pace tra di loro per dare ai Turchi e agli Arabi un motivo per piangere. Ma ciascuno di loro sta portando avanti la sua contesa con grande acredine, e stanno sprecando le loro energie, perché tutto ciò che si vede non è nulla in confronto a quello che verrà.
II. Raccomando il mio spirito a Dio nostro Signore che ha sopportato per noi il dolore e la paura sulla croce, come abbiamo sentito, affinché egli lo preservi dalla dannazione e mi protegga dal peccato mortale in questa valle di lacrime, e mi conceda di poter espiare i miei peccati in questo mondo così che io possa giungere nel suo regno [celeste].
III. Ma io non avrei paura se potessi servire il Creatore con il mio corpo peccatore, perché [finora] gli ho certamente reso un cattivo servizio; quindi desidero ardentemente di attraversare il mare, se potessi farlo adeguatamente, perché laggiù si può servire Dio in modo onorevole; e in questo modo vorrei spazzare via le mie iniquità.
IV. Ma poiché non ho la ricchezza per fare il passaggio in modo onorevole, resto qui nel dolore, quando penso a quello che ho meritato, e a come quelli che saranno servitori di Dio nel luogo dove egli è vissuto in umiltà saranno ringraziati più di chiunque altro; ed è un’ottima cosa ottenere una tale vittoria dove si guadagna la gioia eterna.
V. Perché i buoni assaltatori e i buoni combattenti e i colpitori arditi, i guerrieri perfetti fortemente determinati a riprendere il Santo Sepolcro, devono fare il passaggio tutti assieme; e non ha il cuore di un uomo valoroso chiunque non voglia precipitarsi anima e corpo là dove Egli è nato e ha voluto morire per noi.
VI. Io mi sottometto a quel Dio che si è veramente incarnato nella Vergine e ha scelto di sopportare vergogna e afflizione e dolore e morte per la nostra salvezza, e pena e tormento e turbamento.
VII. Inoltre, dite subito da parte mia al nobile, valoroso conte di Tolosa, che sia davvero cosciente che è per questo che Dio ha voluto che lui, più di chiunque altro, andasse a servirlo nella sua città natale.

 

 

 

Testo: Paterson 2013. – Rialto 9.iv.2018.


Ms.: M 238r.

Edizioni critiche: Emil Levy, Guillem Figueira, ein provenzalischer Troubadour, Berlin 1880, p. 31; Linda Paterson, Rialto 14.vi.2013.

Altre edizioni: LR, vol. I, p. 482 (parziale); Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours, in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-1886, vol. III, p. 116 (parziale).

Metrica: a6 a6 a6 b6 b6 c6 c8 c8 d10 d10 (Frank 77:2). Cinque coblas unissonans di dieci versi e due tornadas di cinque versi. Rime: -or, -it, -en, -ir. Il modello metrico è probabilmente costituito dalla canzone di Folquet de Marselha, Ben an mort mi e lor (BdT 155.5) da cui Guillem riprende anche le rime.

Note: Canzone di crociata composta probabilmente tra il 1244 e il 1250; si vedano le Circostanze storiche.

1. Preveire maior. Guillem si riferisce qui al papa; si tratta con ogni probabilità di Innocenzo IV. Il personaggio è stato però identificato anche con Gregorio IX che scomunicò Federico nel 1227 e una seconda volta nel 1239, cfr. Stefano Asperti, «Sul canzoniere provenzale M: ordinamento interno e problemi di attribuzione», in Studi provenzali e francesi 86/87, L’Aquila 1989, pp. 137-169, alle pp. 145-146.

2. Il riferimento alla situazione di conflitto tra imperatore e pontefice mentre la Terrasanta era nelle mani degli infedeli si giustifica tanto in seguito alla prima scomunica dell’imperatore, avvenuta nel 1227, quanto nel periodo successivo alla riconquista musulmana di Gerusalemme avvenuta nell’estate del 1244.

3. La concordia tra le due massime autorità universali, il papa e l’imperatore, era alla base dell’idea del mondo creato da Dio propria dell’uomo del Medioevo; cfr. Diego Quaglioni, «Duo luminaria», in Federico II. Enciclopedia Fridericiana, Roma 2005, versione in rete (www.treccani.it).

6-7. In questi versi si comprende come il conflitto tra papa e imperatore apparisse insanabile. Una situazione simile sembra giustificarsi meglio in seguito al concilio di Lione durante il quale Federico fu definitivamente deposto da Innocenzo IV; cfr. Agostino Paravicini Bagliani, «Innocenzo IV», in Federico II. Enciclopedia Fridericiana, Roma 2005, versione in rete (www.treccani.it). Inoltre, non si riscontra qui alcuna allusione all’intenzione di partire per l’Oriente manifestata chiaramente da Federico in seguito alla prima scomunica del 1227.

9-10. Un’espressione simile, con riferimento all’inutilità delle controversie tra potenti in occidente, si riscontra nell’epifonema della canzone di crociata Ara parra qual seran envejos (BdT 10.11), vv. 57-58.

11-13. Il riferimento alla passione e al sacrificio di Cristo è quasi obbligato nei componimenti di esortazione alla crociata; si veda tra i molti esempi simili Falquet de Romans, Quan lo dous temps ven e vai la freydor (BdT 156.12), vv. 18-22.

15. Il verso sembra riecheggiare un passo delle Scritture contenuto nel vangelo di Luca, XXIII, 46: «In manus tuas commendo spiritum meum» (Gianfelice Peron, «Temi e motivi politico-religiosi della poesia trobadorica in Italia nella prima metà del Duecento», in Storia e cultura a Padova nell’età di Sant’Antonio, Padova 1985, pp. 255-99, alle pp. 297-298).

15-20. La strofe contiene un’ammissione di colpa da parte dell’io lirico che affida il suo spirito a Dio e ribadisce l’opportunità che la crociata costituiva di remissione dei peccati. In questi versi trova conferma l’ipotesi di Saverio Guida, Canzoni di crociata, Parma 1992, p. 16, secondo cui le canzoni di crociata si configurano come «carmi di penitenza e di conversione, volti soprattutto a svegliare il vermis consciantiae».

21-30. I termini peccador, falhit, deservit, tortz rimandano tutti alla condizione di peccato degli uomini e al debito da loro contratto nei confronti di Dio: ancora, la crociata è vista come una possibilità privilegiata di redenzione.

31-32. Il passagium, come ci informa il trovatore, era una spedizione costosa che non tutti potevano intraprendere. Per risolvere questo problema, fin dal pontificato di Innocenzo III fu concesso ai grandi signori di commutare il voto in cambio di denaro in modo da finanziare il viaggio oltremare di altri uomini; su questo si veda Francesco Saverio Annunziata, «Le canzoni di crociata dei trovatori composte tra il 1213 e il 1214», in Forme letterarie del Medioevo romanzo: testo interpretazione e storia. Atti dell’XI Congresso Società Italiana di Filologia Romanza (Catania, 22-26 settembre 2015) a cura di Antonio Pioletti e Stefano Rapisarda, Soveria Mannelli 2016, pp. 39-57, alle pp. 41-42.

35-37. In questi versi si allude alle ricompense spirituali ma probabilmente anche materiali che potevano ottenere i crociati che si recavano in Oriente.

40. gaug qe no pot failhir. Si noti l’utilizzo del termine chiave per il linguaggio cortese gaug in riferimento alla salvezza eterna a cui poteva condurre il servizio di Dio in crociata.

56-60. Il conte di Tolosa è senz’altro Raimondo VII. L’invito affinché egli parta per la Terrasanta si può giustificare dopo il voto di crociata formulato contestualmente a quello di Luigi IX di Francia nel 1247, cfr. Michel Roquebert, L’Épopéee cathare. V. La fin des Amis de Dieu 1244-1321, Paris 2007, pp. 269-278.

[fsa]


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Circostanze storiche