Datazione e circostanze storiche:

Sirventese contro la chiesa di Roma, per la sua cupidigia e falsità, l’ostilità al conte di Tolosa e l’imperatore, lo stravolgimento dell’idea di crociata, e contro i francesi. Scritto tra il 1227 e il 1229, a Tolosa secondo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, II, p. 98, mentre secondo altri, da Toussaint-Bernard Éméric-David, «Guillaume Figuières, Bertrand d’Aurel, Lambert, Pavés», in Histoire littéraire de la France, XVIII, Paris 1835, pp. 653-654, a Jeanroy, La poésie lyrique, II, p. 220 nota 2 («inspirée par l’empereur ou ses lieutenants»), a Ugolini, La poesia provenzale, p. XXVIII nota 2 (ispirato da un «ambiente politico favorevole a Federico II»), il sirventese potrebbe essere stato composto in Italia. Per Gianfranco Folena, «Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete», in Storia della cultura veneta. I. Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, p. 526, poi in Id., Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, p. 93 l’invettiva del Figueira «non c’è certo bisogno di ritenere composta a Tolosa, prima o durante una parentesi del soggiorno italiano». Per Aurell «L’exemple de Roma trichairitz de Guilhem Figueira, composé auprès de Frédéric II vers 1227 et recité encore en 1274 à Toulouse, témoigne de l’efficaité des méthodes souabes» (Martin Aurell, La vielle et l’epee. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris 1989, p. 237. Il sirventese ebbe una notevole diffusione e suscitò scalpore, come dimostra da un lato la risposta per le rime, fatta da una trobairitz di Montpellier, una certa Gormonda non altrimenti nota, che difende la Chiesa e la Francia e attacca gli eretici e lo stesso Figueira ritenuto meritevole di fare la fine che fanno gli eretici (BdT 177.1) e come si ricava dagli atti di un processo celebrato in Tolosa nel dicembre del 1274 davanti al tribunale dell’Inquisizione, dove è citato come testimone un certo Bernardo Raimondo Barantone la cui deposizione contiene espliciti riferimenti al sirventese del Figueira. Il teste al quale gli inquisitori chiedono se possiede un libro intitolato “Roma trichairitz” (cfr. v. 18 del sirventese), risponde negativamente ma afferma di aver udito «quandam cantilenam, sive coplas pluries, quas fecit quidam ioculator qui vocabatur Figueira, quarum una incipit, sicut ipse credit, sic: D’un sirventes far en est so que m’agensa no·m vuolh plus tarzar ni far longa bistenssa; e sai ses doptar, qu’ ieu n’aurai malvolenssa» (cfr. Giuseppe Boffito, «Notizia di letteratura provenzale tratta da un codice parigino», Giornale storico della letteratura italiana, 29, 1897, pp. 204-208; Jeanroy, La poésie lyrique, II, p. 225 nota 1; Ugolini, La poesia provenzale, p. 79 nota; Aurell, La vielle et l’epee, p. 227; I trovatori e la crociata contro gli albigesi, pp. 28-29).

 

Note al testo:

1. Cfr. Bertran de Born, Ges de far sirventes no-m tartz (BdT 80.20), Gérard Gouiran, L’amour et la guerre: l’œuvre de Bertran de Born, Aix en Provence 1985, p. 352.

9. La citazione di Roma e l’apostrofe a Roma ricordano Utar contra vitia carmine rebelli di Gautier di Châtillon dove il termine Roma è ripetuto, anche se limitatamente, a inizio di strofa come nel sirventese di Figueira («Roma mundi caput est, sed nil capit mundum [...] Roma capit singulos et res singulorum»; Carmina Burana, mit Benutzung der Vorarbeiten Wilhelm Meyers kritisch herausg. von Alfons Hilka und Otto Schumann, Heidelberg 1978. I Bd I: Text 1: Die moralisch-satirischen dichtungen, n. 42., str. 4 e 5, p. 76). Cfr. anche Hélinant de Froidmont, I versi della morte, a cura di Carlo Donà, Parma 1988, pp. 52-53, 94 («Romme est li maus qui tot asomme, / Romme nos fait de siu chandoile», XIII, vv. 9-10).

15. La dittologia «guerra e trebalh» è presente in parte della tradizione manoscritta di Guerr’e pantais veg et afan (BdT 80.22), cfr. Gérard Gouiran, L’amour et la guerre, pp. 830, 833; Bonifaci de Castellana, Gerra e trebailh e brega·m plaz (BdT 102.2), cfr. Amos Parducci, «Bonifazio di Castellana», Romania, 46, 1920, pp. 478-511.

16. Per il lessico cortese applicato a prospettive politico-religiose e morali, cfr. Hutchinson, Lonh de paradis, pp. 240-242; Zambon, L’invettiva, pp. 83-84.

19-20. La Chiesa romana è apostrofata con la definizione paolina dell’avarizia, «Radix enim omnium malorum est cupiditas», I Tim. 6, 10; cfr. anche Lotharii Cardinalis (Innocentii III) De miseria humane conditionis, edidit Michele Maccarrone, Verona 1955, p. 39, II, 2.

21-22. Allusione a Giovanni Senzaterra. Non è però del tutto chiaro se il trovatore si riferisca a un episodio preciso tra quelli che opposero la Chiesa a re Giovanni. I rapporti di Giovanni con la Chiesa di Roma e con Innocenzo III alternarono collaborazione e ostilità fino alla scomunica del 1215 che lo costrinse alla concessione della Magna Charta Libertatum. Ci potrebbe essere anche un accenno alla scomunica e alla deposizione dal trono di Germania di Ottone di Brunswick, nipote di Giovanni Senzaterra. Cfr. anche la nota di Levy.

27-28. La riformulazione dell’espressione «et incarnatus est de Spiritu Sancto» del Credo dell’Ordinario della messa cattolica, relativa a Cristo e collegabile a «verbum caro factum est» di Io 1, 14, è ai «limiti dell’eresia» (Maria Picchio Simonelli, Lirica moralistica nell’Occitania del XII secolo: Bernart de Venzac, Modena 1974, p. 153) e vicina alla dottrina catara (cfr. Hutchinson, Zambon). La sua non ortodossia è stata avvertita dal copista del canzoniere R che ha corretto «Ihesu Cristiz que receup carn humana». Espressioni affini si trovano in altri testi come Barlaam et Josaphat «lo sieu benezete filh, so es lo Sant Esperit qui venc el ventre de la Verge», cit. in René Nelli, La philosophie du catharisme. Le dualisme radical au XIIIe siècle, Paris 1978, p. 196 e la trecentesca Lauda mariana di Valdobbiadene «el spiritu sancto vene en vuy per recever carne humana» in Angelo Marchesan, Treviso medievale. Istituzioni, usi, costumi, aneddoti, curiosità, pres.e agg. bibliografico di L. Gargan, 2 voll., Bologna 1971, vol. II, pp. 305-306.

‎‎32. Cfr. Marcabru, L’autrier jost’una sebissa (BdT 293.30) «Toza, de vostra figura / Non vi autra plus tafura / Ni de son cor plus trefana», vv. 85-87), Per savi tenc ses doptansa («Eu dic s’amars es amanza / q’amors es falsa e tafura», vv. 47-48), cfr. Jean-Marie-Lucien Dejeanne, Poésies complètes du troubadour Marcabru, Toulouse 1909, pp. 141, 181); Simon Gaunt, Ruth Harvey and Linda Paterson, Marcabru: A Critical Edition, Cambridge 2000, pp. 378-382, 466-468. Per il rilievo del linguaggio marcabruniano nel sirventese di Figueira, cfr. Francesco Zambon, «L’invettiva di Guilhem Figueira contro Roma», in Il discorso polemico. Controversia, invettiva, pamphlet, a cura di G. Peron e A. Andreose, Padova 2010, pp. 83-84 (cfr. n. 116). Cfr. anche Daudes de Pradas, in Francesco Carapezza, «Daude de Pradas (?), Belha m’es la votz autana (BdT 124.5)», Lecturae tropatorum, 5, 2012 (www.lt.unina.it/Carapezza-2012.pdf) «Folha gens falsa trefana!», v. 36. E cfr. Peire Bremon Ricas Novas, Rics pres, ferms e sobeirans (BdT 330.15a), «Ja nuls lauzengiers trafans, / ni gelos, ni gens trafana», vv. 41-42; Paolo Di Luca, Il trovatore Peire Bremon Ricas Novas, Modena 2008 e Id., «Peire Bremon Ricas Novas, Rics pres, ferms e sobeirans (330.15a)», Lecturae tropatorum, 1, 2008 (www.lt.unina.it/DiLuca-2008.pdf).

33. Secondo Levy (Guilhem Figueira, p. 83) si allude a tutta la cristianità, ma più specificamente si può vedere un’allusione alla quarta crociata e alla crociata albigese. L’accusa alla Chiesa di combattere i cristiani piuttosto che i Saraceni, con un rovesciamento dell’idea di crociata, è comune ad altri testi medievali e trova una precisa formulazione nella Commedia dantesca: «Lo principe d’i novi Farisei, / avendo guerra presso a Laterano, / e non con Saracin né con Giudei, / ché ciascun suo nimico era Cristiano, / e nessun era stato a vincer Acri / né mercatante in terra di Soldano» (Inferno, XXVII, 85-90).

Il tema che percorre in modo più o meno esplicito l’intero sirventese è quello del rovesciamento dei valori propri della crociata come perdos, pelegrinatge, perdonansa, predicansa, Étienne Delaruelle, «La critique de la guerre-sainte dans la littérature méridionale, in Paix de Dieu et Guerre sainte en Languedoc au XIIIe siècle», Cahiers de Fanjeaux, 4, 1969, pp. 128-139.

34-36. pecs (> PECUS?) / secs: i due aggettivi, anche se non in coordinazione, potrebbero richiamare la dittologia evangelica «stulti et caeci» (Mt 23, 17). Per l’immagine delle guide cieche cfr. in particolare «duces caeci» (Mt 23, 16, 24) e quella più articolata del cieco che guida un altro cieco, portandolo nella fossa cfr. «Sinite illos caeci sunt duces caecorum caecus autem si caeco ducatum praestet ambo in foveam cadunt» Mt 15, 14 e «numquid potest caecus caecum ducere nonne ambo in fovea cadent?», Lc 6, 39. Si tratta di un’immagine che Figueira sfrutta anche in No·m laissarai per paor (BdT 217.5): «Aquist fals prezicador / ant mes lo segle en error, / qu’il fan los mortals peccatz. / Pois cilh cui ant prezicatz, / fant que vezon far a lor, / e tuich segon orba via. / Doncs si l’uns orbs l’autre guia, / non van amdui en la fossa cazer? / Si fant, so dis dieus, qu’ie’n sai ben lo ver» (vv. 10-18), Levy, Guilhem Figueira, p. 45. L’immagine è presente nella polemica patarinica dei secoli precedenti (cfr. Giovanni Miccoli, «Per la storia della Pataria milanese», in Medioevo ereticale, a cura di O. Capitani, Bologna 1977, pp. 89-151, a p. 136), In huius mundi patria: «hi cadunt in abyssum / si cecus ducit cecum / in fossam cadit secum»= si cecus ducit cecum/in fossam cadit secum, str. 3, vv. 8-10 (Carmina Burana, n. 39, p. 62) e anche nella sermonistica dell’epoca, come ad esempio nei Sermones di sant’Antonio di Padova (S. Antonii Patavini o. min. Doctoris Evangelici Sermones dominicales et festivi curantibus B. Costa, L. Frasson, L. Luisetto, coadiuvante P. Marangon, 3 voll., Patavii 1979, vol. I, pp. 470-476 (De caecorum casu in foveam); in part. a p. 470: «Caecus est praelatus vel sacerdos perversus, lumine vitae et scientiae privatus»). L’importanza del capitolo 23 di Matteo, «vero e proprio palinsesto evangelico del sirventese», è stata dimostrata da Francesco Zambon, L’invettiva, p. 85. Nell’invettiva di Figueira, come osserva Zambon, confluisono il lessico e le immagini evangeliche e di Marcabru e l’ideologia catara: («L’invettiva di G. F. si nutre dell’invettiva marcabruniana e di quella evangelica sul piano espressivo, esso viene a coincidere perfettamente sul piano ideologico con le posizioni [...] catare”). Cfr. anche Francesco Zambon, «Le sirventès contre Rome de Guilhem Figueira», in Troubadours et cathares en Occitanie médiévale. Actes du colloque de Chancelade (24 et 25 août), Textes recueillis par R. Bordes, Cahors 2004, pp. 87-99.

48. Riferimento alla caduta di Damietta, nel 1221, dopo il rifiuto da parte del delegato papale Pelagio della proposta di pace offerta dal Sultano. Cfr. anche Tomier et Palaizi, De chantar farai (BdT 442.1), v. 62 e Peirol, Pos flum Jordan ai vist el monimen (BdT 366.28), vv. 39-40 (De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, II, pp. 11-14, 54-58 ); I trovatori e la crociata, pp. 68-69, 112; Vatteroni, Falsa clercia, pp. 60-61.

59. Si tratterebbe di un riferimento alle false indulgenze, non utili per guadagnare il Paradiso e la salvezza, concesse ai crociati contro gli albigesi dalla Chiesa.

61-66. Allusione al re di Francia Luigi VIII, morto a Montpensier (Auvergne) l’8 novembre 1226.

67-70. Cfr. v. 33.

70. Cfr. «Clergue gieton cavaliers a carnatge» in Peire Cardenal, Un sirventes trametrai per messatge (BdT 335.68), v. 49, Vatteroni, Il trovatore Peire Cardenal, p. 797 e Id., Falsa clercia, p. 36.

71. La lezione potz, pos di CR è conforme alla cultura biblica esibita dal trovatore nelle sue poesie (cfr. «et data est ei clavis putei abyssi», Apc. 9, 1, 2; «et aperuit puteum abyssi» Apc. 17, 8). I passi dell’Apocalisse sono interessanti anche perché introducono il concetto di «perdizione», importante nel testo di Guilhem. Nell’Apocalisse l’espressione indica il luogo in cui sarebbero stati chiusi gli angeli ribelli - «il luogo teologico [...] più lontano dalla provvidenza di Dio» (cfr. L’Apocalisse di Giovanni, a cura di Edmondo Lupieri, Milano 1999, pp. 38-39, 164) quindi la Chiesa avrebbe scelto la compagnia degli angeli ribelli, essendo essa stessa un angelo ribelle. La proposta di emendamento è di Giulio Bertoni, «Su Guilhem Figueira 217, 2», Zeitschrift für romanische Philologie, 36, 1911, pp. 92-93, che ipotizza un passaggio da pots (CR) a fon (Da1) a foc (BFb), una lezione che sembra facilior. È stata accolta da Cavaliere, Cento liriche. provenzali, p. 374. Per abis, cfr. anche Peire Cardenal, Dels quatre caps (BdT 335.15), v. 3, Vatteroni, Il trovatore Peire Cardenal, I, pp. 305, 306.

76-77. Avignone, conquistata dai francesi il 9 settembre 1226, dopo tre mesi di assedio.

81. Cfr. in analogo contesto «orba via» in No·m laissarai per paor (BdT 217.5), v. 15, Levy, Guilhem Figueira, p. 45. Cfr. Vatteroni, Falsa clercia, p. 63.

83. Questo verso, che riprende l’invettiva evangelica «Vae autem vos scribae et pharisaei hypocrytae, quia clauditis regnum caelorum ante homines», Mt 23, 13, è messo in relazione con «gli insegnamenti catari» da Picchio Simonelli, Lirica moralistica, pp. 153-154 e da Zambon, L’invettiva, pp. 85-86. Cfr. anche Hutchinson, Lonh de paradis, p. 245.

92. Il termine martire nella poesia trobadorica è utilizzato in contesti amorosi o in connessione con la passione di Cristo, è quindi singolare il suo accostamento «al di fuori della tematica amorosa, non tanto a Cristo o ai santi, ma alle vittime della Chiesa». Il martirio era considerato dai catari come «martirio in Cristo» (Zambon, L’invettiva pp. 87-88).

93-95. Cfr. v. 33.

96-99. Analoga invocazione in No·m laissarai per paor (BdT 217.5): «Vergena, sancta Maria, / si·us platz, domna, laissatz mel jorn vezer, / qu’ieuls puosca pauc doptar e mens temer» (vv. 43-45). Levy, Guilhem Figueira, p. 46; Vatteroni, Falsa clercia, pp. 138, 139.

96-97. Cfr. «panem nostrum cotidianum», Lc 11, 3. E cfr. il discorso sul pane della vita con l’identificazione di Cristo in Io 6, 31-59 «Pater meus dat vobis panem de caelo verum panis enim Dei est qui discendit de caelo et dat vitam mundo […] ego sum panis vitae [...] ego sum panis vivus», Io 6, 32-33, 36, 51.

103. Ancora un riferimento a Tolosa.

104. Cfr. «Roma manus rodit» (Carmina Burana, p. 87, n. 45, str. III, v. 17). Cfr. anche Jeanroy, La poésie lyrique, II, pp. 219-220. Cfr. Hélinant de Froidmond, I versi della morte, pp. 52-53, 94 («Morz, qui venis de mors de pomme [...] va moi saluer la grant Romme, / qui de rongier a droit se nomme, / car les os ronge et le cuir poile, / et fait a simoniaus voile / de chardinal et d’apostoile», XIII, vv. 1-8).

107. Il conte Raimondo VII di Tolosa, come già il padre Raimondo VI, è una figura centrale nelle poesie dei trovatori che trattano il tema della crociata albigese; cfr. I trovatori e la crociata albigese, p. 25.

113-114. Cfr. Bertran de Born (?), Mout mi plai quan vei dolenta (BdT 80.27, «quar dieus getan a no cura»), v. 37, Gérard Gouiran, L’amour et la guerre, p. 850.

116. Cfr. n. 32. Cfr. anche Bertran de Born, Pois lo gens terminis floritz (BdT 80.32, «del reis tafur», «sos malvatz faitz, que son tafur», vv. 33, 50) e Mout mi plai quan vei dolenta (BdT 80.27, «rassa vilana, tafura / plena d’enja», vv. 33-34), Gouiran, L’amour et la guerre, pp. 460, 852.

121. Altro richiamo a Raimondo VII che si difendeva in Tolosa, ceduta ai francesi l’11 aprile 1229. Cfr. Poesie provenzali storiche relative all’Italia, p. 98. Il trovatore secondo la vida si trovava ancora a Tolosa.

126. Il lessico di D’un sirventes far sembra agire ancora in trovatori più successivi, cfr. Guilhem Anelier de Tolosa, Ara farai, no·m puesc tener (BdT 204.1, «qui fetz planca e pon», v. 30; Der Troubadour Guillem Anelier von Toulouse. Vier provenzalisch Gedichte Herausgegeben und erläutert, von Martin Gisi, Solothurn 1877, pp. 28, 29); Raimon Gaucelm de Béziers, A penas vau en loc qu’om no·m deman (BdT 401.3, «lai on Merces li fai planca e pon», v. 24, Anna Radaelli, Raimon Gaucelm de Béziers. Poesie, Firenze 1997, p. 142).

128. Da queste affermazioni si dovrebbe dedurre che quando Guilhem Figueira scriveva, il conte Raimondo non si era ancora arreso ai ‎Francesi (11 aprile 1229).‎

136. Allusione a Federico II.

142. Cfr. v. 90; cfr. «Hic est vere salvator mundi», Io 4, 42.

164. Va sottolineato l’uso piuttosto raro della forma femminile.

166-168. Metafora per indicare Cristo, cfr. «ego sum lux mundi [...] lucem vitae», Io 8, 12, e «lux sum mundi ...», Io 9, 5. Il tema della luce nel vangelo di Giovanni è un Leitmotiv, cfr. «et vita erat lux hominum et lux in tenebris lucet», Io 1, 4-5; «non erat ille lux, sed ut testimionium perhiberet de lumine, erat lux vera», l, 8-9. Altre metafore evangeliche contenute nell’invocazione cfr.: «ego sum via, et veritas, et vita», Io 14, 6.

173. Cfr. vv. 19-20.

195-196. pastor / trichador: la metafora evangelica del buon pastore che perde la vita per il proprio gregge (Io 10, 1-16) è qui capovolta, come poi nell’ultima strofa. Cfr. nota ai vv. 247-249.

199-204. Sono qui riassunti i termini del contrasto che oppose Federico II a quattro papi, soprattutto a Gregorio IX (al quale si riferiscono i versi citati), che lanciò contro Federico la crociata e la scomunica, e a Innocenzo IV che lo fece condannare e deporre al concilio di Lione (1245). Al papa di Roma viene contrapposto Federico II, al cui nome si collega la maggior parte della produzione poetica di Guilhem Figueira, ora elogiato come il piú grande imperatore, ora biasimato perché sembrava non agire con quella determinazione che le circostanze richiedevano. Cfr. anche Del preveire maior (BdT 217.1), Levy, Guilhem Figueira, pp. 31-33, 79-81.

217-218. Cfr. «ubi enim est thesaurus tuus, ibi est et cor tuum», Mt 6, 21; «ubi enim thesaurus vester est, ibi cor vestrum erit», Lc 12, 34.

228. Per il motivo del veleno cfr. Jeanroy, La poésie lyrique, II, p. 220 nota 1.

239. Il significato è “avete una pessima reputazione”. Si allude ai copricapi infamanti che alcuni condannati erano ‎costretti a portare.‎ cfr. I trovatori e la crociata contro gli albigesi, p. 113.

240-242. I versi alludono al massacro di Béziers, compiuto dall’esercito crociato condotto dall’abate cistercense Arnaut Amalric, che, ‎come narra Cesario di Heisterbach nel suo Dialogus miraculorum (V, 21), scritto fra il 1219 e il 1223, non ‎potendo distinguere fra cattolici ed eretici («bonos et malos»), rifugiatisi nella chiesa di santa Maria Maddalena, avrebbe ordinato di ucciderli tutti: «Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius» (con cit. di II Tim 2, 19), cfr. Jacques Berlioz, Tuez-les tous, ‎Dieu reconnaitra les siens”. La Croisade contre les Albigeois vue par Césaire de Heisterbach, ‎Portet-sur-Garonne 1994.‎ L’eccidio, avvenuto il 22 luglio 1209 è descritto riferito al papa Innocenzo III dallo stesso Amalric con toni trionfalistici (De victoria habita contra haereticos: «Dum tractaretur cum baronibus de liberatione illorum qui in civitate ipsa catholici consebantur, ribaldi et alii viles sed inermes personae non expectato mandato principum in civitatem fecerunt insultum; et mirantibus nostris cum clamaretur Ad arma, ad arma, quasi sub duarum vel trium horarum spatio transcensis fossatis ac muro capta est civitas Biterrensis, nostrique non parcentes ordini, sexui, vel aetati, fere viginti millia hominum in ore gladii peremerunt; factaque hostium strage permaxima, spoliata est tota civitas et succensa, ultione divina in eam mirabiliter saeviente» (PL 216, 139). Cfr. I trovatori e la crociata, p. 114. Con più umana pietà ne parla Guilhem de Tudela nella prima parte della Canzone della crociata albigese (21, 12-20): «Per so son a Bezers destruit e a mal mis, / Que trastotz los aucisdron: no lor podo far pis. / E totz sels aucizian qu’el mostier se son mis, / Que nols pot grandir crotz, autar ni cruzifis; / E los clers aucizian li fols ribautz mendics / E femnas e efans, c’anc no cug us n’ichis! / Dieu recepia las armas, si·l platz, en paradis! / C’anc mais tan fera mort del temps Sarrazinis / No cuge que fos faita ni c’om la cossentis». Cfr. La Chanson de la croisade albigeoise, editee et traduite du provencal par Eugene Martin-Chabot, 3 voll. Paris 1960, vol. I, pp. 58-59.

242. Cfr. Raimon Gaucelm de Béziers, A penas vau en loc qu’om no·m deman (BdT 401.3, «Et es me grieu, quar cre qu’estranh mazelh / sera d’elhs faitz lai, on la cremor es / del foc d’ifern», vv. 36-38; Radaelli, Raimon Gaucelm, pp. 150, 158-159).

245-246. Ancora una ripresa, come già al v. 104, del medesimo codice espressivo collegato alle immagini di avidità di Roma ‘divoratrice’.

247-249. Cfr. «Attendite a falsis prophetis, qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces», Mt 7, 15; cfr. anche Mt 10, 16 e Lc.10, 3. L’immagine è largamente sfruttata nei testi medievali sacri e profani (cfr. Miccoli, «Per la storia della Pataria milanese», p. 96); cfr. S. Antonii Patavini Sermones, III, pp. 279-280 («tali pastore, immo lupo, seipsum pascenti, comminatur Dominus»); In huius mundi patria: = custodes sunt raptores/atque lupi pastores«custodes sunt raptores / atque lupi pastores», str. 1, vv. 5-6; n. 39, Propter Sion non tacebo: «Cardinales, ut predixi, / novo iure Crucifixi / vendunt patrimonimu […] intus lupi, foris vero / sicut agni ovium»= intus lupi, foris vero/sicut agni ovium; n. 41, str. 18, vv. 1-3, 5-6, Carmina Burana, pp. 62, 67; Peire Cardenal, Li clerc si fan pastor (BdT 335.31), ed. Lavaud, n. XXIX, p. 170; Vatteroni, Il trovatore Peire Cardenal, I, p. 464, De Riquer, Los trovadres, III, pp. 1505-1507 e lo stesso Figueira sfrutta in No·m laissarai per paor (BdT 217.5, vv. 19-27: «Vers es que nostre pastor / son tornat lop raubador, / qu’il raubon deves totz latz, / e mostron semblan de patz, / e confortan ab dosso / lor ovelhas nuoich e dia; / pois quan las an en balhia, / et ilh las fant morir e dechazer, / ist fals pastor; don eu m’en desesper» (vv.19-27), Levy, Guilhem Figueira, p. 45; Vatteroni, Falsa clercia, pp. 63, 137. La metafora evangelica del buon pastore che perde la vita per il proprio gregge (Io 10, 1-16) è qui capovolta, mentre acquista rilievo l’altra dei falsi profeti che sono esternamente mansueti come pecore, ma interiormente avidi e rapaci come lupi. Si tratta inoltre di un’immagine destinata a grande fortuna nella letteratura morale successiva: da Peire Cardenal (Picchio Simonelli, Lirica moralistica, cit., p. 155) a Dante («In vesta di pastor lupi rapaci», Paradiso, XXVII, 55). Cfr. anche Gianfelice Peron, «Temi e motivi politico-religiosi della poesia trobadorica in Italia nella prima metà del Duecento», in Storia e cultura a Padova nell’età di Sant’Antonio, Padova 1985, pp. 189-237, 290-293. Nell’Apologia catara (Picchio Simonelli, Lirica moralistica, pp. 151-152, p. 153) o trattato apologetico “La Chiesa di Dio” è evidente come i catari usassero l’immagine nella loro polemica contro la Chiesa romana: «[La Chiesa romana] perseguita e assassina chiunque non ‎voglia acconsentire ai suoi peccati e alle sue azioni. Essa non fugge di città in città, ma domina le ‎città, i borghi e le province e siede maestosamente nelle pompe di questo mondo; ed è temuta dai re, ‎dagli imperatori e dagli altri signori. Non è affatto come le pecore fra i lupi, ma come i lupi fra le ‎pecore e i capri [ ... ]. Soprattutto, perseguita e assassina la santa Chiesa di Cristo, la quale sopporta ‎tutto con pazienza, come fa la pecora che non si difende dal lupo. Eppure, in contrasto con tutto ciò, ‎i pastori della Chiesa romana non si vergognano di dire che sono loro le pecore e gli agnelli di ‎Cristo; e dicono che la Chiesa di Cristo, quella che perseguitano, è la Chiesa dei lupi. Ma questa è ‎una cosa assurda, perché una volta i lupi perseguitavano e uccidevano le pecore. Bisognerebbe che ‎oggi tutto andasse alla rovescia perché le pecore fossero diventate tanto feroci da mordere, inseguire ‎e uccidere i lupi» (La cena segreta, Trattati e rituali catari, a cura di Francesco Zambon, ‎Milano 1997, p. 361 e I trovatori e la crociata contro gli albigesi, pp. 30, 114).

250-251. Cfr. «progenies viperarum», Mt 3, 7; 12, 34; «Serpentes gemina viperarum, quomodo fugietis a iudicio gehennae?», Mt 23, 33; «gemina viperarum» Lc 3, 7.‎

251. Allusione ai prelati portatori della mitria e identificati con la “razza di vipere” evangelica. Cfr. anche In huius mundi patria: «Episcopi cornuti / conticuere muti, / ad predam sunt parati, / et indecenter coronati […] monachi … male coronat», n. 39, str. 4, vv.1-4, str. 7, vv. 1-4 p. 63; Utar contra vitia: «redeunt a curia capite cornuto», n. 42 str. 18, v. 1, p. 78 (Carmina Burana, pp. 63, 78).

252. La lezione cura, accolta da tutti gli studiosi ad eccezione di De Bartholomaeis che stampa aura = “protegga”, è emendamento proposto da Bartsch nella sua recensione a Levy. Precedentemente Bartsch aveva proposto atura (Chrestomathie provençale. Cinquième édition revue et corrigée, p. 205; cfr. Levy, Guilhem Figueira, pp. 88-89) in sostituzione di apella dei mss CR, non giustificata dalla sequenza rimica.

[GP, lb]


BdT    Guillem Figueira

Canzoni sulle crociate