Rialto    IdT

217.4a

 

   

Guillem Figueira

 

 

 

 

   

I.

   

Ja de far un sirventes

   

non chal q’om m’ensegn,

   

qe ben hai l’art e·l gien

   

de dir e mal e bes.

5  

Tant ai vist et apres

   

d’un ric croi sun captengn,

   

per q’ieu non m’en puesc taire;

   

e s’ieu als en pogues!

   

A gran fastic m’o tieng

10  

qar de lui sui chantaire.

   

 

   

II.

   

Mas ira·m forz’e·m destreing

   

e·m fai chantador,

   

del nostre emperador,

   

q’auci pretz e l’esteing

15  

e tant qant pot s’empeing

   

qe fassa desonor;

   

per qe no m’es veiaire

   

qe trop longamen reing,

   

qar trop son sei labor

20  

vergognios per retraire.

   

 

   

III.

   

Li plus fin conoiscedor

   

blasmon son afar,

   

mas ieu no·l voil blasmar,

   

enanz l’apel segnor

25  

vil e ramponador

   

e cobes et avar

   

e tal qi non ha gaire

   

vergogna ni temor

   

de negun mal estar

30  

q’el puesca dir ni faire.

   

 

   

IV.

   

Li franc baro d’outramar

   

l’an ben cognogut,

   

qe molt cuiet mal frut

   

entre lor semenar,

35  

q’el volc deseritar

   

lo segnor de Barut

   

e·ls autres de repaire;

   

mas no·l poc acabar,

   

car Dieus per sa vertut

40  

l’en fon del tot contraire.

   

 

   

V.

   

Ara somon c’on l’aiut

   

davas totaz partz,

   

que, passat aquest martz,

   

vol mostrar son escut

45  

a Melan, mas no·l cut

   

ia sia tant auzartz

   

qe s’en auz enanz traire,

   

si tot l’a convengut,

   

car es vils e coartz

50  

et avols guerreiaire.

   

 

   

VI.

   

E cuia venzer Lombartz

   

totz a son coman;

   

pero qar vai chazan

   

per bosc e per eissartz

55  

ab cas et ab leopartz,

   

e qar men’aurifan?

   

Ben es fols l’enperaire

   

e nescis e musartz,

   

si zo qe vai pezan

60  

cuia tot a cap traire.

   

 

   

VII.

   

Non traira, per San Johan,

   

ugan tot a cap

   

son penzer ni sun gap;

   

aisso·us pliu e vos man.

65  

Doncs de qe pessa tan?

   

Q’unz penz’et autre sap,

   

e totz nescis penzaire

   

perchaza leu son dan

   

tro que ven a mescap,

70  

si s’en pot leu estraire.

   

 

   

VIII.

   

A Manfrei Lanza·l man,

   

car el conois e sap

   

alqes de son afaire.

 

 

Traduzione [lb]

I. Non c’è bisogno che qualcuno m’insegni come comporre un sirventese, visto che senza dubbio possiedo il talento e l’arte del biasimo e della lode. Ho visto e imparato tanto del comportamento di un nobile indegno che non posso tacere, ma come vorrei poter fare diversamente! Mi disgusta cantare di lui.

II. Ma la rabbia mi obbliga e mi costringe, e mi fa cantare del nostro imperatore che sta uccidendo e eliminando il valore e sta facendo tutto il possibile per agire in modo disonorevole. Perciò non penso che regnerà molto a lungo, visto che tutte le sue fatiche sono vergognose da raccontare.

III. I migliori esperti biasimano quello che sta facendo, ma io non voglio biasimarlo, anzi lo chiamo signore: un signore che è rozzo e scontroso, avido e avaro, uno che non ha nemmeno un briciolo di vergogna o paura di dire o fare qualcosa di indecoroso.
IV. I nobili baroni d’Oltremare se ne sono ben resi conto, perché pensava di poter fare loro qualche dispetto: voleva diseredare il signore di Beirut e gli altri delle loro case, ma non è stato in grado di realizzarlo perché Dio nella sua bontà era completamente contrario a questo [o a lui].

V. Ora sta chiedendo da tutte le parti che lo si aiuti, poiché dopo la fine di marzo egli vuole mostrare il suo scudo a Milano; ma non credo che sarà così audace da osare di andare avanti, anche se ha promesso di farlo, perché è vile e codardo e un pessimo combattente.

VI. Egli pensa di poter completamente sottomettere i lombardi al suo comando; allora perché va a caccia tra boschi e radure con cani e leopardi, e perché si trascina dietro un elefante? L’imperatore è completamente pazzo e stupido e illuso se pensa di poter realizzare tutto quello che ha in mente.

VII. Per San Giovanni, non realizzerà le sue idee o le sue vanterie quest’anno, posso garantirvelo. Quindi a cosa pensa tutto il tempo? Infatti alcuni pensano e altri sanno, e ogni sciocco che passa tutto il suo tempo a pensare si dirige incautamente verso la caduta fino a quando il disastro lo colpisce; eppure può facilmente evitarlo.

VIII. Lo mando [il mio sirventese] a Manfredi Lancia, perché conosce e capisce qualcosa dei suoi affari.

 

 

 

Testo: Paterson 2013. – Rialto 30.xi.2017.


Ms.: a1 504v.

Edizioni critiche: Oscar Schultz-Gora, Ein Sirventes von Guilhem Figueira gegen Friedrich II, Halle 1902, p. 20; Linda Paterson, Rialto 15.vi.2013.

Altre edizioni: Giulio Bertoni, «Rime provenzali inedite», Studi di filologia romanza, 8, 1901, pp. 421-484, p. 460 (testo Schultz-Gora); Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 142 (testo Schultz-Gora).

Metrica: a7 b5 b6 a6 a6 b6 c6’ a6 b6 c6’ (Frank 485:1). Sette coblas singulars di dieci versi e una tornada di due. Si riscontra una particolare forma di legame capcaudat in quanto la rima b di ciascuna cobla viene ripresa come rima a di quella successiva mentre la rima c è fissa. Rime: La rima c è sempre -aire, si riportano dunque di seguito solo le rime a e b di ogni strofe. I: -es, -egn; II: -egn, -or; III: -or, -ar; IV: -ar, -ut; V: -ut, -ars; VI: -ars, -an; VII -an, -ap.

Note: Sirventese di dubbia attribuzione composto tra il gennaio e il febbraio del 1239, probabilmente durante il soggiorno di Federico a Padova: si vedano le Circostanze storiche.

 1-4. I versi iniziali di questo componimento presentano numerose affinità lessicali con la prima strofe di Ia de far un sirventes (BdT 217.4), inoltre gli incipit dei due testi coincidono perfettamente; cfr. Gianfelice Peron, «Trovatori e politica nella Marca Trevigiana», in Il medioevo nella Marca: trovatori, giullari, letterati a Treviso nei secoli XIII e XIV. Atti del Convegno (Treviso 28-29 settembre 1990), a cura di Maria Luisa Meneghetti e Francesco Zambon, Treviso 1991, pp. 11-44, alle pp. 33-35.

7. ric croi. Il bersaglio polemico dell’autore del sirventese, Federico II, non è nominato immediatamente ma definito fin da subito come un potente malvagio.

8. Secondo Peron, sostenitore dell’attribuzione del componimento a Guillem Figueira, da questo verso sembrerebbe che il trovatore attacchi l’imperatore «nel rammarico di non poter parlare positivamente» (Peron, «Trovatori e politica, p. 34).

17-20. La prospettiva espressa in questi versi sembra diametralmente opposta rispetto a quella di Ia de far un sirventes (BdT 217.4): in questo componimento l’autore auspica che il regno di Federico non duri ancora a lungo a causa del suo comportamento contrario alle norme della cortesia.

21. È possibile che il trovatore esprima l’opinione di una parte della fazione filoimperiale che non vedeva di buon occhio gli indugi di Federico nella lotta contro i Comuni. I fin conoiscedor a cui allude potrebbero essere i committenti del testo o il pubblico a cui esso era rivolto.

26. cobes e avar. Federico sembra aver tradito le aspettative del trovatore e dei suoi sostenitori soprattutto dal punto di vista della generosità, fondamentale per il sostegno dei poeti e dei suoi alleati.

31-40. Guillem allude alla spedizione condotta in Oriente da Federico II tra il 1228 e il 1229, durante la quale l’imperatore, nelle vesti di re di Gerusalemme, trattò a lungo con i suoi vassalli ciprioti perché questi riconoscessero la sua sovranità feudale; cfr. Marcello Pacifico, Federico II e Gerusalemme al tempo delle crociate. Relazioni tra cristianità e islam nello spazio euro-mediterraneo medievale 1215-1250, Caltanissetta-Roma 2012, pp. 205-231.

36. lo segnor de Barut. Si tratta di Giovanni di Ibelin, signore di Beirut fino al 1236 e reggente dell’isola di Cipro al momento della crociata di Federico; cfr. Michel Balard, «Giovanni d’Ibelin», in Federico II. Enciclopedia Fridericiana, Roma 2005, versione in rete (www.treccani.it).

45. Melan. Il riferimento a Milano va probabilmente considerato una sineddoche per indicare la Lega dei Comuni lombardi, come si riscontra anche in En aquest gai sonet leugier (BdT 344.3) di Peire Guillem de Luzerna, v. 31.

49-50. Le accuse di codardia e di essere un cattivo condottiero rivolte a Federico sono forse da porre in relazione al fallito assedio di Brescia del 1238 che fu vissuto come una gravissima sconfitta dell’esercito imperiale e mise in dubbio il successo ottenuto sulle città della Lega con la battaglia di Cortenuova: cfr. le Circostanze storiche.

65-70. L’attacco mosso all’imperatore sembra in questi versi essere fondato sul suo eccessivo temporeggiare nella lotta contro i lombardi. Questi versi sono stati messi in relazione alla quinta strofe di Ia de far un sirventes (BdT 217.4) da Gianfelice Peron, «Il conselh di Guilhem Figueira a Federico II», in Anticomoderno 4. I numeri, Roma 1999, pp. 217-239, a p. 223.

71. Manfredi II Lancia, marchese di Busca, fu al seguito dell’imperatore fin dal 1226 e nel 1238 fu nominato vicario imperiale a Papia superius, agendo soprattutto nella zona del Piemonte e della Liguria. Fu tra i condottieri ghibellini che continuarono incessantemente la lotta contro i Comuni anche dopo la battuta d’arresto dell’assedio di Brescia: cfr. Aldo Settia, «Manfredi II Lancia», in Dizionario Biografico degli Italiani, versione in rete (www.treccani.it).

[fsa]


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Circostanze storiche