Traduzione [lb]
I. Sto pensando di mandare un nuovo
sirventese al nobile e illustre imperatore perché ora ho bisogno di mettermi al
suo servizio, dal momento che nessuno elargisce ricompense più benevolmente di
lui. Egli fa uscire il povero dalla povertà e aiuta e rianima il valoroso,
quindi è giusto che debba trarre profitto e fare conquiste, visto che fa così
tante cose buone e onorevoli. Ognuno dovrebbe benedire la strada lungo la quale
un così buon signore va e viene, e io la benedico, a causa di Madonna Dia e di
Messer Taurel, che si comporta così gentilmente.
Testo: Paterson 2013. – Rialto 30.xi.2017. Mss.: C 250v, R 22v. Edizioni critiche: Emil Levy, Guilhem Figueira, ein provenzalischer Troubadour, Berlin 1880, p. 52; Linda Paterson, Rialto 14.vi.2013. Altra edizione: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 147 (testo Levy). Metrica: a11’ b11’ a11’ b11’ c8’ d8 c9’ d8 e11’ d11 e11’ d11 (Frank 412:2). Cinque coblas unissonans di dodici versi ciascuna e due tornadas di due versi. Rime: -eta, -ona, -eira, -e, -ia. Il modello metrico di questo componimento è probabilmente la canzone di Guillem Peire de Cazals D’una leu chanso ai cor que·m entremeta (BdT 227.8). Note: Sirventese composto probabilmente nel regno di Sicilia nella primavera del 1240: si vedano le Circostanze storiche. 2-4. Fin dai primi versi si intuisce la buona predisposizione di Guillem nei confronti di Federico II. Il trovatore dichiara di volersi porre al servizio dell’imperatore in quanto non esiste al mondo un signore tanto generoso nel ricompensare. 5. lo paubre de paubreria. La lode iperbolica si arricchisce grazie al ricorso a questa figura etimologica. 11-12. Guillem sembra citare qui i due probabili committenti del componimento ricco di elogi per l’imperatore: dona Dia ed En Taurel. Non è possibile individuare con sicurezza i due personaggi, ma se l’identità di dona Dia è sconosciuta, in Taurel si può forse riconoscere Torello di Strada, podestà ghibellino in molte città tra cui Parma e Avignone (cfr. Francesco Torraca, Studi su la lirica italiana del Duecento, Bologna 1902, p. 298) oppure un esponente della famiglia dei Torelli; cfr. le Circostanze storiche. 15. Il riferimento alla città di Gaeta potrebbe essere ricondotto, come suggerito da De Bartholomaeis, Poesie provenzali, vol. II, p. 147, alla ripresa della città da parte di Federico nel 1233 dopo che i gaetani aveva deciso di schierarsi dalla parte del papa; su Gaeta si veda Andrea Romano, «Città demaniali, regno di Sicilia», in Federico II. Enciclopedia Fridericiana, Roma 2005, versione in rete (www.treccani.it). Sul tema della vendetta di Federico si veda la nota ai vv. 11-12 di Ia de far un sirventes (BdT 217.4). 21-22. La vendetta di Federico sul clero e sul papa va ricondotta ai successi militari ottenuti dall’imperatore su papa Gregorio IX e sui Comuni a lui alleati tra 1239 e 1240: cfr. le Circostanze storiche. 23. albergaria. È possibile che con questo termine il trovatore si riferisca al regno di Sicilia, dove Federico, sicuro dei successi ottenuti in Italia settentrionale, si recò a partire dal marzo del 1240. 27. Come provano diversi documenti redatti in località vicine, Federico fu nei dintorni di Barletta tra la fine del marzo e l’inizio di aprile 1240: cfr. Il registro della cancelleria di Federico II del 1239-1240, a cura di Cristina Carbonetti Vendittelli, 2 voll., Roma 2002, vol. I, pp. 130-190. 29-32. Genova fu il Comune che aderì in maniera più decisa all’offensiva militare promossa da Gregorio IX contro l’imperatore a partire dal marzo 1239; la perdita dei territori della riviera ligure a cui allude Guillem si spiegano con la consegna a Manfredi II Lancia delle città di Albenga, Porto Maurizio e Ventimiglia (cfr. Aldo Settia, «Manfredi Lancia», in Dizionario Biografico degli Italiani, versione in rete (www.treccani.it). 35-36. Descrivendo i successi ottenuti dall’imperatore e la sua capacità di reggere l’impero, il trovatore torna a elogiare il suo sapere, stavolta tramite il particolare accenno alle sue conoscenze astrologiche che gli consentirebbero addirittura di avere capacità divinatorie. Sull’elogio del saber di Federico si veda la nota al v. 42 di Ia de far un sirventes (BdT 217.4). 37-38. La rivalutazione in termini positivi della crociata federiciana in Terrasanta appare in netto contrasto con il giudizio espresso in Ja de far un sirventes (BdT 217.4a), vv. 31-40. 39-40. Va sottolineato l’apprezzamento da parte del trovatore della pace stretta con un sovrano musulmano. Nelle canzoni di crociata, infatti, gli infedeli sono sempre dipinti in termini offensivi come i nemici da abbattere con la forza; cfr. Saverio Guida, Canzoni di crociata, Parma 1992, pp. 20-24. 49. Berreta. Non è possibile identificare il personaggio citato in questo verso. 50. Parma e Cremona, per tutti gli anni Trenta e Quaranta del Duecento costituirono le città principali del blocco filoimperiale che si opponeva alla Lega lombarda: cfr. Giancarlo Ardenna, «Cremona» e Francesca Roversi Monaco, «Parma», in Federico II. Enciclopedia Fridericiana, Roma 2005, versione in rete (www.treccani.it). 53. Figuieira. Notevole il caso di autonominatio del trovatore che ricorda quelle di alcuni componimenti di Marcabru: cfr. Valeria Bertolucci Pizzorusso, «La firma del poeta. Sondaggio sull’autonominatio nella lirica dei trovatori», in Actas del IX Congreso Internacional de la la Asociación Hispánica de Literatura Medieval (A Coruña, 2001), A Coruña 2005, pp. 83-97. 60. comte Raimon. Pur essendo in Italia, Guillem augura una felice sorte a Raimondo VII, conte di Tolosa, a cui il trovatore si riferisce in diverse altre composizioni come D’un sirventes far (BdT 217.2), vv. 77-79 e Del preveire maior (BdT 217.1), vv. 56-57. 61-64. Il sirventese si conclude con le due tornadas rivolte ancora a En Taurel e la seconda presenta l’artificio retorico dell’interpretatio nominis per ethimologiam, già impiegato per lodare Federico da altri trovatori come Aimeric de Peguilhan in En aquel temps que·l reis mori n’Anfos (BdT 10.26) e da Gausbert de Poicibot nella canzone S’ieu anc jorn dis clamans (BdT 173.11). 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