Rialto

231.1

 

Guilhem Rainol d’At

 

 

 

 

Auzir cugei lo chant e·l crit e·l glat
que fan l’auzel qan son vert li plaissat:
aital fer’eu, mas, per sa voluntat,
4 ma domna·m dis c’ar de lleis <es> cambiat
quar anc creziei moiller de son vezin.
Ia Dieus non sal don Rainier l’afillat
s’anc l’en menti pos fui en s’amistat!
8 Enanz l’am mais que peis en romanin.
 
Seingner, son nas volri’agues taillat
qui vos a dig que·us aia enantat!
C’aissi fos solta e monda de peccat,
12 con sui de cel de cui es azalbat!
Sitot port arc e coutel barbarin,
pens e repens, e tant non ai pensat,
puesca saber d’on si’espermentat,
16 mas sap autan color de sarrazin!
 
Domna, tostemps vos aurai castiat
non disses<s>es follia ni viutat!
Aquest es rica e de gran parentat
20 et a marit bon vassaill estrunat,
qu’eu li ai vist caval outramarin,
et es saubut en feir’o en mercat:
genser de lleis non debana filat,
24 e met vos i Cavelc e Venassin!
 
Seingner, per Dieu, ben ai mon cor irat
quar a·l sieu ling contra·l mieu aze<s>mat,
qu’eu sui plus rica e de maior barnat
28 et ai trop mais de lan<a> o de filat
e pois ai bon cavallier a pairin.
E no·us tengatz ges a regastenat,
qu’e·us ai cubert en lansol bugadat
32 que era totz ces estantier de llin!
 
Domna, ben sai que·us er guizardonat
que n’o<m> es mes en bassac pertuzat!
Si m<a>lgoires m’aguesson aiudat,
36 espeil n’agras e bon correi pinsat
e quabeillier ab que·us tengues sa crin;
pois disseran tuit li plus envezat:
«Cals es aquist?». Quant vos vengras d’orat!
40 Ben vos plevisc, bella: m’est sobrefin!
 
Seingner, tostemps ai dig e<n> mon orat
que venguesses quant er’ escudelat
qu’eu er’ensencha, c’avia encargat!
44 Quant enpugiei sus el bari merlat
et en qazic mal<a>ut’ e<n> <u>n coisin,
eu conuc ben con n’avias peccat
e fui dolent’ab vos; per amistat,
48 aqui mezeis, fis vos en bona fin.
 
Domna, ben fon saubut et açalbat
lo luns matin com fes la caritat
quant portest guans e borsa de sendat:
52 a las meillors aguest lor pretz baissat,
que tot un iorn n’esteron a latin.
Si fossetz lai on vos fon destinat,
foratz al bois, part Sancta Trinitat,
56 al port de Sorc, en terra de Sanguin.

 

 

 

Testo: Bonaugurio, Rialto 7.vi.2003.


Mss.: I 143r, K 129v, Da 170v-171r, H 44v (con perdita della cobla successiva che conteneva i vv. 40 e sgg.).

Edizioni critiche: Adolf Kolsen, Trobadorgedichte, Halle 1925, p. 37; Angelica Rieger, Trobairitz, Tübingen 1991, p. 331; Rossella Bonaugurio, Rialto 7.vi.2003.

Metrica: a10 a10 a10 a10 b10 a10 a10 b10 (Frank 24:1). Sette coblas unissonans di otto versi ciascuna.

Note: Mancano elementi interni al componimento che ne rendano possibile la datazione. L’analisi della tradizione dei testi di Guilhem Rainol ci porta alla conclusione che questo testo doveva, sin dall’archetipo, seguire quello di Quant aug chantar (BdT 231.4) dal momento che in tutti i testimoni essi vengono traditi sempre insieme e nello stesso ordine. Il componimento inscena una tenzone fra un seigner e una domna. Nelle prime cinque coblas la discussione dei due interlocutori verte intorno alla rivale della dama: il seigner dice nell’esordio che la sua donna lo ha allontanato perché egli ha creduto ad alcune false maldicenze sulla sua fedeltà. La domna si difende dall’accusa di averlo disonorato ingiuriando la sua rivale, poco virtuosa e onesta. Il seigner difende la rivale lodandone la nobile stirpe, la cospicua dote e l’abilità nel filare. La domna replica ricordando la sua superiorità sociale ed economica e la sua completa devozione al seigner che è stato da lei coperto con un lenzuolo di lino. L’uomo la ringrazia ironicamente e le dichiara che, se fosse stato ricco, avrebbe volentieri ricambiato il suo gesto donandole uno specchio, una cintura elegante e una cuffia per i capelli affinché, nel vederla, tutti morissero d’invidia. Le ultime due coblas sono incentrate sul tema della donna sedotta e abbandonata: la dama ricorda al seigner di averlo perdonato nonostante egli, dopo una notte d’amore, l’abbia lasciata incinta e disperata; il seigner deride la falsa pietas della sua amata ricordando il lunedì mattina in cui lei si recò in chiesa per fare la carità portando guanti e borsa di taffettà. Il componimento (come aveva già notato A. Rieger) si allontana dai temi, dal linguaggio e dai valori del mondo e della letteratura cortese per proiettarsi in una dimensione domestico-realistica. Dalla lirica cortese è ripreso il topos dell’esordio stagionale che viene però parodizzato dall’insolito riferimento al glat degli uccelli, che non figura negli esordi trobadorici classici. Il resto del testo è un vivace e colorito ritratto della vita e dei valori che caratterizzano il mondo‘reale’ e poco ‘cortese’ della Provenza del XIII secolo. Interessante è anche il lessico utilizzato nel testo, ricco di espressioni di non sempre facile interpretazione (v. 13 «port arc e coutel barbarin»; v. 24 «met vos i Cavelc e Venassin»), tratte quasi sicuramente dal linguaggio del popolo. Insolito è il termine di paragone scelto dal seigner per esprimere il suo amore verso la domna: «enan l’am mais que peis en romanin» (v. 8). Sorprendente è la  lista di accessori dell’abbigliamento femminile presente ai vv. 36-37. Proprio per l’ispirazione e l’aderenza al reale, tanto nelle scene e nei temi quanto nel linguaggio, questa poesia acquista un interesse particolare all’interno della produzione trobadorica. Essa mostra che già nei primi anni del XIII secolo si faceva strada fra i trovatori una certa stanchezza per i temi topici della lirica cortese e cominciava a nascere il desiderio di attingere da altri registri e da altre sfere di valori. Inoltre questo testo rappresenta un interessante documento per lo studio del provenzale antico ‘non-letterario’.

[RB]


Premessa

BdT    Guilhem Rainol d’At