Rialto    IdT

236.11

 

 

 

Guillem de la Tor (Palais)

 

 

 

 

 

 

Un sirventes farai d’una trista persona,

 

 

qui mal fai e mal ditz e mal met e mal dona

 

 

e mal joga e mal ri e mal parla e pieitz sona

 

 

e plus en far tot mal chascun jorn s’abandona,

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per q’ieu de malvestat vuoill que port la corona.

 

 

Sabetz cum el a nom? Porc Armat de Cremona.

 

 

 

 

 

Grans causa es d’auzir e fera decrezenssa

 

 

tot lo mal q’es en lui e la desconoissenssa,

 

 

don ja no·is partra mais, tant li platz e l’agenssa;

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q’anz volria esser mortz, ses tota retenenssa,

 

 

q’el fezes negun faich d’adreicha conoissenssa,

 

 

mas ab foutz et ab orbs es tota sa guirenssa.

 

 

 

 

 

E feing se mout cortes e mena grand’ufana

 

 

qand el a pro begut, ab una de Breisana

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q’es bella e gaia e pros et a valor certana;

 

 

et ella volria anz, s’il tot de lieis si vana,

 

 

q’el jagues quatorze anz de la febre cartana

 

 

q’ela·il fos si del tot, cum el volria, humana.

 

 

 

 

 

Q’el mon dompna non a c’om deia aver fianssa

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que d’amor li fezes mais negun’esperanssa,

 

 

pois eu l’agues comtat sa fera malananssa,

 

 

sa fera escarsetat, sa fera desonranssa

 

 

ni puois de sos huoils vis sa fera enflada panssa

 

 

ni son fer lechardetz ni sa fera semblanssa.

 

 

 

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Enaissi es valors del tot en lui perduda,

 

 

que de pretz si depart e largueza refuda

 

 

e pren escarsetat per amiga e per druda,

 

 

que s’era mout lonc temps en s’amor entenduda,

 

 

et er a si de lui sa voluntat aguda

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qe, per amor, de lui corna la recrezuda.

 

 

 

 

 

Als crois rics fatz saber q’ant valor decazuda,

 

 

c’ab ma lenga, q’es plus que rasors esmoluda,

 

 

lor farai derenan gerra fort et aguda.

 

 

Traduzione [AN]

I. Farò un sirventese su una persona meschina  che si comporta male, discute male, spende male, dona male,  gioca male, ride male, parla male e peggio apostrofa  e giorno dopo giorno si lascia andare a fare tutto il male possibile,  per cui voglio che di malvagità porti corona.  Sapete qual è il suo nome? Porco Armato da Cremona.
II. Gran cosa e triste incredulità è udire  tutto il male che è in lui e l’ignoranza  da cui mai si separerà, tanto gli piace e gli è gradita;  ché esser morto vorrebbe, senza riserva alcuna,  piuttosto che compiere un’azione con retta decisione,  poiché fa affidamento sui pazzi e sui ciechi.
III. E si fa passare per uno assai cortese e fa grandemente lo spaccone,  quando ha bevuto bene, con una del Bresciano  che è bella, gaia, valente e di valore certo;  e lei preferirebbe - si vanti pur di lei –  che per quattordici anni giacesse con la febbre quartana  piuttosto che essere, con lui, come quello vorrebbe, benevolente.
IV. Ché al mondo non vi è donna di cui si possa credere che voglia dare a lui d’amor qualche speranza,  se sol le raccontassi del suo turpe contegno  della turpe avarizia, del turpe disonore,  e se solo vedesse con i suoi propri occhi la sua turpe pancia gonfia  e la sua turpe ingordigia e la sua turpe figura.
V. Il valore è spento in lui a tal punto  che dal pregio si allontana e rifiuta la liberalità  e per amica e amante prende l’avarizia  che da tempo lunghissimo aspirava al suo amore,  e or ha fatto ciò che voleva di lui al punto  che, per amore, da lui suona la ritirata.
VI. Ai vili ricchi che hanno fatto decadere il valore faccio sapere  che con la mia lingua, più affilata di un rasoio,  d’ora innanzi muoverò loro guerra aspra e acuta.

 

 

 

Testo: Negri 2006 (XIV). – Rialto 27.i.2007 (rev. 28.i.08).


Mss.: A 198r, Da 206v.

Edizione diplomatica: Arthur Pakscher e Cesare de Lollis, «Il canzoniere provenzale A (Codice Vaticano 5232)», Studj di filologia romanza, III, 1891, pp. j-xxxij e 1-670, a p. 612.

Edizioni critiche: Antonio Restori, «Per un serventese di Guilhem de la Tor», Rendiconti del R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, XXV, 1892, (Copia di Casa Carducci della miscellanea Rime antiche, XII, pp. 1-15); Ferruccio Blasi, Le poesie di Guilhem de la Tor, Genève - Firenze 1934, X, p. 40; Antonella Negri, Le liriche del trovatore Guilhem de la Tor, Soveria Mannelli 2006, p. 179.

Altre edizioni: François Just Marie Raynouard, Choix de poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1816-1821, vol. V, p. 274; Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 137 (testo Restori); Francesco Ugolini, La poesia provenzale e l'Italia, Modena 1949, p. 89 (testo Blasi); Martín de Riquer, Los trovadores. Historia literaria y textos, 3 voll., Barcelona 1975, vol. II, p. 1174 (testo Blasi).

Metrica: a12’ a12’ a12’ a12’ a12’ a12’ (Frank 3:6). Sirventese di cinque coblas singulars di sei versi e una tornada di tre versi.

Note: Sirventese composto entro il 1237 che vitupera un cittadino cremonese il cui nome è deformato in Porc Armat (v. 6), nel quale è agevole riconoscere uno dei capi della fazione guelfa in quella città, Ponzio Amato (o Ponzio degli Amati). Si vedano le Circostanze storiche. – La questione attributiva del testo sembra risolversi definitivamente, a seguito delle recenti ricerche di Saverio Guida, «(Andrian de) Palais, trovatore lombardo?», in Studi di Filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso, 2 voll., Pisa 2006, vol. I, pp. 685-721, a favore di un’assegnazione del sirventese a (Andrian de) Palais. Per primo Restori, «Per un serventese», p. 15, attribuiva il testo a Guillem de la Tor in base allo stile, alla fraseggiatura e soprattutto al metro (il testo condivide con la Treva, BdT 236,5a, proprio l’identità dello schema metrico); si allineano a questo giudizio Blasi, Le poesie di Guilhem, p. XIII e Peter Ricketts, «Le troubadour Palais: édition critique, traduction et commentaire», in Studia occitanica in memoriam Paul Remy, 2 voll., Kalamazoo 1986, vol. I, pp. 227-240, a p. 227. Il testo è tradito da due manoscritti, A e Da, le cui rubriche attribuiscono rispettivamente il sirventese a Guillem de la Tor e a Palais; inoltre il manoscritto estense conserva la quasi totalità della produzione di Guillem e la totalità di quella di Palais, mentre il canzoniere vaticano non contiene testi di Palais e ne tramanda solo due di Guillem. È proprio a partire dalla diversa consegna delle rubriche che Paolo Squillacioti, «Due note su Palais», Studi mediolatini e volgari, 38, 1992, pp. 201-207, a p. 207, insistendo sulla maggiore affidabilità di Da, ha ipotizzato una paternità «quanto meno dubbia» e comunque più probabilmente ascrivibile a Palais, mentre Guida, «(Andrian de) Palais», p. 716, non esclude che la discordanza di paternità possa essere effetto di uno «scivolamento, già nelle Gelegenheitssammlungen da cui discendono i codici pervenuti, del testo che ci interessa dal corpus di un trovatore a quello dell’altro». Ma ciò che in definitiva più convince lo studioso è la maggiore credibilità che il codice estense merita, e così dunque la sua rubrica, in termini di reale conoscenza della produzione letteraria di entrambi i trovatori coinvolti nella questione. Ma il fattore decisivo per l’attribuzione del sirventese è relativo all’aspetto storico-documentario e dunque alla possibilità di mettere in relazione l’autore del testo con il personaggio oggetto della feroce invettiva, Porc Armat de Cremona (v. 6) da identificare probabilmente con Ponzio degli Amati di cui si ha notizia dal 1203 al 1237. Il nobile, che apparteneva ad un importante casato cremonese da sempre schierato su posizioni guelfe, era uno dei membri più autorevoli del partito antiimperiale cittadino, eletto come arbitro di controversie dalla consorteria dei Sommi e affidatario di numerosi incarichi di prestigio. In questo contesto, i dati relativi alla biografia di Guillem de la Tor non consentono di rilevare relazioni con il nobile cremonese né di giustificare i toni del violento vituperio; al contrario, numerosi e fondati sono i legami di Andrian de Palais con la realtà cremonese nell’arco di tempo per il quale abbiamo notizie su Ponzio degli Amati. Infatti il trovatore, legato allo schieramento filoimperiale, aveva buoni motivi personali e di parte per contrapporsi al guelfo Ponzio degli Amati e recenti ricerche d’archivio hanno dimostrato che i due dovessero conoscersi in quanto entrambi risultano coinvolti e menzionati insieme in un patto datato luglio 1228 tra Cremonesi e Parmigiani contro i Piacentini. (Guida, «(Andrian de) Palais», p. 718).

[AN, sr]


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Circostanze storiche