Rialto    IdT

 

Guillem de la Tor, De saint Martin me clam a saint Andreu (BdT 236.3)


 

Circostanze storiche

 

 

 

 Il contenuto del componimento, talvolta catalogato come sirventese (così Cavedoni 1858, p. 296; Restori 1892, p. 316; BdT «Sirv. (2 Strophen)»; Frank, vol. I, p. 38; De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 130; Negri 2006, p. 97; Leuker 2011, p. 134), ma in realtà costituito da due sole coblas in sé concluse e autosufficienti (cfr. BEdT, Negri 2007), è stato oggetto, a più riprese, dell’attenzione della critica per via del suo contenuto criptico, dovuto al carattere d’occasione che il testo possiede, nonché all’ipometria d’una sillaba che affligge il v. 3 e il cui emendamento condiziona l’intera comprensione del messaggio.

Le due coblas contengono cinque nomi: saint Martin, saint Andreu (v.1), Corat (v. 3), Faciol (v. 4), il marques d’Est (v. 8). Guillem de la Tor si appella con evidenza a sant’Andrea e al marchese d’Este, cioè Azzo VII, entrambi invocati con la costruzione se clamar a; la menzione di san Martino (introdotta dalla prep. de) e il ruolo di Corrado e Faciol (condizionato dalla correzione della lacuna del v. 3, che determina quale sia l’accusa rivolta ai due) sono invece oggetto di discussione.

Cavedoni 1858, p. 296, integrava il v. 3 aggiungendo la preposizione a tra auz e Corat («car non auz [a] Corat, vis de Judeu», integrazione ripresa da Blasi 1934, Bettini Biagini 1981, Negri 2006) e intendeva che Guillem de la Tor si appellasse a sant’Andrea perché non osava appellarsi a Corrado e Faciol. Costoro venivano identificati con Corrado e Bonifacio I di Monferrato o con due membri non specificati della famiglia Malaspina, presso cui Guillem risedette prima di trasferirsi presso gli Estensi (Cavedoni 1844, pp. 31-33).

L’integrazione di Cavedoni presenta due problemi, l’uno di tipo storico, l’altro di tipo ecdotico-esegetico. Quanto al primo, in effetti, che i due personaggi menzionati ed accusati di avarizia ai vv. 7-8 non potessero essere i celeberrimi Corrado e Bonifacio I (di cui Faciol sarebbe il diminutivo) di Monferrato, tanto amati dai trovatori per la loro generosità e peraltro morti entrambi (rispettivamente nel 1192 e nel 1207) prima dell’inizio dell’attività poetica di Guillem de la Tor collocabile verso l’inizio degli anni Dieci del XIII secolo, era stato notato già da Restori 1892, pp. 316-317, il quale tuttavia proponeva altri due nomi parimenti inverosimili: per Corat proponeva Corrado Malaspina l’antico e per Faciol, dopo aver scartato l’identificazione con Bonifacio II di Monferrato, proponeva Bonifacio d’Este, prozio di Azzo VII, con il quale il nipote avrebbe intrattenuto rapporti molto tesi (entrambe le identificazioni sono state riprese da Folena 1990, p. 53). De Bartholomaeis 1931, vol. II, pp. 130-131, confermava l’inverosimiglianza delle identificazioni di Cavedoni e gettava ombre anche su quelle di Restori, in particolare su quella di Corrado Malaspina, del tutto fuori luogo in un trovatore quale Guillem de la Tor che dell’ospitalità di Corrado ad Oramala aveva beneficiato; inoltre, De Bartholomaeis soggiungeva che difficilmente il trovatore si sarebbe rivolto a nobili così noti al pubblico senza premettere la particella onorifica En ai loro nomi. Quanto a Bonifacio d’Este, Negri 2006, p. 102, ha evidenziato, infine, che tale identificazione è incongruente dal punto di vista cronologico con la presenza del trovatore presso la corte estense: la malevolenza di Bonifacio, infatti, aveva avuto origine sotto il regno di Azzo VI (padre di Azzo VII e morto nel 1212), che gli aveva sottratto alcuni possedimenti, ma era stata sanata tra il 1212 e il 1215 dal successore di Azzo VI, Aldobrandino (morto nel 1215), il quale aveva restituito a Bonifacio i domini sottrattigli, talché dopo il 1215 non vi erano ulteriori motivi d’attrito tra Bonifacio e il marchese d’Este (a questo punto Azzo VII), mentre «allo stato attuale delle ricerche la presenza di Guilhem presso gli Estensi sembra collocarsi in un periodo posteriore al secondo decennio del 1200» (Negri 2006, p. 102). Né Corrado Malaspina né Bonifacio d’Este (e ancor meno Corrado e Bonifacio I di Monferrato) possono pertanto essere i due avari qui menzionati; del resto, la volontà di ricondurre sempre i nomi presenti nelle liriche trobadoriche a personaggi arcinoti è una petizione di principio spesso fuorviante, come in questo caso.

Quanto al secondo problema, di natura ecdotica ed esegetica, la correzione di Cavedoni, filtrata negli editori successivi (ad eccezione di Restori e De Bartholomaeis, su cui cfr. più avanti), crea un controsenso logico, notato da Leuker 2011 in un intervento che riesamina l’intera questione del significato del testo; se infatti Guillem si appellasse, come si è detto, a sant’Andrea perché non osa appellarsi a Corrado e Faciol, poco oltre accusati d’avarizia, i due avari avrebbero un doppio ruolo inaccettabile: «Un tale scenario, in cui i “rics malvatz” (cfr. v. 11) rivestirebbero sia la parte dei giudici che quella degli accusati, mi sembra logicamente inammissibile» (Leuker 2011, p. 135). Pertanto, la correzione di Cavedoni va respinta in quanto inappropriata sul piano esegetico.

Altre correzioni sono state proposte per il v. 3: Restori 1892, p. 316 nota 1, riteneva a testo la correzione del Cavedoni, ma in nota proponeva: «car non a us Corat vis de Judeu» (“perché un Corrado non ha viso da Giudeo”, ma ne ha l’animo come si dice poco dopo); De Bartholomaeis restituiva «car non auza Corat, vis-de-Judeu» (“perché [sant’Andrea] non ascolti Corrado, viso-da-Giudeo”), il che, come ben sottolinea Leuker, rende molto efficacemente l’atmosfera da corte giudiziaria che trapela fin dai primi versi e in cui si susseguono gli interpelli al giudice e la richiesta di non dare credito alle affermazioni della parte avversa. Altre correzioni sono state proposte da Asperti 2009, p. 205, il quale contesta la correzione di Cavedoni anche su base prosodica e suggerisce: «car (o c’ar) non enanz Corat» (“che [sant’Andrea] non sostenga Corrado”), che quanto al senso è simile a quella di De Bartholomaeis; e, infine, da Leuker stesso: «car nom auniz Corat, vis de Judeu» (“che [sant’Andrea] nomini vile Corrado, viso da Giudeo”), ma tale correzione mi sembra eccessivamente onerosa, benché coincida per il senso con le due precedenti.

Ciò che emerge in definitiva dalle correzioni di De Bartholomaeis, Asperti e Leuker è che Guilhem de la Tor riproduce, in entrambe le coblas, i moduli delle allocuzioni giudiziarie (Asperti 2009, p. 205 richiama la formula giuridica clamar-se de alcu), presentando di fatto una querela contro Corrado e Faciol, entrambi accusati d’avergli nociuto in quanto avari ed ebrei (Leuker 2011, pp. 136-138, a proposito dell’«avol gent tafura» del v. 9, ricorda simili definizioni degli ebrei, tra cui Gaucelm Faidit, Ara nos sia guitz, BdT 167.9, v. 39-40 «avol gen savaia / per cui [Iesus] es traitz», benché in entrambi i casi il significato potrebbe non essere così specifico).

Il quadro generale così delineato è pertanto sufficientemente chiaro: Guillem de la Tor si lamenta di due sudditi di Azzo VII d’Este, tali Corrado e Faciol, accusati con formule di sapore tribunalizio di aver commesso un torto economico nei suoi confronti, aggravato dal prerequisito d’essere ebrei o quantomeno di comportarsi come tali. Il trovatore, dopo aver chiamato sant’Andrea come garante nella prima strofa, si appella nella seconda ad Azzo, in quanto è a lui che spetta l’esercizio della giustizia e l’esecuzione delle sentenze nei domini estensi (motivo in più per ritenere che Corrado e Faciol non vadano cercati al di fuori di essi), tanto più che Guilhem sostiene che sia stato proprio Azzo a chiedergli di denunciare gli avari «qui gaston la pastura» (da intendere come “che inquinano il nostro gregge”, cioè i sudditi estensi o il “gregge” degli uomini cortesi a cui sono d’ostacolo e su cui gettano cattiva luce).

In tutto ciò, resta da chiarire la menzione iniziale di san Martino, il santo dei poveri, e di sant’Andrea. Se De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 131, confessava di non sapere il motivo che avesse indotto Guillem a nominarli, Negri 2006, pp. 99 e 101, ripreso ancora in Negri 2007, ha sostenuto che Guillem si appelli ad entrambi (interpretando la prep. a del v. 1 come cong. e; tuttavia, nota Asperti 2009, p. 205 che la struttura della frase e il pronome singolare li al v. 2 non avallano tale interpretazione) e ha richiamato l’attenzione sulle pratiche di devozione a san Martino diffuse alla corte estense e in generale nell’intero mondo cristiano e collegate all’omonima fiera, nonché la presenza del «Martimas, sorta di carnevale novembrino» in cui veniva celebrato anche sant’Andrea (p. 101). Nel negare, come si è visto, la possibilità che Guillem invochi assieme san Martino e sant’Andrea, Asperti fornisce un’opzione tra la traduzione di Blasi («Da san Martino mi appello a san Andrea») e una traduzione che tenga conto della locuzione giuridica clamar-se de alcu (‘lamentarsi di qcn.’), traslando «Contro san Martino mi appello a sant’Andrea». Leuker 2011, pp. 139-140, a partire da questi spunti (in particolare quello calendariale di Negri, ma con la traduzione di Blasi) e respingendo la proposta di Asperti secondo la quale Guillem si lamenta di san Martino presso sant’Andrea (a suo giudizio, gli unici accusati sono Corrado e Faciol), fornisce la seguente spiegazione del v. 1: De saint Martin viene interpretato come indicazione temporale («Dal giorno di san Martino» oppure «Riguardo a [quanto accaduto] a san Martino», 11 novembre), così come un’indicazione temporale va ravvisata sotto la menzione di saint Andreu, invocato sia come santo garante sia come giorno (sant’Andrea è celebrato il 30 novembre). Pertanto si può interpretare che Guillem accusi Corat e Faciol d’aver peccato d’avarizia il giorno di san Martino, santo patrono dei mendicanti, che aveva spartito il proprio mantello con il povero; in quel giorno i ricchi erano richiesti di fare l’elemosina ai poveri, cosa che – si può interpretare – i due non hanno fatto. Secondo questa prospettiva, saremmo, dunque, in presenza di una versione poetica di un processo contro i due avari (vero o solo invocato da Guillem), che si svolge tra l’11 e il 30 novembre (o specificamente il 30 novembre per un torto subito l’11 novembre): «se non possiamo precisare l’anno in cui il trovatore compose il suo sirventese, sappiamo di sicuro per quale giorno lo scrisse» (Leuker 2011, p. 140). Si aggiunga, infine, che tale accusa è aggravata (o meglio, confermata a priori) dal fatto che Corat e Faciol sono descritti come ebrei, usurai avidi per eccellenza nell’immaginario medievale: cfr. BEdT, ove ci si domanda se i due avari non siano «due banchieri ebrei»; il nome Faciol (lat. Faciolus, Faciollus) è attestato nell’onomastica padana del tempo.

 

 

 

Bibliografia

 

Asperti 2006

Stefano Asperti, recensione a Negri 2006, Medioevo romanzo, 33, 2009, pp. 203-206.

 

BdT

Alfred Pillet, Bibliographie der Troubadours, ergänzt, weitergeführt und herausgegeben von Henry Carstens, Halle 1933.

 

BEdT

Bibliografia elettronica dei trovatori, a cura di Stefano Asperti, in rete, 2003ss.

 

Bettini Biagini 1981

Giuliana Bettini Biagini, La poesia provenzale alla corte estense. Posizioni vecchie e nuove della critica e testi, Pisa 1981.

 

Blasi 1934

Ferruccio Blasi, Le poesie di Guilhem de la Tor, Firenze 1934.

 

Cavedoni 1858

Celestino Cavedoni, «Delle accoglienze e degli onori ch’ebbero i trovatori provenzali alla corte dei Marchesi d’Este», Memorie della Reale Accademia di Modena, 2, 1858, pp. 268-312.

 

De Bartholomaeis 1931

Vincenzo de Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931.

 

Frank

István Frank, Répertoire métrique de la poésie des troubadours, 2 voll., Paris 1953-57.

 

Folena 1990

Gianfranco Folena, «Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete», in Id., Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, pp. 1-137.

 

Leuker 2011

Tobias Leuker, «Una querela alla corte estense. Testo e contesto di un sirventese di Guilhem de la Tor», Medioevo romanzo, 35, 2011, pp. 134-140.

 

Negri 2006

Antonella Negri, Le liriche del trovatore Guilhem de la Tor, Soveria Mannelli 2006.

 

Negri 2007

Antonella Negri, Rialto 27.i.2007.

 

Restori 1892

Antonio Restori, «Per un serventese di Guilhem de la Tor», Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di scienze e lettere, 25, 1892, pp. 305-319.

 

Giorgio Barachini

10.ii.2020


BdT    IdT