Rialto

262.1

 

Jaufre Rudel

 

 

 

 

Belhs m’es l’estius e·l temps floritz,

quan l’auzelh chanton sotz la flor;

mas ieu tenc l’ivern per gensor,

quar mais de joi m’i es cobitz.

5

Et quant hom ve son jauzimen,

es ben razos e avinen

qu’om sia plus coindes e guais.

 

Er ai ieu joi e sui jausitz

e restauratz en ma valor,

10

e non irai jamais alhor

ni non querrai autrui conquistz:

qu’eras sai ben az escien

que sol es savis qui aten,

e selh es fols qui tro s’irais.

 

15

Lonc temps ai estat en dolor

et de tot mon afar marritz,

qu’anc no fui tan fort endurmitz

que no·m reisides de paor.

Mas aras vei e pes e sen

20

que passat ai aquelh turmen,

e non hi vuelh tornar ja mais.

 

Mout m’o tenon a gran honor

tug silh cui ieu n’ei obeditz,

quar a mon joi sui revertitz;

25

e laus en lieis e Dieu e lor,

qu’er an lur grat e lur prezen.

E que qu’ieu m’en anes dizen,

lai mi remanh e lai m’apais.

 

Mas per so m’en sui encharzitz,

30

ja non creirai lauzenjador:

qu’anc no fui tan lunhatz d’amor,

qu’er no·n sia sals e gueritz.

Plus savis hom de mi mespren:

per qu’ieu sai ben az escien

35

qu’anc fin’amors home non trais.

 

Mielhs mi fora jazer vestitz,

que despolhatz sotz cobertor:

e puesc vos en traire auctor

la nueit quant ieu fui assalhitz.

40

Totz temps n’aurai mon cor dolen,

quar aissi·s n’aneron rizen,

qu’enquer en sospir e·n pantais.

 

Mais d’una re soi en error

e·n estai mos cors esbaitz:

45

que tot can lo fraire·m desditz,

aug autrejar a la seror.

E nulhs hom non a tan de sen,

que puesc’aver cominalmen,

que ves calque part non biais.

 

50

El mes d’abril e de pascor,

can l’auzel movon lur dous critz,

adoncs vuelh mos chans si’auzitz.

Et aprendetz lo, chantador!

E sapchatz tug cominalmen

55

qu’ie·m tenc per ric e per manen,

car soi descargatz de fol fais.

 

 

 

Testo: Chiarini 1985 (V). – Rialto 24.iii.2004.


Mss.: C 214v, Mh2 73, e 174, 176, 178.

Edizioni critiche: Albert Stimming, Der Troubadour Jaufre Rudel, sein Leben und seine Werke, Kiel 1873, poi Berlin 1886, p. 49 (IV); Alfred Jeanroy, Les chansons de Jaufré Rudel, Paris 1915, p. 9 (IV) (testo diverso da Stimming); Pietro G. Beltrami, «La canzone Belhs m’es l’estius di Jaufre Rudel», Studi mediolatini e volgari, 26, 1978-1979, p. 77; Ruper T. Pickens, The Songs of Jaufré Rudel, Toronto 1978, p. 144 (IV); George Wolf - Roy Rosenstein, The Poetry of Cercamon and Jaufre Rudel, New York - London 1983, p. 130 (II); Giorgio Chiarini, Il canzoniere di Jaufre Rudel, L’Aquila 1985, pp. 101-108 (V); Jaufre Rudel, Liriche, a cura di Robert Lafont, Firenze 1992, p. 48 (III) (testo di C).

Altre edizioni: François Raynouard, Choix des poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1818, vol. III, p. 95 (basata su C); Carl August F. Mahn, Die Werke der Troubadours, 4 voll., Berlin 1846, vol. I, p. 63 (riproduce Raynouard); Jaufre Rudel, Liriche, a cura di Mario Casella, Firenze 1946, p. 62 (riproduce il testo di Jeanroy con alcuni ritocchi); Gerardo Marone, Trovadores y juglares, Buenos Aires 1948, p. 79 (testo di Jeanroy); Jaufre Rudel e Bernardo di Ventadorn, Canzoni, a cura di Salvatore Battaglia, Napoli 1949, p. 124 (testo secondo Jeanroy e Casella); Donald Stone, «Rudel’s Belhs m’es l’estius. A new reading», Neuphilologische Mitteilungen, LXVII, 1966, p. 137 (riproduce il testo di Stimming); Victoria Cirlot, Las cançons de l’amor de lluny de Jaufré Rudel, Barcelona 1996, p. 66 (riproduce il testo di Chiarini); Naohiko Seto, «Historia calamitatum de Jaufre Rudel», La France latine, n. s., 129, 1999, p. 226 (testo di Mh2 con apparato delle varianti di C ed e).

Metrica: a8 b8 b8 a8 c8 c8 d8 (I-II, V-VI) b8 a8 a8 b8 c8 c8 d8 (III-IV, VII-VIII) (Frank 571: 9). Otto  coblas di sette versi, unissonans quanto alle rime, ma alternate a coppie per l’inversione della rima a con la rima b. La struttura strofica è definita coblas alternadas per doblas da Dominique Billy ( id., L’architecture lyrique médiévale. Analyse métrique et modélisation des structures interstrophiques dans la poésie lyrique des troubadours et des trouvères, Montpellier 1989, p. 124). Sulla rima itz : istz apparentemente imperfetta (vv. 8, 11 jauzitz : conquistz) si vedano altri casi in Joan Esteve, Co ssi moria (BdT 266.4) e Gaucelm Faidit, Ara nos sia guitz (BdT 167.9) (Sergio Vatteroni, Le poesie del trovatore Johan Esteve, Pisa 1986, p. 87 e Billy, L’architecture lyrique, p. 163). 

Note: Da Stimming in poi gli editori stampano il testo di otto strofe, integrando C con la testimonianza di e, unica eccezione Lafont che considera apocrife le strofe VII e VIII presenti soltanto in e. La presunzione di autenticità delle strofe VII e VIII è considerata sufficiente da Pietro G. Beltrami, «La canzone Belhs m’es l’estius», alle pp. 82-83 (si osserva che le due strofe conservate in e sono perfettamente regolari rispetto alla metrica delle altre sei; con la strofa VIII la canzone ha un vero e proprio congedo, altrimenti si chiuderebbe con il discorso diretto dell’amigua; sintatticamente l’inizio della strofa VIII ricalca quello della strofa IV, data da entrambi i mss. e il tipo di frase sentenziosa contenuta nei vv. 47-49 della cobla VII si accosta molto bene a quello delle due contenute nei vv. 12-14 e 33-35). – 6 avinen: Chiarini accoglie nel testo la variante di e (C d’avinen) su suggerimento di Maurizio Perugi (cfr. Le canzoni di Arnaut Daniel, edizione critica a cura di Maurizio Perugi, Milano-Napoli 1978, 2 voll., vol. I, p. 62. – 13 sol: Chiarini è l’unico editore ad accogliere questa lezione di e (C selh) che è uno scorso di penna del Plà; cfr. l’ipotesi di Beltrami, «La canzone Belhs m’es l’estius», p. 94, n. 13, confermata dal rinvenimento di Mh2 (Madrid, Biblioteca de la Real Academia de la Historia, 2 Ms 26) il codice utilizzato da Gioacchino Plà per la compilazione di e (cfr. la riproduzione diplomatica in Maria Careri, «Jaufre Rudel nel libre di Miquel de la Tor», in Contacts de langues, de civilisations et intertextualité, IIIe Congrès International de l’A.I.E.O., Montpellier 1990, 3 voll., vol. II, pp. 607-625, a p. 617). – 18 reisides: unico fra gli editori, Chiarini accoglie la variante grafica di e (in C rissides); cfr. Beltrami, La canzone,  p. 95, n. 18 (reisidar e rissidar convivono in provenzale). – 29 encharzitz (C escharzitz, Mh2e escarzitz): Chiarini accoglie l’emendamento di Jeanroy in luogo del quale Beltrami, La canzone, p. 98, n. 29 propone esclarzitz, postulando un probabilissimo scambio fra -l- e -h-(esclarzitz > escharzitz). La forma escharzitz data dai mss. e generalmente rifiutata è accolta da Pickens (ma la sua traduzione «I have increased my worth» [p. 147] rispecchia la lezione congetturata da Jeanroy) e da Wolf - Rosenstein. – Per un’interpretazione globale del testo e per la sua specificità all’interno del canzoniere rudelliano, cfr. Beltrami, La canzone, e id., «Ancora su Guglielmo IX e i trovatori antichi», Messana, n. s.,  4, 1990, pp. 5-45, a p. 31, dove il testo è definito «poesia di un amore perduto e ritrovato»: il tema della canzone si costruisce sull’opposizione fra passato doloroso e presente gioioso; lo stato in cui versa il poeta nel passato qualifica, secondo Beltrami, una situazione tipica dell’amante cortese, già presente in Guglielmo IX; causa ne è la separazione da amore; il recupero di amore qualifica il presente gioioso. Diversamente intende Chiarini, Il canzoniere, p. 105, n. 10 e n. 13. All’origine della diversa lettura, la discussa opposizione fra l’amor del v. 31 e la fin’amor del v. 35: nessuna contrapposizione interna - piuttosto atteggiamento moralmente sbagliato, perché concupiscente, verso l’unico possibile amore rudelliano, quello cortese di Guglielmo IX – secondo Beltrami; due tipi di amore – quello carnale e quello ideale e l’abbandono del primo a vantaggio del secondo – per  Chiarini. Si veda inoltre Lucia Lazzerini («La trasmutazione insensibile. Intertestualità e metamorfismi nella lirica trobadorica dalle origini alla codificazione cortese (I parte)», Medioevo romanzo, 18, 1993, pp. 153-205, alle pp. 194-197): tema del componimento sarebbe quello di una «pugna spiritualis» (p. 196) condotta dal poeta contro le forze del male, causa del distacco poi superato dal vero amore. La bibliografia pregressa si ricava agevolmente dai luoghi citati; fondamentale tuttavia il rinvio a Leo Spitzer, «L’amour lointain de Jaufre Rudel et le sens de la poésie des troubadours» (1944), in Romanische Literaturstudien 1936-56, Tübingen 1959, pp. 363-417. – Per l’interpretazione della cobla VI e per le ipotesi esegetiche proposte, cfr. Beltrami, «La canzone Belhs m’es l’estius», pp. 100-101, n. 36-42, in accordo con Silvio Pellegrini, «Jaufre Rudel e la critica», in Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini, Padova 1970, 2 voll., vol. I, pp. 234-239, alle pp. 237-238 (il Poeta ha voluto affermare, con una «mossa palesemente comico-realistica» di ascendenza guglielmina [Beltrami, «Ancora su Guglielmo IX»,  pp. 5-45, a p. 31] che non si è mai abbastanza prudenti e che la disparità dei pareri degli uomini, differenti anche fra persone vicinissime fra loro [fraire e seror, vv. 45-46, cobla VII], non aiuta nell’indicazione del comportamento da tenere). Diversamente Giorgio Chiarini, Il canzoniere, p. 107, n. 36-42, sulla scia di Leo Spitzer, «L’amour lointain», pp. 410-411, n. 2 (la strofa alluderebbe a un aneddoto personale e rinnoverebbe – ma forse sarebbe più opportuno dire introdurrebbe – un topos della letteratura trobadorica: che sarebbe meglio giacere vestiti con la propria dama, piuttosto che nudi con un’altra donna). Si vedano inoltre Lazzerini, «La trasmutazione insensibile», pp. 194-196 (la disavventura rudelliana potrebbe adombrare quella del singolo cristiano assalito dalle forze del male e temporaneamente sconfitto [perciò aissi·s n’aneron rizen]); l’interpretazione è già di Alberto Del Monte con una sensibile differenza: Del Monte presuppone che il linguaggio metaforico modellato sull’esempio biblico rinvii a una retorica amorosa già costituita, mentre secondo Lazzerini quella retorica si costituirà più tardi e proprio a partire dai testi di Jaufre Rudel (cfr. Alberto Del Monte, «En durmen sobre chevau», in Civiltà e poesia romanze, Bari 1958, pp. 60-81). –  Per l’interpretazione dei vv. 45-46 e in particolare per il senso di fraire e seror, si vedano le varie ipotesi in Pietro G. Beltrami, La canzone, pp. 103-104, n. 45-46 e Giorgio Chiarini, Il canzoniere, pp. 107-108, n. 43-46 («tutte, in varia misura, poco persuasive» secondo Chiarini; si sceglie di riportare quella di Beltrami fondata sull’autorità di Pellegrini [ma anche Spitzer era significativamente dello stesso avviso] cioè che fraire e seror valgano come distributivo per dire «tutti»; a questa interpretazione si deve aggiungere quella più recente di Lucia Lazzerini – l’unica appoggiata sull’autorità di testi coevi – che vede in Fraire il Verbo e seror la natura umana nella sua fragilità e nei suoi cedimenti alla tentazione [Lazzerini, «La trasmutazione insensibile, pp. 196-197]). 

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