Rialto

262.3

 

Jaufre Rudel

 

 

 

 

Non sap chantar qui so non di

ni vers trobar qui motz no fa,

ni conois de rima co·s va

si razo non enten en si.

5

Mas lo mieus chans comens’aissi:

com plus l’auziretz, mais valra. a a

 

Nuils hom no·s meravill de mi

s’ieu am so que ja no·m veira,

que·l cor joi d’autr’amor non a

10

mas de cela qu’ieu anc no vi,

ni per nuill joi aitan no ri

e no sai quals bes m’en venra. a a

 

Colps de joi me fer, que m’ausi,

e ponha d’amor que·m sostra

15

la carn, don lo cors magrira;

et anc mais tan greu no·m feri

ni per nuill colp tan no langui,

quar no conve ni no s’esca. a a

 

Anc tan suau no m’adurmi

20

mos esperitz tost no fos la,

ni tan d’ira non ac de sa

mos cors ades no fos aqui;

e quan mi reisit al mati

totz mos bos sabers mi desva. a a

 

25

Ben sai c’anc de lei no·m jauzi

ni ja de mi no·s jauzira,

ni per son amic no·m tenra

ni coven no·m fara de si.

Anc no·m dis ver ni no·m menti,

30

ni no sai si ja s’o fara. a a

 

Bos es lo vers, qu’anc no·i falhi

e tot so que·i es ben esta;

e sel que de mi l’apenra

gart se no·l franha ni·l pessi.

35

Car si l’auzon en Caersi

en Bertrans e·l coms en Tolza, a a

 

bos es lo vers, e faran hi

calque re don hom chantara. a a

 

 

 

Testo: Chiarini 1985 (I). – Rialto 24.iii.2004.


Mss.: C 215r, E 150, M 166r, Mh2 77, R 63r, a1 458, b 5r, e 192 (il testo è presente in e in due redazioni, fonte delle quali è Mh2 che trascrive sinotticamente g3 [copia parziale di M] e b3 [copia parziale del «Libro di Michele»] [Maria Careri, «Jaufre Rudel nel Libre di Miquel de la Tor», in Contacts de Langues, de Civilisations et Intertextualité. IIIe Congrès International de l’A.I.E.O., Montpellier 1990, 3 voll., vol. II, pp. 607-625]).

Edizioni critiche: Albert Stimming, Der Troubadour Jaufre Rudel, sein Leben und seine Werke, Kiel 1873, p. 53 (VI) (mss. CER); Gaston Paris, «Jaufré Rudel», Revue historique, LIII, 1893, p. 257 (testo di E; ai vv. 1, 2 accoglie la variante di R) (poi in Mélanges de Littérature du moyen âge, Paris 1912, p. 533); Alfred Jeanroy, Les chansons de Jaufré Rudel, Paris 1915, p. 16 (VI) (testo di E); Rupert T. Pickens, The Songs of Jaufré Rudel, Toronto 1978, p. 215 (VI) (edizione sinottica delle varie versioni: «version 1» [ms. C]; «version 2» [mss. Ee3; ms.-base E; e3 indica la seconda versione del testo contenuta in e corrispondente a b3]; «version 1-a» [mss. Meg; ms.-base M; eg indica la prima versione del testo contenuta in e corrispondente a g3]; «version 1-b» [ms. R]; «version 2-a» [ms. a1]); George Wolf - Roy Rosenstein, The Poetry of Cercamon and Jaufre Rudel, New York - London 1983, p. 134 (III) (testo di E; per le ultime due stanze, mancanti in E, ms.-base e3); Giorgio Chiarini, Il canzoniere di Jaufre Rudel, L’Aquila 1985, p. 55 (I); Jaufre Rudel, Liriche, a cura di Robert Lafont, Firenze 1992, p. 60 (VI) (testo di C, di cui si accettano due strofe [V e VI] che gli editori hanno giudicato apocrife). 

Altre edizioni: François Just-Marie Raynouard, Choix des poéses originales des troubadours, 6 voll., Paris 1818, vol. III, p. 97; Carl August F. Mahn, Die Werke der Troubadours, 4 voll., Berlin 1846, vol. I, p. 64 (testo identico a quello di Raynouard); Jaufre Rudel, Liriche, a cura di Mario Casella, Firenze 1946, p. 40 (I) (testo di Jeanroy, con la variante di R ai vv. 1-2 [già nell’ed. Paris]e alcuni ritocchi alla punteggiatura); Raymond T. Hill - Thomas G. Bergin, Antology of the Provençal Troubadours, 2 voll., New Haven 1941, vol. I, p. 28 (testo di Jeanroy); Gerardo Marone, Trovadores y juglares, Buenos Aires 1948, p. 65 (testo di Jeanroy); Jaufre Rudel e Bernardo di Ventadorn, Canzoni, a cura di Salvatore Battaglia, Napoli 1949, p. 113 (testo di Jeanroy con qualche ritocco del Casella); Aurelio Roncaglia, Venticinque poesie dei primi trovatori (Guillems IX - Marcabru - Jaufre Rudel - Bernart de Ventadorn), Modena 1949, p. 55 (riproduce il testo di Jeanroy con un ritocco del Casella alla punteggiatura [v. 5]); Marco Boni, Antologia trobadorica, con traduzioni e note, 2 voll., Bologna 1962, vol. I, p. 46 (testo di Battaglia); Martín de Riquer, Los trovadores. Historia literaria y textos, 3 voll., Barcelona 1975, vol. I, p. 167 (testo di Jeanroy); Giuseppe E. Sansone, La poesia dell’antica Provenza. Testi e storia dei trovatori, 2 voll., Milano 1984, vol. I, p. 86 (testo di Jeanroy); Victoria Cirlot, Las canços de l’amor de lluny de Jaufré Rudel, Barcelona 1996, p. 42 (I) (riproduce il testo di Chiarini).

Metrica: a8 b8 b8 a8 a8 b8 (Frank 470: 5). Sei coblas unissonans di sei versi, più una tornada di due versi; risonanza vocalica (a a ) alla fine di ciascun sesto verso mascolino in -a (il refrain a a è conservato solo in M, forse un’aggiunta del copista, indotta dall’erronea suddivisione del melisma eptasillabico sovrastante la a finale della rima che chiude la strofe [cfr. Jörn Gruber, Die Dialektik des Trobar, Tübingen 1983, p. 87]).

Melodia (R): Gennrich, III, p. 29, no 13; Fernández de la Cuesta, p. 55; van der Werf (non ho potuto vederlo); George Wolf - Roy Rosenstein, The Poetry of Cercamon and Jaufre Rudel, New York - London 1983, «plate» 10 (a cura di van der Werf); Jaufre Rudel, Liriche, a cura di Robert Lafont, Firenze 1992, p. 97 (da Fernández de la Cuesta).

Note: Da Paris in poi, gli editori hanno sempre stampato il testo di E, integrandolo con la testimonianza di e, perché hanno considerato autentica la cobla V di E di cui CMR conservano solo gli ultimi due versi, ma in posizione diversa, cioè alla fine della cobla II; di conseguenza è stata considerata autentica, nella forma tradita da E, anche la cobla II; infine sono state considerate apocrife le due strofe di cui è latore il solo ms. C (si possono leggere nel testo composito di Stimming, coblas VI e VII). – Al v. 19 Chiarini abbandona la lezione di E (i mss. Ea1b3 leggono soven errore che viene considerato monogenetico e utile a postulare l’esistenza del ramo ß della tradizione; forse più facilmente paleografico, e perciò poligenetico, da suau [mss. CMRg3] messo a testo). – Al v. 23 Chiarini rifiuta la lezione di E accolta invece da Jeanroy (resveill) e mette a testo quella che nel commento è considerata la variante difficilior attestata in Rb3 (reissit) (già Paris che però non lo indicava in apparato) (si veda  Chiarini, Il canzoniere, p. 62, n. 23); si segnala che Chiarini attribuiva a resveill un valore diverso a p. 56 dove lo considera errore utile a postulare un antigrafo comune ai mss. latori Ea1. – Sull’attribuzione a Bernartz Martis  (a1), cfr. Maria Luisa Meneghetti, «Qui no sap esser chantaire: un’attribuzione possibile? », in Il miglior fabbro.... Mélanges de langue et de littérature occitanes en hommage à Pierre Bec, Poitiers 1991 (la studiosa parla di interferenza reciproca delle tradizioni di Qui no sap esser chantaire, assegnato a Jaufre Rudel dal solo ms. a1 [p. 500] e il nostro testo certamente rudelliano [a1 458-459], con scambio di attribuzione avvenuto con tutta probabilità nella fase delle Gelegenheitssammlungen; il testo attribuito dal ms. a1a Jaufre Rudel potrebbe dunque essere di Bernart Marti). – Il testo è stato interpretato in due modi diversi: per avere le due interpretazioni a confronto, si veda Marie-Noël Lefay-Toury, «La conscience littéraire chez Jaufré Rudel», Senefiance, 2, 1976, pp. 415-428 e l’intervento di Antoine Tavera che segue (pp. 429-430); Tavera rifiuta l’interpretazione che vede già espressi nella canzone  i principali temi della fin’amor, perché giudicata azzardata e anacronistica; il testo si accosterebbe piuttosto a componimenti dal carattere ironico e dal significato incerto [Ben vueill que sapchon li pluzor BdT 183.2 e Pos de chantar m’es pres talenz BdT 183.10]). Le due linee interpretative sono ricostruite in Pierre Bec, «Amour de loin et dame jamais vue», in Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea, Modena 1989, 4 voll., vol. I, pp. 101-118, alle pp. 113-114, poi ristampato in id., Ecrits sur les troubadours et la lyrique médiévale (1961-1991), Caen 1992, pp. 265-282 (la prima risalirebbe a Lefèbre ed è condivisa da Bec; la seconda è di Gaston Paris e accolta da Scheludko, Spitzer, Del Monte, Cluzel e Pickens). – I vv. 13-15 evocherebbero disavventure abelardiane secondo l’interpretazione di Bologna-Fassò, pp. 23-28; l’ipotesi è giudicata improbabile da Lazzerini che rinvia, come già Spitzer, al «motivo che macera la carne e la trafigge» rintracciabile nei mistici del XII secolo (si cita in particolare S. Bernardo; cfr. Corrado Bologna - Andrea Fassò, Da Poitiers a Blaia: prima giornata del pellegrinaggio d’amore, Messina 1991; Lucia Lazzerini, «La trasmutazione insensibile. Intertestualità e metamorfismi nella lirica trobadorica dalle origini alla codificazione cortese (I parte)», Medioevo romanzo, 18, 1993, pp. 153-205, alle pp. 191-192). –  Ai vv. 19-20 è il motivo dell’amore inseparabile (replicato in Pro ai del chan, vv. 33-36, diventerà un topos della lirica trobadorica) motivo che rinvia anch’esso al repertorio dei contemplativi del XII secolo (cfr. ancora Lazzerini, «La trasmutazione insensibile», p. 192). – L’ira (tristezza) riconduce aqui e preclude l’accesso al lai cui anela l’esperitz: questa l’interpretazione dei vv. 21-22  suffragata dal rinvio a S. Agostino, Enarrationes in Psalmos (Lazzerini, «La tramutazione insensibile», p. 193, ma già Spitzer citato in nota da Chiarini). 

[am]


BdT    Jaufre Rudel