Rialto

276.1

 

Jacopo Mostacci

 

 

 

 

Umile core e fino e amoroso

già fa lungia stagione c’ò portato

buonamente ad Amore;

di·llei avanzare adesso fui penzoso

5

oltre poder, e infin ch’era afanato,

no ’nde sentia dolore:

pertanto non da·llei partia coragio

né mancav’a lo fino piacimento,

mentre non vidi in ella folle usagio,

10

lo qua·le avea cangiato lo talento.

 

Ben m’averia per servidore avuto,

se nom fosse di frode adonata,

per che lo gran dolzore

e la gran gioia che m’è stata rifiuto;

15

ormai gioia che per lei mi fosse data

non m’averia savore.

Però ne partto tuta mia speranza,

ch’ella partì del presgio e del valore,

che mi fa uopo d’avere altra ’ntendanza,

20

ond’io aquisti ciò che perdei d’amore.

 

Però se da·llei parto e inn-altra intendo,

no le par grave né sape d’oltragio,

tant’è di vano affare;

ma ben credo savere e valer tando,

25

poi la solglio avanzare, ca danagio

le saveria contare.

Ma no mi piace d’essa quello dire,

k’eo ne fosse tenuto mesdicente,

c’assai val meglio chi si sa partire

30

da reo sengnor e alungiar buonamente.

 

Om che si part’e alunga fa savere

di loco ove possa essere affanato

e tra’ne suo pensero:

ed io mi parto e tragone volere,

35

e dolglio de lo temppo trapassato

che m’è stato fallero;

ma no mispero, c’a tal signoria

son servato, che buono guiderdone

averagio, perzò che no obria

40

lo ben servent’e merita a stagione.

 

 

 

Testo: Aniello Fratta, in corso di pubblicazione nella nuova edizione critica dei poeti della scuola siciliana e dei siculo-toscani coordinata da Rosario Coluccia e Costanzo Di Girolamo per il Centro di studi filologici e linguistici siciliani. – Rialto 22.v.2002.


Rialto