Traduzione [gb]
I. Non canto affatto per il desiderio di
cantare; ma così canto, [cioè] non canto, ma cantando piango, per questo un tale
canto si deve chiamare canto-pianto, perché il canto è mescolato al pianto; e
nessuno dica che io ho commesso uno sbaglio per via di tale mescolanza, perché
quello che dico piangendo nessuno potrebbe sopportare di udirlo senza canto,
tanto è funesta la perdita e la sventura.
Testo: Branciforti 1954, con modifiche di gb. – Rialto 24.ix.2018. Mss.: I 93v, K 77r, a2 392-393. Edizioni critiche: Carl Appel, Provenzalische Inedita aus Pariser Handschriften, Leipzig 1890, p. 182; Giulio Bertoni, I trovatori d’Italia. Biografie, testi, traduzioni, note, Modena 1915, p. 347; Francesco Ugolini, La poesia provenzale e l’Italia, Modena 1949, p. 102; Francesco Branciforti, Il canzoniere di Lanfranco Cigala, Firenze 1954, p. 222; Gilda Caïti-Russo, Les troubadours et la cour des Malaspina, Montpellier 2005, p. 366. Altre edizioni: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, p. 281 (testo Bertoni);, Lanfranco Cigala, Liriche, a cura di Gianluigi Toja Firenze 1952, p. 48 (testo Ugolini con modifiche); Gianluigi Toja, Trovatori di Provenza e d’Italia, Parma 1965, p. 278 (testo Toja); Giuseppe Sansone, La poesia dell’antica Provenza. Testi e storia dei trovatori, 2 voll., Milano 1984, vol. II, p. 550 (testo Branciforti). Metrica: a10 b10 b10 a10 c10’ d10 d10 c10’ (Frank 624:24). Planh di cinque coblas unissonans di otto versi e una tornada di quattro versi. Rime: -ar, -ór, -ensa, -an. Il componimento è uno dei due planhs occitanici che si designano con l’indicazione di chan-plor (‘canto-pianto’); l’altro è il planh in morte di Gregorio di Montelongo, En chantan m’aven a retraire (BdT 461.107). È impossibile determinare se il componimento avesse melodia originale, a causa della frequenza, senz’altro poligenetica, con cui questa formula metrica ricorre nei testi trobadorici. Ed. Branciforti: 15 toz faiz benestanz, 25 Om non, 29 tota·il Proensa. Note: Il planh è stato composto per una nobildonna di nome Berlenda, attualmente non identificata. Il testo non è databile, ma poiché l’autore morì nel 1258, precede questa data. Si vedano le Circostanze storiche. 13. Su Na Berlenda si vedano le Circostanze storiche. 15. Il ms. a2 dà la lezione totz faitz benestan e IK toz faiz benestanz (a testo in Branciforti e Caïti-Russo). Il plurale è stato senza dubbio introdotto a senso nell’archetipo, andando a cozzare con la rima; ma l’espressione ha senso pieno anche al singolare, pertanto è necessario seguire l’emendamento di Appel, Provenzalische Inedita, p. 182. 22. Il verso non è chiaro. Bertoni traduce liberamente, evitando il problema: «ciò per cui si faceva a gara a migliorarsi». De Bartholomaeis: «ciò per cui [esso] stava davanti alle altre [virtù]», considerando come soggetto la valenza del verso precedente. Branciforti: «ciò per cui si superava un altro», ripreso da Caïti-Russo: «ce pour quoi l’on précédait un autre», ma non si capisce chi sia l’altro. Caïti-Russo propone di emendare: «e zo per que estava[n] autr’enan (= et ce à cause de quoi existait les autres avantages», ma lei stessa si mostra perplessa, osservando che enan (avverbio) non è uguale a enans (sostantivo). 25. Seguo Kurt Lewent, «On the Text of Lanfranc Cigala’s Poems», in Saggi e ricerche in memoria di Ettore Li Gotti, 3 voll., Palermo 1962, vol. II, pp. 171-192, ripreso da Caïti-Russo, e ripristino Anc a inizio verso al posto di Om di tutti gli altri editori: l’espressione è ellittica ma comprensibile, perché qe è una forma possibile di qi. 29. tota·il proensa: preceduta dall’articolo, presente in tutti i codici, proensa non può essere un nome di luogo, perché il provenzale non premette mai l’articolo ai toponimi. Pertanto, non si fa qui questione della Provenza (come in Branciforti e Caïti-Russo), ma della ‘provincia’; ripristino, quindi, l’iniziale minuscola. Sulle conseguenze di ciò, cfr. Circostanze storiche. 32. Credeva già Appel che niente si potesse riferire a li e proponeva di emendarlo in lor. In tal caso il verso sarebbe senza dubbio ipermetro. Del resto, le traduzioni «loro» di Bertoni e «per loro» di Branciforti (De Bartholomaeis glissa e non lo traduce affatto) sono tutte ugualmente inaccettabili perché li può essere solo singolare. Caïti-Russo propone di elidere leggendo ll’er, per preservare un computo sillabico ineccepibile (ma li er può valere comunque una sillaba sola) e in nota spiega di riferire il li (pronome singolare) alla proensa, ciò che è senza dubbio vero, anche se poi traduce «pour eux». 40. adur per aduire «amener, apporter» (PD, p. 8) è un hapax, come rileva Caïti-Russo. Il verso non è chiaro. L’interpretazione proposta nella traduzione è quella di Bertoni («non dobbiamo astenerci dal piangere»), De Bartholomaeis («ciò non deve farci desistere dal piangere [?]»), Branciforti («non ci dobbiamo astenere dal pianto») e Caïti-Russo («qu’on ne supporte pas l’abstinence de larmes»). Tuttavia, è evidente la difficoltà semantica insita nel verbo aduire che solo in senso molto lato si può tradurre ‘concedere, consentire’, perché in senso proprio (‘portare’) dovremmo immaginare un’espressione aduire estenensa non attestata (anziché far estenensa): la difficoltà è evidente nelle traduzioni, in quanto, respinta la traduzione ‘sopportare’ di Caïti-Russo, perché si avrebbe a che fare con il verbo adurar, gli altri editori lo omettono, fatto già rimproverato a Bertoni da Oscar Schultz-Gora (recensione a Bertoni, I trovatori, Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen, 134, 1916, pp. 194-206, a p. 204). D’altra parte, le due concessive («si tot») sembrano operare dei distinguo ora che la donna è in cielo rispetto all’inizio del testo, per cui non è possibile neppure escludere la proposta di Alfred Jeanroy («À propos des “Trovatori d’Italia” de M. G. Bertoni», Annales du Midi, 27, 1915, pp. 204-212, a p. 209, sostenuta anche da Lewent, «On the Text», p. 188), che vorrebbe leggere «nos deu adur de plorar estenenza», traducendo «le fait (qu’elle règne au ciel) doit nous empêcher de la pleurer (malgré le damnage subi)». In effetti, se questa lettura contrasta con la prima strofa, quella di Bertoni, Branciforti e Caïti-Russo contrasta con «si tot nos torn’a dan» che precede immediatamente e dove non è chiaro perché si usi la concessiva. Appel leggeva estendenza con il senso di «im Übermass» e dava però anche la lezione «no·s», col che il passo è contraddittorio; con questo emendamento bisognerebbe leggere «nos deu adur de plorar esten[d]enza» ‘ci deve portare eccesso di pianto’. Schultz-Gora, recensione a Bertoni, I trovatori, p. 204, e SW, III, p. 316 lamentavano l’incomprensibilità del passo. 41. Sulla Lunigiana e sul legame tra Berlenda e questa terra, cfr. Circostanze storiche. [gb] |