Rialto

293.16

 

Marcabru

 

 

 

 

D’aisso lau Dieu D’una cosa lodo Iddio e Sant’Andrea: che nessuno ha più giudizio di me; lo penso e non ne faccio millanteria, e vi dirò il perché;

e saint Andrieu

3

c’om non es de major albir

qu’ieu sui, so·m cuig,

 

e no·n fatz bruig

6

e volrai vos lo per que dir;

 

 

C’assatz es lait molto sconveniente è, infatti, se vi cacciate in una questione da cui non sapreste cavare i piedi, e non è bello che trinciate giudizi se non sapete giustificarli.

s’intratz en plait

9

don non sabretz a lutz issir,

e non es bo

jutgetz razo

12

si non la sabetz defenir.

 

De gignos sens D’astuzie son così ricco, che ben difficile è ch’io resti beffato. Io mangio tiepido e soffice il pane del minchione, e lascio raffermarsi il mio.

 

sui si manens

15

que mout sui greus ad escarnir;

lo pan del fol

caudet e mol

18

manduc, e lais lo mieu frezir:

 

Tant quant li dur Finché gli dura, gli garantisco e gli giuro che nessuno può separarmi da lui; e quando non ne avrà più, allunghi il collo e sbadigli, e del mio si tenga il desiderio,

li pliu e·il jur

21

com no·m puosca de lui partir,

e quan li faill

mus e badaill

24

e prenda del mieu lo dezir;

 

Qu’ieu jutg’a drei perché io giudico giusto che il minchione si comporti da minchione e il saggio badi a come andrà a finire: ed è due volte sciocco e stupido chi da un minchione si lascia minchionare.

que fols follei

27

e savis si gart al partir,

 

qu’en dobl’es fatz

e dessenatz

30

qui·s laiss’a fol enfolletir.

 

D’estoc breto Di stocco bretone, di bastone, di scherma, nessuno ha più pratica di me, ché io ferisco l’avversario e mi difendo da lui, e lui, dal mio colpo non può ripararsi.

ni de basto

33

no sap om plus ni d’escremir:

qu’ieu fier autrui

 

e·m gart de lui

36

e no·is sap del mieu colp cobrir.

 

En l’autrui broill Nel parco altrui vado a caccia quando mi pare, e vi faccio squittire i miei due cagnetti, e il terzo segugio si lancia avanti baldo e teso alla preda: proprio così!

chatz cora·m voill

39

e fatz mos dos canetz glatir,

e·l tertz sahus

 

eis de rahus

42

bautz e ficatz senes mentir.

 

Mos alos es ma il mio privato possesso è così bene al sicuro, che nessuno, all’infuori di me, ne può godere: così l’ho chiuso di sbarramenti che nessuno può metterci piede.

en tal deves

45

res mas ieu non s’en pot jauzir:

aissi l’ai claus

 

de pens venaus

48

que nuills no lo·m pot envazir.

 

Del plus torz fenz Dei più complicati infingimenti io sono pieno e pregno, di cento colori per meglio scegliere: porto fuoco di qua e acqua di là e con questa so spegnere la fiamma.

sui ples e prens,

51

de cent colors per mieills chauzir;

fog porti sai

 

et aigua lai

54

ab que sai la flam’escantir.

 

Cascun si gart, Stia in guardia ognuno! ché con quest’arte io giuoco a vivere e morire: io sono il cuculo, che fa allevare i suoi pulcini agli stornelli.

c’ab aital art

57

mi fatz a viure e morir;

qu’ieu sui l’auzels

 

c’als estornels

60

fatz los mieus auzellos noirir.

 

 

 

Testo: Aurelio Roncaglia, «Il gap di Marcabruno», Studi medievali, 17, 1951, pp. 46-70, alle pp. 59-62; rist. in La critica del testo, a cura di Alfredo Stussi, Bologna, Il Mulino, 1985 (Strumenti di filologia romanza), pp. 77-100, alle pp. 89-92. – Rialto 23.iv.2005.


Mss., Edizioni, Metrica: vedi l’ed. Gaunt-Harvey-Paterson.

Nota. Pur accettando la classificazione di Roncaglia (A-IK contro CE sotto un archetipo comune, mentre T «rappresenta una tradizione contaminata»), il quale adotta A come base grafica, Paterson fonda il suo testo sul ms. ‘occidentale’ E, di cui difende la lezione (cf. p. 209) almeno ai vv. 11-12: qui·n quer razo / e no la sabetz defenir ‘if someone demands the reason for it and you don’t know how to give an account of it’. Al v. 42, presente solo in CET, la studiosa accoglie, come già Dejeanne, la variante individuale di T (e aficatz per ferir ‘and eager to pounce’) nonostante lo scetticismo di Roncaglia, cui essa appariva «un riempitivo non meno della concorrente CE senes mentir» e ipotizzava che la lezione originaria fosse «andata irreparabilmente smarrita» (p. 58). All’ardua spiegazione di pens venaus 47 ‘sbarramenti’ (cf. ed. Roncaglia, p. 68 n. 47), Paterson oppone, sulla scorta di K. Lewent (1913), la congettura d’empeis ne vaus ‘with breastworks and moats’, che avrebbe «the advantages of relative simplicity and an explanation of the readings of both C [de pes nauaus] and ET [de pens uenaus]» (p. 219 n. 47). La studiosa si accontenta poi, al v. 49, di seguire il capostipite di CE (De plusors sens ‘with numerous signs’; cf. la nota 49 a p. 220) rinunciando al restauro dell’archetipo proposto da Roncaglia (pp. 55-56) sulla base della lezione erronea di AIK (Dels plus torsens) e senza menzionare l’ipotesi di B. Spaggiari (Il nome di Marcabru, Spoleto 1992, pp. 54-59), indotta dalla ripetizione del rimante sens (v. 13), che l’intera strofa IX costituisca una redazione alternativa della III. Al v. 57 la scrittura fassa di CE è separata in fa ssa (avv. di luogo), e l’intero verso è reso quindi ‘I make myself live and die in this world’. Una singularis del ms. base (auzeletz) non è eliminata al v. 60. La divisione dei vv. 55-60 in due tornadas di tre versi, rispettosa della segnalazione grafica in CE ma assente in T (cf. p. 210), non andrà necessariamente riferita alla struttura originaria del componimento.

[fc]


Premessa

Cfr. ed. Gaunt-Harvey-Paterson

BdT    Marcabru (ed. Roncaglia)    Marcabru (ed. Gaunt-Harvey-Paterson)