Rialto    IdT

335.31

 

   

Peire Cardenal

 

 

 

 

   

I.

   

Li clerc si fan pastor

   

e son aussizedor

   

e semblan de santor;

4  

can los vei revestir

   

e prent m’a sovenir

   

de n’Alengri, c’un dia

   

volc ad un parc venir,

8  

mas pels canx que temia

   

pel de mouton vestic,

   

ab que los escarnic,

   

pois manget e trazic

12  

la cal que l’abelic.

   

 

   

II.

   

Rei et emperador,

   

duc, comte e comtor

   

e cavallier ab lor

16  

solon lo mon regir;

   

eras vei possezir

   

ha clercs la seingnoria,

   

ab tolre et ab trair

20  

et ab ypocrizia,

   

ab forssa et ab prezic,

   

e tenon s’a fastic

   

qui tot non lor ho gic,

24  

et er fait, cant que tric.

   

 

   

III.

   

Aissi com son maior

   

son ab meins de valor

   

et ab mais de follor

28  

et ab meins de ver dir

   

et ab mais de mentir

   

et ab meins de clersia

   

et ab mais de failhir

32  

et ab meins de paria;

   

dels fals clergues ho dic,

   

c’anc mais tant enemic

   

hieu a Dieu non auzic

36  

de sai lo temps antic.

   

 

   

IV.

   

Cant son en refreitor,

   

no m’o tenc az onor

   

qu’a la taula aussor

40  

vei los cussons aissir

   

e premiers s’escausir;

   

auias grant vilania:

   

q’ar hi auszon venir

44  

et hom no los en tria;

   

pero anc no lai vic

   

paubre cusso mendic

   

sezer latz cusson ric;

48  

d’aisso los vos esdic.

   

 

   

V.

   

Ia non aion paor

   

alcaicx ni almassor

   

qe abat ni prior

52  

los anon envazir

   

ni lors terras sazir,

   

que afans lor seria,

   

mas sai son en consir

56  

del mon comsi lor sia,

   

ni com en Frederic

   

gitesson de l’abric;

   

pero tals l’aramic

60  

c’anc fort no s’en iauzic.

   

 

   

VI.

   

Clergues, qui vos chauzic

   

ses fellon cor enic

   

en son comde faillic,

64  

c’anc peior gent non vic.

 

 

Traduzione [SV]

I. I chierici si fanno pastori e sono assassini sotto l’aspetto di santità; quando li vedo indossare l’abito mi viene in mente messer Isengrino, che un giorno volle introdursi in un recinto, ma per paura dei cani vestì pelle di montone, con la quale ingannò, poi mangiò e ingoiò ciò che gli piacque.
II. Re e imperatori, duchi, conti e contori e con loro i cavalieri solevano governare il mondo; ora vedo i chierici tenere il potere col furto e il tradimento e con l’ipocrisia, con la forza e con le prediche, e non tollerano che non gli si ceda tutto e così sarà, per quanto ritardi.
III. Quanto più sono importanti meno hanno valore, più follia e meno verità, più menzogna e meno dottrina, più peccati e meno amicizia; lo dico dei falsi chierici, perché mai ho sentito di peggiori nemici di Dio fino dai tempi antichi.
IV. Quando sono al refettorio non trovo onorevole vedere queste persone spregevoli installarsi alla tavola principale e servirsi per primi; udite grande villania: ora osano venirci e nessuno li manda via; però non ho mai visto un povero vile mendico sedere accanto a vili potenti; per questo ve li assolvo.
V. Non temano alcadi e almansori che abati e priori vadano ad attaccarli e a prendere le loro terre, perché sarebbe loro penoso; piuttosto si preoccupano qui di come impadronirsi del mondo e cacciare Federico dal suo rifugio; ma lo ha sfidato un tale che poi non se ne è rallegrato molto.
VI. Chierici, chi vi ha ritenuti privi di cuore fellone e cattivo ha sbagliato i suoi conti, perché non ho mai visto gente peggiore.

 

 

 

Testo: Vatteroni 2013. – Rialto 26.v.2017.


Mss.: A 216r, C 276v, Db 238r, Db 239r, I 165v, J 2v, K 150v, M 223r, R 70v, T 107r, d 322v.

Edizioni critiche: Carl Appel, Provenzalische Chrestomathie, Leipzig 1930, p. 113; René Lavaud, Poésies complètes du troubadour Peire Cardenal (1180-1278), Toulouse 1957, p. 170; Sergio Vatteroni, «Le poesie di Peire Cardenal I», Studi mediolatini e volgari, 36, 1990, pp. 73-259, p. 107; Sergio Vatteroni, Il trovatore Peire Cardenal, 2 voll., Modena 2013, vol. I, p. 474.

Altre edizioni: François Just Marie Raynouard, Choix de poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1816-1821, vol. IV, p. 343 (parziale); Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-1853, vol. II, p. 180 (testo Raynouard); Joseph Anglade, Anthologie des troubadours, Paris 1927, p. 159 (parziale); Jean Audiau, Nouvelle anthologie des troubadours, revue et accompagnée d’un glossaire et d’un index par René Lavaud, Paris 1928, p. 183 (parziale); Alfredo Cavaliere, Cento liriche provenzali, Bologna 1938, p. 359 (testo Appel); Robert T. Hill - Thomas G. Bergin, Anthology of the Provençal Troubadours, New Haven 1941, p. 164 (parziale); Antonio Viscardi, Florilegio trobadorico, Milano-Varese 1947, p. 83 (testo Appel); Gianluigi Toja, Trovatori di Provenza e d’Italia, Parma 1965, p. 252 (testo Lavaud); René Nelli - René Lavaud, Les troubadours. Le trésor poétique de l’Occitanie, Bruges 1966, p. 794 (testo Audiau); Robert Lafont, Trobar, XIIe-XIIIe siècles, Montpellier 1972, p. 283 (testo Lavaud); Martín de Riquer, Los trovadores. Historia literaria y textos, 3 voll., Barcelona 1975, vol. III, p. 1505 (testo Lavaud); Guillaume Picot, La Poésie lyrique au Moyen age, 2 voll., Paris 1975, vol. I, p. 104 (testo Lavaud); René Nelli, Ecrivains anticonformistes du moyen-âge occitan, 2 voll., Paris 1977, vol. I, p. 270 (testo Lavaud); Jacques Roubaud, Les troubadours, anthologie bilingue, Paris 1971, p. 346 (testo Lavaud); Costanzo Di Girolamo - Charmaine Lee, Avviamento alla filologia provenzale, Roma 1996, p. 161 (testo Vatteroni 1990); I trovatori e la Crociata contro gli Albigesi, Milano - Trento 1999, a cura di Francesco Zambon, p. 88 (testo Vatteroni 1990); Paolo Gresti, Antologia delle letterature romanze del Medioevo, Bologna 2006, p. 87 (testo Vatteroni 1990); Sergio Vatteroni, Rialto 17.x.2013 (testo Vatteroni 2013).

Metrica: a6 a6 a6 b6 b6 c6’ b6 c6’ d6 d6 d6 d6 (Frank 74:2). Cinque coblas unissonans di dodici versi e una tornada di quattro. Rime: -or, -ir, -ia, -ic. John H. Marshall, «Imitation of Metrical Form in Peire Cardenal», Romance Philology, 32, 1978-1979, pp. 18-48, a p. 24 riconosce il modello metrico del testo nella canzone di Peire Vidal Ben viu a gran dolor (BdT 364.13).

Note: Sirventese composto probabilmente tra il 1229 e il 1230, in seguito al ritorno di Federico nel regno di Sicilia dopo la crociata in Terrasanta: si vedano le Circostanze storiche.

1-3. Peire amplifica un luogo comune della satira anticlericale anche mediolatina che risale a un passo del vangelo di Matteo (Mt 7, 15): «adtendite a falsis prophetis qui veniunt ad vos in vestimentis ovium intrinsecus autem sunt lupi rapaces». La stessa immagine topica ricorre anche in Guilhem Figueira in D’un sirventes far (BdT 217.2), vv. 247-251: «Car’avetz d’anhel / ab simpla gardadura, / dedins lops rabatz, / serpens coronatz / de vibr’engenratz».

6. Vatteroni, Il trovatore, vol. I, p. 477 evidenzia che l’episodio del lupo Isengrino vestito da montone non trova riscontro nel Roman de Renart ed è riportato invece nel Roman de la Rose. In merito a ciò, lo studioso non crede a un rapporto di relazione tra il sirventese e il romanzo e ipotizza piuttosto l’esistenza di una fonte comune ai due testi.

13-16. Come afferma Sergio Vatteroni, “Falsa clercia”. La poesia anticlericale dei trovatori, Alessandria 1999, p. 24 la laudatio temporis acti in questo sirventese rinvia «a un tempo storico individuato precisamente nel momento in cui il governo della società era ancora saldamente nelle mani dei signori laici».

14. Il comtor sarebbe «celui qui dans la hiérarchie de la noblesse vient après le vicomte», cfr. PD, p. 88.

18. La denuncia dell’ingerenza clericale negli affari temporali è un tema convenzionale della satira anticlericale di Peire Cardenal. La concezione fortemente teocratica che si sviluppa nel corso del XIII secolo fu al centro di molte critiche, non solo da parte dei trovatori ma anche dei trovieri francesi (cfr. Vatteroni, “Falsa clercia”, pp. 15-40). L’immagine della Chiesa che prende possesso del potere temporale è presente anche nel trattato cataro dell’Apologia, dove si legge che la «gleisa maligna romana […] seignoriza las citas e los borc e las provincias […] e es temuda dels reys e dels empeeradors e dels aotre baros» (Theo Venckeleer, «Un recueil cathare: le manuscrit A.6.10 de la “Collection vaudoise” de Dublin», Revue belge de philologie et d’histoire, 38, 1960, pp. 815-834, a p. 828). Maria Picchio Simonelli, Lirica moralistica nell’Occitania del XII secolo: Bernart de Venzac, Modena 1974, p. 158 ritiene che Peire si sia ispirato al testo del trattato e sospetta una sua adesione al catarismo, mentre Vatteroni, “Falsa clercia”, pp. 111-128 nega il legame tra i due testi e dimostra l’ortodossia del trovatore sulla base dei riferimenti dottrinali riscontrabili nel suo canzoniere e incompatibili con il credo cataro. Sulla questione si è espresso Francesco Zambon, «Le sirventès contre Rome de Guilhem Figueira», in Troubadours et cathares en Occitanie médiévale. Actes du colloque organisé par Novelum section périgorde de l’Institut d’estudis occitans (Chancelade, 24 et 25 août 2002). Textes recueillis par Richard Bordes; débats enregistrés par Jean-Louis Gasc, Cahors 2004, pp. 87-91, il quale, pur non mettendo in dubbio la fede cattolica di Peire, riconosce un legame tra Li clerc si fan pastor (BdT 335.31) e l’Apologia ma ipotizza che sia stato l’estensore del trattato, probabilmente posteriore, a servirsi delle espressioni contenute nel sirventese.

25-36. Le accuse al clero sono costruite su un elenco che presenta l’antitesi tra i molti difetti e le poche o nulle buone qualità. Un simile procedimento ricorre anche nel testo Qui volra sirventes auzir (BdT 335.47), vv. 34-39: «c’aissi com plus aut son prelat / an menz de fe e de feutat / e mais d’engan e de mentir; / e menz en pot hom de ben dir, / car mais i a de falsetat / e menz de ben e de vertat».

37-48. Come nel sirventese Ab votz d’angel, lengu’esperta, no bleza (BdT 335.1), Peire indugia sul comportamento ingordo del clero che mostra di non avere alcuna misura a tavola e rifiuta sostegno ai poveri.

50. alcaicx ni almassor. I due arabismi fanno riferimento rispettivamente ai capitani e ai principi musulmani. Sull’etimologia dei due termini si veda Giovan Battista Pellegrini, Gli arabismi nelle lingue neolatine con speciale riguardo all’Italia, 2 voll., Brescia 1972, vol. I, p. 63 e p. 419, e la nota in Vatteroni, Il trovatore, vol. I, p. 480.

51-56. La critica alla noncuranza della situazione in Terrasanta di fronte al desiderio di ottenere potere in Occidente è presente anche, con riferimento alla crociata antialbigese, nel sirventese di Tomier e Palaizi De chantar farai (BdT 442.1), vv. 49-54.

57-58. Il riferimento a Federico e al tentativo di scacciarlo dal suo rifugio può essere ricondotto sia all’invasione da parte delle truppe papali del regno di Sicilia avvenuta nell’estate del 1229, sia alla sentenza di deposizione formulata da Innocenzo IV a Lione nel luglio 1245, con la quale il pontefice intendeva strappare a Federico il controllo dell’impero.

59-60. Versi di difficile interpretazione. Il trovatore allude a un personaggio che ha sfidato Federico ma non ha potuto trarre vantaggio dalla sua impresa. Se il sirventese risale al periodo tra il 1229 e il 1230, potrebbe trattarsi sia di papa Gregorio IX, che aveva scomunicato Federico e promosso l’invasione dei territori del regno di Sicilia, sia di Giovanni di Brienne, che guidò in prima persona la spedizione militare nel sud Italia. Se invece il componimento risale al 1245 e al periodo posteriore al concilio di Lione che depose l’imperatore, il personaggio a cui si allude potrebbe essere papa Innocenzo IV. In questo caso, però, non sono facilmente riconoscibili le circostanze per le quali il papa non si poté rallegrare della sua decisione.

[fsa]


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Circostanze storiche