Premessa

Peire Milo, D’amor a hom pietat gran (BdT 349.3 En amor trop pietat gran)

 

 

 

 

Cobla serbata adespota in P, dove è il n. 111 del florilegio di esparsas e triadas, ma attribuita a Peire Milo in N, dove è l’ottavo e ultimo dei poemi assegnati in rubrica a questo trovatore e (diversamente da quanto supposto in passato) fa parte a principio della sezione a lui dedicata [1]. Non c’è dunque ragione di dubitare che essa sia arrivata a N come opera di Peire Milo, né valgono, contro questa attribuzione, l’anonimato riservatole in P (è destino comune a gran parte delle coblas raccolte nei florilegi), o la constatazione che essa sola non figura nel canzoniere più ricco di testi sicuramente miloniani (a), e al contrario di questi ultimi non presenta devianze fonetiche o morfologiche: la sua stessa brevità la salvaguardava da simili accidenti, e comunque la sua tessitura sintattica, piuttosto sciatta, è compatibile col resto della produzione del trovatore.

Solo la redazione di N – 10 versi – ha goduto di edizioni interpretative, procurate da Raynouard (1820), Mahn (1886) e Appel (1896) [2]; quella di P – 12 versi – è stata stampata unicamente nell’edizione diplomatica del canzoniere (Stengel 1872), e quindi non è neppur censita in Frank, benché sia proprio un dato metrico a destare il sospetto che i due versi in più, teoricamente accettabili dal punto di vista del senso come della dimensione del componimento [3], vi siano stati interpolati per meglio esplicitare il gioco verbale su cui regge l’intera cobla. Questa è infatti un epigramma paretimologico, esattamente come la cobla anonima che, non per caso, la precede immediatamente nel florilegio di P, e cioè Dompna, s’ieu vos clamei amia (BdT 461.97, edita in Rialto da Claudio Franchi), dove il nome amia è indicato come la somma di a, interiezione di sconforto, e di mia, possessivo alludente al legame cortese tra l’io lirico e l’amata (così secondo Franchi; ma si potrebbe anche intendere mi a ‘mi ha’, che alluderebbe invece al potere che l’amata esercita sull’io lirico). Nel nostro caso la falsa scomposizione riguarda amor, che se pronunciato ‘sospirando’ (= in due emissioni di fiato) si rivela formato anch’esso dall’interiezione a, ma poi dalla voce verbale mor ‘muoio’: chi ama davvero ‘muore piangendo’ ogni giorno, come accade all’io lirico.

Un’altra esecuzione di questa interpretatio nominis si trova nella lirica duecentesca italiana, e bisognerà verificare se essa e quella miloniana siano solo relitti casuali e irrelati d’una tradizione più larga e ben consolidata, o se vi sia stato qualche rapporto tra le due. In ogni caso, il confronto col dettato italiano consiglia di attenersi, nell’edizione della cobla, alla redazione più lunga e più argomentativa di P, pur adottando in più punti le forme, meno trasandate, di quella di N [4].