1-2. Già in esordio i due testimoni divergono notevolmente: N legge In amor trob pietat gran El diç un pauc sospiran, P DAmors abon pietat gran Sel diz un pao sospiran, e benché Appel, che conosceva solo N, ne abbia accettato la lezione, limitandosi a integrarvi en nel v. 2 – ipometro in entrambi i relatori – v’è qualche ragione per preferire la lezione ricavabile da P. Se difatti si accoglie l’incipit di N, che pare sensato e anzi canonico (visti per es. quello di Aimeric de Peguillan, BdT 10.25, En Amor trob alques en qe.m refraing, e la formula D’omes trobi… che apre cinque coblas di Bertran Carbonel, BdT 82.41, 42, 43, 44, 45, tutte presenti nel florilegio di P), bisogna anzitutto ammettere, come ha fatto implicitamente Appel, che N diç / P diz del v. 2 sia un barbarismo d’autore per la prima sing. dic, poi incorporare nello stesso verso, oltre a en, la s con cui inizia in P (se·l diç un pauc en sospiran), perché il distico assuma il significato ‘in amore trovo grande pena, se lo dico sospirando un po’’, coerente col resto della cobla (che mostra appunto come una dizione ‘sospirata’ = sillabata di amor produca l’esclamazione angosciata a, mor). L’incipit di P risulta invece insensato, ma è possibile supporre che DAmors abon (dove il copista sicuramente intendeva scrivere amors – forma incongrua rispetto alla paretimologia a, mor e però figée in molti luoghi della tradizione – dacché vi ha posto la s ‘bassa’ che usava regolarmente in fine di parola) vi discenda da una cattiva lettura di Damor a hō: ammettendo che questa fosse la lezione originale, si potrebbe non solo riferire il verbo del v. 2 alla terza persona, e conferire al distico il significato più generalizzante (e quindi più confacente a una cobla epigrammatica) ‘da Amore si trae grande pena, se lo si dice sospirando un po’’, ma anche spiegare meglio la diffrazione che sembra aver colpito i due manoscritti. Non si vede in effetti come un incipit quale In amor trob pietat gran potesse creare difficoltà, mentre è pensabile che un copista, trovandosi di fronte a una lezione incongrua come D’amor abon pietat gran, la sostituisse appunto con quell’incipit canonico.

3-4. I due versi, che invitano il pubblico (e podezvolez…) a verificare l’affermazione esordiale eseguendo lo spelling di amor, figurano solo in P, dove potrebbero anche rappresentare una interpolazione, poiché non sono indispensabili per la comprensione del gioco verbale e determinano uno schema metrico (aabbccaaddaa) meno simmetrico di quello di N, tutto giocato sull’alternarsi della coppia rimica aa con due coppie d’altro timbro (aabbaaccaa). Due elementi vanno però a favore della loro inclusione nel testo critico: la comparsa al v. 9, in entrambi i latori, di un altro invito alla seconda persona plurale (aiostas), e il confronto col testo parallelo italiano, che ha un piglio fortemente dimostrativo.

5. Apel’om di N, ineccepibile per il senso e la misura (mentre diz hom di P causa ipometria), è stato mutato in apellon da tutti gli editori della redazione di N.

6. nota: il verbo qui nel senso di ‘indicare’ anziché in quello corrente di ‘mettere in musica, cantare’.

8. Entrambi i manoscritti indicano le ultime tre lettere di amor in forma abbreviata (N m . o . r . et en contan, P m . o . r . contan), sicché apparentemente il verso manca di una sillaba in N, di tre in P. Appel nella sua edizione di N riproduce tal quale la lezione del codice, osservando in nota: «Il manque une syllabe. On peut ajouter son au commencement du vers. Ou faut-il compter deux syllabes pour le nom d’une des lettres: emme ou erre?»; ma o si integra appunto son, o et non è giustificato dal senso, né d’altronde si vede perché sarebbe stata prevista la pronuncia bisillabica per una sola delle lettere m e n. Leggendo invece emme o erre en contan, con dialefe tra erre ed en, si raggiunge la giusta misura; si veda il v. 39 dell’‘alfabeto d’amore’ di Cadenet, BdT 106.7, per cui Zemp adotta la lezione di CDFIKMPRSUVeAga1f, a. m. t., quar aitan (da sciogliere in a, emme, te, quar aitan per ottenere le prescritte sette sillabe), scartando ABT a. m. e t., quar aitan perché «il est peu probable que les deux tiers des mss. se soient trompés de la métrique. Dans une formule comme a. m. t. la copule e a dû être sous-entendue» (Josef Zemp, Les poésies du troubadour Cadenet. Édition critique avec introduction, traduction, notes et glossaire, Bern - Frankfurt a. M. - Las Vegas 1978, pp. 187 e 193).

10. Indubbiamente preferibile la lezione di N, Donc qui ben ama plangen mor, che sintetizza la paretimologia amor = a! mor, a quella di P, Car qi ben ama plang e plor, che infrange lo schema a coppie baciate (plór non può rimare con 9 mòr, e il resto della produzione miloniana, per quanto ‘sgrammaticato’, non presenta errori di timbro paragonabili). Forse il copista (o la fonte) di P voleva evitare la rima, apparentemente identica, 9 mor (‘muoio’) : 10 mor (‘muore’).

11. Sebbene N rechi ben chiaro mor eo plagen, Raynouard e Mahn hanno stampato moren plagen, da cui Appel, pur senza aver visto il manoscritto, ha poi ricostruito mor eu plangen (commentando in nota: «Il est évident qu’il faut corriger comme je l’ai fait»).

12. Come i precedenti editori di N, Appel ne ha mantenuto la lezione ipermetra, si pens façan li autre fins aman, operandovi solo qualche ritocco formale (fassan, fin); per questo Frank 137:1 si chiede «vers 10: 10 syll.?». Tuttavia fins, tra l’altro indebitamente sigmatico, può essere stato sbadatamente inserito sulla scia delle tante occorrenze di fin aman in fine di verso (30 nella COM1). – N pens e P cuig appaiono adiafori; dopo entrambi comunque si hanno, nella completiva, l’omissione di que (per altro diffusa), e l’uso del congiuntivo, teoricamente riservato, in dipendenza da verbi d’opinione, a giudizi affatto soggettivi o a credenze ritenute false, ma talora usato anche per convinzioni forti (così per es., dopo cuiar e pensar, in Flamenca vv. 1003 e 1912, cfr. Friede Jensen, Syntaxe de l’ancien occitan, Tübingen 1994, § 595). – faisan di P, con -is- per -cj-, rientra nell’ampia casistica delle grafie per l’affricata e la fricativa dentale proprie di tale manoscritto.