Rialto    IdT

355.4

 

   

Peire Raimon de Tolosa

 

 

 

 

   

I.

   

Era pos l’ivernz fraing los broz

   

e pareisson florit li ram

   

e·l gibres e·l neus son a flocs

4  

pels tertres e pels plans a renx,

   

be·s taing doncs que m’alonc d’enueg

   

cantan, e no·m paresc ges pex,

   

sitot s’es braus et enoios lo temps,

8  

pos de tals ditz sai far canzos ni vers.

   

 

   

II.

   

Ben sai parejar e far motz

   

plas e cars: douz semblen estam

   

mas qu’era no n’es temps ni locs;

12  

c’us tersols malazautz ramenx

   

(be sai que son de bon’art vueg)

   

ve[i] trics c’an afilatz los becs;

   

e·il pro cortes adreg fan plors e gems

16  

car Pretz es morz e casuz et envers.

   

 

   

III.

   

Jurar vos puesc per Santa Croz:

   

eu non vei que pretz entier am

   

que d’avareza·ls art lo focs

20  

e tut lur fag son de fadenx;

   

e mas hom pert lo gran e·l glueg,

   

donc per que·s fai quex sorz ni secs

   

per malastre que los ten vuetz e sems

24  

de totz bons aibs don estan rars e ters?

   

 

   

IV.

   

A! Malvestatz, non prendas toz

   

los rics barons en ton liam

   

ni·l Mal’espina ges non tocs

28  

per ren, c’anz es ben miels que·t trenx,

   

c’a totz jorns vueill que lur bes pueg

   

e doncs, Valors, ja no·ls abnex

   

quez ieu aug dir que tut bon fait ensems

32  

renhon ab lur, per qu’er bes si·ls sofers.

   

 

   

V.

   

D’aver la bella soi tan gloz

   

cui pensan dezir, don ai fam,

   

que no·m plaz tant nulz autres jocs;

36  

ni vuoil aver Fois ni Berenx,

   

si·l plaz que no·m met’en refueg,

   

tant com lei; e si mos fis precs

   

no·m val, mal fas, Amor, car aissi·m prems,

40  

que fis amanz adreiz soi toz convers.

   

 

   

VI.

   

E pos tan fort m’as ni·m consecs,

   

be·m deurias far un ben calque temps

   

entre .C. mals que del dan tu·m malmers.

 

 

Traduzione [gb]

I. Ora che l’inverno spezza i germogli e i rami paiono candidi come fiori e le brine e le nevi si stendono a fiocchi per le colline e le pianure in file, è ben appropriato allora che mi allontani dalle preoccupazioni grazie al canto, e non sembri uno sciocco a me stesso, sebbene il tempo sia cattivo e spiacevole, perché con parole congrue so fare canzoni e versi.
II. So ben accoppiare e fare parole piane e preziose: sembrano un dolce stame, a parte il fatto che ora non è né tempo né luogo per esse; perché vedo dei terzuoli maldestri e inesperti (so bene che sono privi di ogni buona capacità) come ingannatori che hanno affilato il becco; e gli uomini cortesi valorosi e giusti fanno pianti e gemiti, perché il pregio è morto, caduto e capovolto.
III. Vi posso giurare sulla Santa Croce: non vedo chi ami un pregio integro, perché li brucia il fuoco dell’avarizia e tutte le loro azioni sono quelle degli stupidi; e dato che uno perde il grano e la paglia, allora perché ognuno si finge sordo e cieco per la sventura che li tiene svuotati e privati di ogni buona qualità, che hanno raramente e di cui sono denudati?
IV. Ah! Viltà, non prendere tutti i nobili potenti nel tuo laccio e non toccare in nessun modo la Mala-spina, anzi è ben meglio che ti laceri, perché voglio che per sempre il loro bene cresca e dunque, Valore, non li rinnegare mai, perché io sento dire che tutte le azioni eccellenti messe assieme vivono in loro, per questo sarà buono se li sostieni.
V. Sono tanto ghiotto di avere la bella, che desidero nel pensiero e di cui ho fame, che non mi piace nessun altro gioco [d’amore]; e non voglio avere Foix né Brens tanto quanto voglio lei, se le piace non darmi un rifiuto; e se la mia preghiera perfetta non mi aiuta, Amore, tu agisci male perché mi opprimi in questo modo, dato che sono un amante perfetto, corretto e completamente devoto.
VI. E poiché mi possiedi e mi colpisci con forza, tra cento mali mi dovresti davvero fare un bene ogni tanto perché tu sei colpevole del mio danno.

 

 

 

Testo: Caïti-Russo 2005, con modifiche di gb anche relative alla punteggiatura. – Rialto 25.ix.2018.


Mss.: C 242v, Da 173v, I 86v-87r, K 70v.

Edizioni critiche: Adolf Kolsen, Dichtungen der Trobadors auf Grund altprovenzalischer Handschriften, teils zum ersten Male kritisch herausgegeben, teils berichtigt und ergänzt, 3 voll., Halle 1916-1919, vol. II, p. 133; Alfredo Cavaliere, Le poesie di Peire Raimon de Tolosa, Firenze 1935, p. 11; Gilda Caïti-Russo, Les troubadours et la cour des Malaspina, Montpellier 2005, p. 218.

Altre edizioni: François Just Marie Raynouard, Choix des poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1816-1821, vol. III, p. 122; Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-1886, vol. I, p. 144; Joseph Anglade, «III. Quatre poésies de Peire Raimon de Tolosa», Bulletin de la Société Archéologique du Midi de la France, 44-45, 1915-1917, pp. 225-236, a p. 226 (testo Mahn con modifiche); Joseph Anglade, «Poésies du troubadour Peire Raimon de Toulouse», Annales du Midi, 31-32, 1919-1920, pp. 157-189 e 257-304, a p. 175 (testo Anglade).

Metrica: a8 b8 c8 d8 e8 f8 g10 h10 (Frank 879:8). Componimento di cinque coblas unissonans di otto versi e una tornada di tre versi (ultimi tre della strofa). Rime: -ótz, -am, -òcs, -encs, -uèg, -ècs, -ems, -èrs. Le rime sono tutte irrelate all’interno della strofa. Il testo è considerato un sirventese da BdT e BEdT, ma un «sirventes-chanson» da Frank. In effetti, al v. 8 l’autore sembra indicarlo come canzon o vers. Dato che comunque la formula metrica è un unicum (sotto Frank 879 ve ne sono altre simili ma non identiche) e al genere del sirventese rimanderebbe solo il contenuto encomiastico o moraleggiante (ma la strofa V è amorosa), considerata infine la complessa elaborazione formale, non vedo valide ragioni per pensare che non sia una canzone che aveva melodia originale.

Ed. Caïti-Russo: 12-14 e·us, tersols malazautz ramenx, / be faiz que son de bon art vueg / de trics c’an afilatz los becs, 23 vueg, 27 tu·l.

Note: La datazione del testo, che si rivolge a tutta la famiglia Malaspina, non è precisabile. Peire Raimon de Tolosa è attivo in Italia settentrionale nei primi decenni del XIII secolo. Si vedano le Circostanze storiche.

1. L’esordio invernale usa uno strumento stilistico tipico della poesia trobadorica: è l’opposizione tra inverno e canto, in quanto la rigidità e la noia dell’inverno vengono rotte grazie al canto del poeta. Altrettanto consueto è l’uso di rime aspre e difficili per descrivere l’inverno (si noti che le rime sono tutte irrelate nella strofa). Poiché le coblas sono unissonans, il carattere aspro delle rime ritorna anche nelle strofe seguenti ed è specchio della decadenza dei valori cortesi che il trovatore stigmatizza.

4. Dato che le lezioni dei codici oppongono C a DaIK, è impossibile determinare se qui la lezione corretta sia playssadencx di C o plans a renx di Da (riflesso in plans ateues di IK). Anglade e Cavaliere scelgono la lezione di C mentre Caïti-Russo, che segue in genere le lezioni dell’altro gruppo, preferisce quella di Da sulla scorta di un luogo parallelo di Arnaut Daniel, L’aur’amara (BdT 29.13).

10. Le lezioni trasmesse dai testimoni non sono soddisfacenti: C plas e clars dun semblan en ram; D plas e cars douz sembles etam; IK plas e cars douz sembles etam. Kolsen, seguendo C, emendava dubbiosamente: «plas e clars d’un semblan d’eram» (eram = cuoio), mentre Anglade proponeva: «plas e clars d’un semblan d’estam» (estam = stame, filo). Con lezioni miste Cavaliere emendava: «plas e clars, douz sem[p]les, [de] ram», traducendo «facili e chiare, soavi, semplice, simili al canto degli uccelli», ma tale scelta è stata rigettata da Jeanroy nella sua recensione (Romania, 63, 1937, pp. 111-114). Qui a testo si trova la congettura di Caïti-Russo, per quanto la giustificazione dell’emendamento sia forse eccessivamente complessa e poco verosimile.

12-14. I versi sono problematici. È qui però impossibile seguire Caïti-Russo che accetta la lezione e·us di CIK all’inizio del v. 12 e be faiz (2a plur.) all’inizio del v. 13 intendendo «et vous ... faites bien», perché in tale caso il pronome al v. 12 non può essere clitico, ma deve essere tonico; né del resto le lezioni uenicx di C e uetrics di DaIK all’inizio del v. 14 permettono di giustificare l’emendamento «de trics» adottato da Anglade ed esemplato da Caïti-Russo (ma già respinto come «correction fâcheuse» da Alfred Jeanroy (recensione di Anglade, «III. Quatre poésies», apparsa negli Annales du Midi, 31-32, 1919-1920, pp. 216-220, a p. 219). Meglio dunque adottare al v. 12 «c’us» (lezione di Da) come in Kolsen e Cavaliere (con us plurale indefinito di un); anche «e·ls» per eus di Anglade è ugualmente valido, e giustificherebbe la forma di CIK. Al v. 13 benfartz di IK e befaiz di Da mi paiono semanticamente inaccettabili in questo contesto: Kolsen, che adotta la lezione «be fatz», traduce «stattlich», ‘di bella presenza’, che, tuttavia, cozza eccessivamente con il verso precedente (Giulio Bertoni, «Intorno a una strofa di Peire Raimon de Toloza in onore dei Malaspina», Archivum Romanicum, 1, 1917, pp. 517-518, a p. 517 ne diceva: «mi sveglia molta inquietudine»; cfr. Jeanroy, recensione di Anglade, «III. Quatre poésies», p. 219). Per questo bisogna forzatamente accettare la lezione be sai di C che introduce un inciso. Infine al v. 14 da uetrics a «ve[i] trics» di Kolsen e Cavaliere, il passo è breve. La lezione a testo è quella di Cavaliere. Bisogna aggiungere, a correzione di Anglade e di Caïti-Russo, che dedica a ciò anche una nota, che bon’art necessita di apostrofo (come in Kolsen), essendo art femminile. I terzuoli, che sono i maschi dei falconi, più piccoli delle femmine, sono già sgraziati, ma ora divengono anche ingannatori: l’espressione non riesce delle più chiare, a meno che non si supponga che con terzuolo il trovatore indichi una specie di falco meno apprezzata.

19. L’avarizia, il non saper donare, l’essere attaccati ai propri beni è uno dei tipici difetti che i trovatori rimproverano ai cattivi signori. Più avanti si trovano Malvestatz (v. 25) ‘malvagità’ probabilmente nel senso di ‘viltà’ (altro difetto tipico degli uomini non cortesi) e, in positivo, Valors (v. 30), che si addice alla cortesia.

21. ‘Perdere il grano e la paglia’ è espressione che allude a una trebbiatura non riuscita, nella quale oltre ad eliminare la paglia (la crusca) si perde anche il grano. Significa quindi ‘perdere tutto’, come esplicitato da Kolsen e Cavaliere (non compreso da Caïti-Russo, che traduce: «l’on perd le grain et la botte de paille»).

27. La lezione tu·l, con cui il verso inizia nell’edizione di Caïti-Russo e che proverrebbe da Da, deriva da un errore di lettura del ms., che reca chiaramente Nil come in IK (Ni in C). Accettando l’articolo, è necessario scrivere Mal’espina: si tratta di un gioco sul nome di famiglia. Cfr. Circostanze storiche.

33-40. La strofa V passa risolutamente a una tematica amorosa. In effetti la canzone non sembra del tutto unitaria, perché comincia con una strofa stagionale, per poi passare alla deprecazione della perdita dei valori cortesi, per terminare quindi con l’amore per la dama.

36. Fois ni Berenx: la città di Foix si trova a sud di Tolosa, quella di Brens (Berenx) a nord, pertanto i due luoghi vogliono delimitare il Tolosano, la regione natale di Peire Raimon, il quale, con un tipico rinvio autobiografico extrafinzionale, dice di preferire l’amore della donna al ritorno in patria. Il commento di Kolsen non coglie il senso dell’indicazione di Peire Raimon de Tolosa: questi, infatti, scrive: «Der Dichter lebte in der Grafschaft Foix» e, dopo aver individuato con lo Chabaneau la città di Berenx in Brens, aggiunge: «Berencs (mit s) “Orte wie B.” oder des Reimes wegen» (avendosi però la s anche nel francese Brens si tratterà di terminazione originaria). Non vi è quindi la necessità di rinviare a Kolsen, come avviene in Caïti-Russo e Cavaliere, che afferma che «tali comparazioni» sono «assai frequenti presso i trovatori».

[gb]


BdT    Peire Raimon de Tolosa    IdT

Circostanze storiche