Rialto     IdT

364.39

 

   

Peire Vidal

 

 

 

 

   

I.

   

Quant hom es en autrui poder

   

non pot totz sos talens complir,

   

ans l’ave soven a gequir,

4  

per l’autrui grat, lo sieu voler.

   

Doncs, pos em poder mi sui mes

   

d’Amor, segrai los mals e·ls bes

   

e·ls tortz e·ls dreitz e·ls dans e·ls pros,

8  

qu’aissi m’o comanda razos.

   

 

   

II.

   

Car qui vol al segle plazer

   

mantas vetz l’aven a sufrir

   

so que·lh desplatz ab gen cubrir,

12  

ab semblansa de nonchaler;

   

e pueis, quant ve que sos luecs es,

   

contra sel que l’aura mespres

   

no sia flacs ni nualhos,

16  

qu’en gran dreg notz pauc d’uchaizos.

   

 

   

III.

   

Tant ai de sen e de saber

   

que de tot sai mo mielhs chauzir

   

e sai conoisser e grazir

20  

qui·m sap honrar ni car tener.

   

E tenc m’a l’us dels genoes,

   

qu’am bel semblan, gai e cortes

   

son a lor amics amoros

24  

et als enemics orgulhos.

   

 

   

IV.

   

Pretz e Joven vuelh mantener

   

e bonas donas obezir

   

et a corteza gen servir

28  

e non ai gran cura d’aver.

   

E pero, s’ieu poder agues,

   

non es coms ni ducs ni marques

   

a cui meilhs plagues messios

32  

ni meins se pac d’avols baros.

   

 

   

V.

   

Cel qui pot e no vol valer,

   

com no s’esforsa de murir,

   

Dieu, quar la mortz no·l denh’aucir

36  

per far enueg e desplaser?

   

Et es trop lag, d’onrat pages

   

quan recuelh las rendas e·ls ces:

   

cor poirit ab cors vermenos

40  

viu ses grat de Dieu e de nos!

   

 

   

VI.

   

Bona dona, Dieu cug vezer

   

quan lo vostre gen cors remir.

   

E, quar tan vos am e·us dezir,

44  

grans bes m’en deuri’eschazer,

   

qu’aissi m’a vostr’amors conques

   

e vencut e lassat e pres

   

qu’ap tot lo segle, que mieus fos,

48  

mi tenri’eu paubres ses vos.

   

 

   

VII.

   

Dona, quan vos vi remaner

   

e m’avenc de vos a partir,

   

tan m’angoisseron li sospir

52  

qu’a pauc no m’avenc a cazer.

   

Ai, bella dona, franca res!

   

Valha·m ab vos Deus e Merces!

   

Retenetz mi e mas chansos,

56  

sitot pez’al cortes gilos.

   

 

   

VIII.

   

Dona, per vos am Narbones

   

e Molinatz e Savartes,

   

Castella e·l bon rei N’Amfos,

60  

de cui sui cavaliers per vos.

   

 

   

IX.

   

Hondraz reis e francs e cortes,

   

d’En Durfort vos prec, e no·us pes

   

q’entre·ls vostres ondraz baros

64  

lo retenguaz, qar es razos.

   

 

   

X.

   

Emperaire dels genoes

   

remanh et ai tal feu conques

   

qu’es avinens e bels e bos,

68  

e sui amics dels borbonos.

 

 

Traduzione [ab]

I. Quando un uomo è in potere di altri non può soddisfare tutti i suoi desideri, anzi gli capita spesso di [dover] rinunciare, a causa della volontà altrui, alla propria. Dunque, poiché mi sono messo in potere di Amore, sopporterò i mali e i beni e i torti e i diritti e i danni e i vantaggi, perché così mi comanda la ragione.

II. Perché chi vuole piacere al mondo molte volte deve sopportare ciò che gli spiace con gentile dissimulazione, facendo finta di essere indifferente; e poi, quando vede che è la sua occasione, non sia fiacco né debole contro colui che gli avrà fatto del male, perché a una grande causa nuoce una piccola accusa.

III. Ho tanto senno e sapere che, fra tutto, so scegliere il mio meglio e so riconoscere e gradire chi mi sa onorare e tener caro. E mi attengo all’uso dei genovesi che, con bella apparenza, sono felici e cortesi e amabili coi loro amici e fieri con i nemici.

IV. Voglio mantenere Pregio e Giovinezza, obbedire alle gentildonne e servire gente cortese e non mi interessa molto della ricchezza. E tuttavia, se ne avessi la possibilità [scil. di arricchirmi], non ci sarebbe [al mondo] conte né duca né marchese cui piacerebbe di più la liberalità e che sarebbe meno favorevole ai vili baroni.

V. Quello che può e [tuttavia] non vuole emergere grazie al proprio valore, dal momento che non si sforza di morire, Dio, perché la morte non si degna di ucciderlo per recar[gli] fastidio e dispiacere? È davvero disdicevole quando raccoglie interessi e rendite da un contadino onorato: un cuore fradicio in un corpo pieno di vermi vive ingrato a Dio e a noi!

VI. Gentildonna, credo di vedere Dio quando ammiro la vostra graziosa persona. E, poiché tanto vi amo e vi desidero, gran bene me ne dovrebbe venire, perché il vostro amore mi ha così conquistato e vinto e legato e preso che, se fosse mio tutto il mondo, mi riterrei povero senza di voi.

VII. Donna, quando vi vidi rimanere e mi dovetti allontanare da voi, tanto mi angosciarono i sospiri che per poco non venni meno. Ahi, bella donna, nobile cosa! Mi aiutino presso di voi Dio e Misericordia! Conservate il ricordo di me e delle mie canzoni, anche se [ciò] dispiace al geloso di corte.

VIII. Donna, per voi amo il Narbonese, Molina e il Savartese, Castiglia e il buon re Alfonso, di cui sono cavaliere per voi.

IX. Onorato re, franco e cortese, di don Durfort vi prego, e non vi pesi che lo riteniate fra i vostri onorevoli baroni, perché è giusto.

X. Rimango imperatore dei genovesi e ho conquistato un tal feudo che è conveniente, bello e buono, e sono amico dei fanfaroni.

 

 

 

Testo: Avalle 1960, con modifiche di ab limitate all’uso della punteggiatura e delle maiuscole. – Rialto 22.xii.2016.


Mss.: A 99v, B 63r, C 30v, D 22v, Dc 249r (I e II cobla), E 24, F 18r (I, II, V e VI cobla), G 42r, H 6v, I 42v, J 3v, K 30r, Kp 108v (I e II cobla), L 15v, M 57r, Mh2 16, N 87r, N2 21r (incipit 9), O 45 (adespota), P 20v, Q 69v, R 63v, S 2v, T 248v, U 101v, VeAg 39r (IV, VI e VII cobla, adespote), W 204v (I cobla, adespota), c 63r, e 21, f 24r, α 29992, 33159, 33176, 33206, 33550 (I, II, III, V e VI cobla); μ 360 (vv. 17-19). Era nel canzoniere di Bernart Amoros (cb, incipit 31). I primi quattro versi di ogni cobla costituiscono gli ultimi quattro di ciascuna strofe di Mout fai sobreira folia di Bartolomeo Zorzi (BdT 74.9).

Edizioni critiche: Karl Bartsch, Peire Vidal’s Lieder, Berlin 1857, p. 45; Joseph Anglade, Les poésies de Peire Vidal, Paris 19232, p. 122; Peire Vidal, Poesie. Edizione critica e commento a cura di d’Arco Silvio Avalle, 2 voll., Milano-Napoli 1960, vol. II, p. 406.

Altra edizione: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. I, p. 121 (testo Bartsch e Anglade).

Metrica: a8 b8 b8 a8 c8 c8 d8 d8 (Frank 577:218). Sette coblas unissonans di otto versi e tre tornadas di quattro. Rime: -er, -ir, -es, -os.

Note: Canzone composta a Malta all’inizio del soggiorno di Peire Vidal sull’isola, in un periodo che sembra precedere le vittorie dei genovesi sui pisani ottenute a Siracusa tra l’agosto del 1204 e il dicembre del 1205: si vedano le Circostanze storiche.

1-8. La prima cobla introduce il tema della tirannia di Amore con un ragionamento serrato: la premessa generale dei primi due versi, esplicitata in modo dettagliato dal distico successivo, è seguita nella seconda metà della strofe dalle sue ricadute sulla condizione del trovatore. Esse sono esemplificate da tre coppie antitetiche, basate sulla contrapposizione tra aspetti positivi e negativi.

9-12. Tornando alla premessa generale e al tono sentenzioso che la contraddistingue, Peire si sofferma sulla necessità di celare con l’indifferenza il dispiacere provocato dalla sottomissione.

13-16. Il bisogno di punire l’oppressore in modo adeguato non appena si presenta l’occasione per farlo è espresso con un nuovo parallelismo (gran dreg-pauc d’ochaizos), richiamando l’immagine del tribunale d’amore.

21-24. L’esaltazione della propria avvedutezza e del proprio discernimento conduce il poeta a rendere omaggio ai suoi protettori: egli afferma di rifarsi al comportamento dei genovesi, amati dagli amici e, nello stesso tempo, con un nuovo parallelismo posto in chiusura di cobla, feroci con i nemici.

25-28. Sempre in prima persona, l’autocelebrazione del trovatore prosegue soffermandosi, con un altro parallelismo fondato sullo schema complemento oggetto + verbo, sulla preservazione di alcuni valori personificati, sull’obbedienza dovuta alle gentildonne, sul desiderio di continuare a servire chi è moralmente degno delle sue attenzioni e sul rifiuto dei beni terreni. Il tema amoroso si unisce così a quello morale, circostanza che ha indotto in passato a definire il testo una canzone-sirventese.

29-32. Approfondendo l’elogio delle sue doti spirituali, Peire esalta la propria purezza d’animo, che non potrebbe essere intaccata neppure dall’arricchimento: anche in questo caso egli sarebbe superiore a qualsiasi nobile sulla Terra.

33-38. La punteggiatura dei primi quattro versi è stata più volte modificata dagli editori (cfr. Peire Vidal, Poesie, vol. II, nota al v. 34, p. 408). Ogni soluzione proposta in passato intende il passo come una domanda rivolta direttamente a Dio, cui viene chiesto come possa accettare l’esistenza di chi non sfrutta il proprio valore e lo annichilisce, al contrario, con la ricerca esasperata della ricchezza (come esplicitato dal distico successivo, da collegare al v. 28).

39-40. L’immagine conclusiva della cobla rappresenta con grande realismo il disprezzo del trovatore per queste persone, identificate con alcuni nobili, con ogni probabilità gli avols baros del v. 31.

41-44. Con il collegamento tipico delle coblas capfinidas, dato dall’occorrenza di Dieu ai vv. 40 e 41, Peire torna a lodare l’amata, concentrandosi sulla gioia suscitata dal sentimento per lei e richiamando il rifiuto delle ricchezze terrene del v. 28.

45-48. L’amore per la donna è dichiarato imprescindibile per la vita del poeta che, con l’iterazione sinonimica dei vv. 45-46, mette nuovamente in risalto la sua sottomissione.

49-56. L’allocuzione rivolta direttamente alla donna evidenzia la distanza che la separa dal poeta, affranto al punto di chiedere l’intervento di Dio e di Misericordia per sperare che il suo ricordo possa vivere in lei. Legandosi al tema della dissimulazione della seconda cobla, il riferimento al gilos del v. 56 rende manifesto il carattere cortese del testo, palesato ancor di più dai successivi tre congedi.

57-60. La prima tornada suggerisce che l’amata, appena lasciata dal trovatore, fosse originaria della penisola iberica: essa è rivolta direttamente ad Alfonso VIII di Castiglia.

61-64. La seconda tornada invia il testo a Pietro II d’Aragona, come lascia intendere la raccomandazione di En Durfort, barone del suo regno da identificare con il trovatore Guilhem de Durfort: cfr. Peire Vidal, Poesie, vol. II, nota al v. 62, pp. 410-412 e Saverio Guida - Gerardo Larghi, Dizionario biografico dei trovatori, Modena 2013, pp. 252-253.

65-68. Unendosi ai vv. 21-24, l’ultimo congedo chiama nuovamente in causa i genovesi, presso i quali il trovatore doveva trovarsi al momento della composizione del testo. Riferendosi presumibilmente alla loro lingua, l’utilizzo dell’aggettivo borbonos (‘ingannatori’ o ‘persone che parlano in modo confuso’) mette la canzone in rapporto con Bon’ aventura do Deus als Pizas (BdT 364.14): composta presso la corte del Monferrato dopo la vittoria del 1194 ottenuta a Messina da Pisa su Genova, la lirica al v. 7 attacca i cittadini della Compagna per la loro superbia proprio con lo stesso aggettivo; è dunque facile ipotizzare che, con Quant hom, il trovatore, arrivato da poco a Malta alla corte di Enrico Pescatore, abbia ritrattato scherzosamente gli insulti lanciati circa dieci anni prima (cfr. da ultimo Marco Grimaldi, «Peire Vidal, Bon’aventura don Dieus als Pizas (BdT 364.14)», Lecturae tropatorum, 6, 2013, 22 pp., con rinvio per il significato del termine a Peire Vidal, Poesie, vol. II, nota al v. 7, pp. 171-172. Si aggiunga De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche, vol. I, nota al v. 64, p. 123).

[ab]


BdT    Peire Vidal     IdT

Circostanze storiche