Rialto    IdT

 

Peire Vidal: Neus ni gels ni ploja ni faing (BdT 364.30),

Pos ubert ai mon ric tezaur (BdT 364.38),

Quant hom es en autrui poder (BdT 364.39)


 

Circostanze storiche

 

 

 

Gli ultimi tre testi del canzoniere di Peire Vidal databili con relativa precisione rinviano ai primi anni del periodo in cui Malta fu sottoposta al controllo diretto di un nobile genovese, Enrico, indicato in passato, sebbene senza prove inconfutabili, come membro della famiglia dei de Castro. Conte dell’isola a partire dal 1203 e fino alla sua morte, sopraggiunta tra il 1230 e il 1232, egli è spesso indicato nei documenti col soprannome ‘Pescatore’, derivatogli presumibilmente dalle sue azioni piratesche, decisive per l’espansione della sfera d’influenza della Compagna nel Mediterraneo meridionale ed orientale (cfr. Abulafia 1987, Houben 1993, Tosin 2005 e Latella 2016, nota 6 alle pp. 107-108 e pp. 117-118 e 120-122). Tra le scorribande più importanti annoverate dagli storici, per stabilire una cronologia approssimativa delle tre liriche del trovatore se ne ricordano in particolare due, entrambe relative alla conquista di Siracusa da parte di un altro corsaro genovese, Alamanno da Costa: la prima favorì la sua vittoria contro i pisani, permettendogli di proclamarsi conte della città siciliana nell’agosto del 1204; la seconda, nel dicembre del 1205, garantì la stabilità del suo dominio, aiutandolo a respingere l’assedio dei toscani cominciato quattro mesi prima (cfr. Oreste 1960 e Belgrano - Imperiale di Sant’Angelo 1901, pp. 91-92 e 96-98).

I due cittadini genovesi sono celebrati nella conclusione di Neus ni gels ni ploja ni faing (BdT 364.30). Nella loro rilevanza, la consistenza e il contenuto dei due elogi, di una cobla ciascuno e incentrati sul valore morale e militare dei destinatari, offrono la possibilità di considerare l’impresa siciliana non soltanto come il termine post quem della canzone-sirventese (così ad esempio Avalle 1960, vol. II, p. 275), ma addirittura come l’evento che l’ha occasionata. Il sicuro riferimento alla collaborazione tra Alamanno ed Enrico tuttavia non consente di precisare meglio la sua datazione. Infatti, a differenza di quanto sostenuto da De Bartholomaeis 1931, vol. I, pp. 115-116, la conclusione della lode del conte di Malta, e in particolare il riferimento al timore che il nobile è in grado di incutere nei suoi nemici, non rinvia necessariamente soltanto alla sua prima incursione nelle acque siciliane: l’ipotesi di legare così strettamente gli episodi della storia di Genova alla sua genesi non consente di escludere che l’elogio, unito al Natureingang invernale, alluda al secondo intervento di Enrico (così implicitamente Torraca 1915, pp. 95-96). La conseguente assenza di certezze non offre dunque soluzioni convincenti al problema, reso manifesto anche dalla possibilità che «le ultime due strofe poss[a]no essere state scritte in due momenti differenti», come potrebbe testimoniare l’utilizzo del verbo acompanhar al v. 65 per delineare il rapporto tra il trovatore e Alamanno (cfr. Avalle 1960, vol. II, nota al v. 65, p. 281; a p. 275 lo studioso interpreta questa cobla come un indizio del soggiorno del trovatore in Sicilia prima dell’inizio del periodo maltese). Oltre che da altri casi, l’ipotesi di doppia redazione del testo può essere supportata anche dalla duplice menzione di Galvano ai vv. 17 e 49, che permette di interpretare la settima cobla come un «doppione» della terza (cfr. Avalle 1960, vol. II, p. 272).

Nonostante i dubbi sulla consequenzialità della loro relazione, le celebrazioni di Enrico e di Alamanno, unite al gap della tornada, in cui il trovatore si dichiara ‘signore’ dei genovesi, consentono comunque di ricondurre il testo a un periodo in cui l’ospitalità offertagli dalla corte maltese era già divenuta stabile. Lo conferma il confronto tra esso e la seconda lirica di Peire da prendere in esame, Quant hom es en autrui poder (BdT 364.39). Il rapporto tra i due componimenti è tanto tematico quanto formale. Per il primo livello si è osservata l’affinità dell’esposizione del codice amoroso nelle loro sezioni centrali; della dittologia creata dall’accostamento di honrar e car tener nell’ultimo verso di Neus ni gels e nel v. 20 di Quant hom; e, soprattutto, delle autoproclamazioni del trovatore rispettivamente a senher ed emperaire dei genovesi nelle loro conclusioni (cfr. Brincat 1976, pp. 85-86 e 88-89, note ai vv. 20, 25 e 65). Per il secondo livello si è messa in rilievo l’identità dello schema metrico impiegato nelle due liriche e l’utilizzo da parte di entrambe della rima -es nel quinto e nel sesto verso di ogni cobla (notevole soprattutto l’uso della parola in rima conques, al v. 5 di Neus ni gels e al v. 45 di Quant hom, che rinvia in entrambi i casi al dominio del sentimento amoroso sul trovatore: cfr. Bampa 2017, che questa scheda mira a integrare). Nel loro insieme, tali elementi in comune rafforzano l’ipotesi di localizzare la composizione di Quant hom a Malta e di collocarla in un periodo vicino a quello in cui prese forma Neus ni gels (così per la prima volta Torraca 1915, pp. 96-97); essi tuttavia non consentono di datarla con precisione. Per fare ciò è necessario al contrario dare importanza agli elementi che allontanano i due testi, a partire dallo spazio dedicato ai genovesi. Rispetto alla prima canzone analizzata, Quant hom li chiama in causa, oltre che ai vv. 21-24, soltanto nell’ultima delle tre tornadas. Le prime due infatti gratificano alcuni dei mecenati che hanno accolto il trovatore nella penisola iberica, ovvero rispettivamente Alfonso VIII di Castiglia, celebrato direttamente, e Pietro II d’Aragona, come deducibile dalla raccomandazione al re di En Durfort, uno dei membri della sua cerchia, da identificare probabilmente con il trovatore Guilhem de Durfort (cfr. Avalle 1960, vol. II, nota al v. 62, pp. 410-411). Messo in rapporto con l’assenza di allusioni a Malta, al conte Enrico e al suo intervento a Siracusa, il contenuto di queste due tornadas consente dunque di sostenere che, quando compose il testo, Peire doveva essere arrivato sull’isola da poco, dopo aver lasciato le corti iberiche (cfr. Avalle 1960, vol. II, p. 404, con riferimento alla composizione di Car’ amiga, douss’ e franca, BdT 364.15, e di Deus en sia grazitz, BdT 364.17, canzoni «scritte dopo il 1201-2 in Ispagna») e in un periodo che, a differenza di quanto osservato a proposito di Neus ni gels, sembra precedere almeno la seconda la vittoria dei genovesi nelle acque siciliane. Una conferma di questa ipotesi può essere data anche dall’aggettivo borbonos (‘ingannatori’ o, supponendo una derisione del dialetto del comune, ‘persone che parlano in modo confuso’) riferito nell’ultimo verso della lirica ai cittadini della Compagna: con esso Peire rende esplicita la ritrattazione degli insulti che aveva lanciato circa dieci anni prima contro i genovesi con l’utilizzo dello stesso termine nel v. 7 di Bon’ aventura don Dieus als Pizas (BdT 364.14): saremmo quindi posti di fronte a un’«ampia ammenda» (Avalle 1960, vol. II, p. 405; cfr. anche la nota al v. 7, pp. 171-172), da intendere come una sorta di pegno che il trovatore ha deciso di pagare per garantirsi la successiva accoglienza presso la corte di Enrico.

L’ultimo testo del trovatore che rinvia a Malta è Pos ubert ai mon ric tezaur (BdT 364.38). Sulla base offerta dall’invettiva contro Manfredi I Lancia delle ultime due coblas e dal riferimento a Bonifacio I di Monferrato, il Marques cui es Salanics (v. 80), Vincenzo De Bartholomaeis ha sostenuto che l’intera lirica è stata composta in Piemonte, supponendo che i riferimenti alle perdite territoriali del marchese di Busca celate dai giochi di parole, che la caratterizzano a partire dalla terza strofe, potevano essere compresi soltanto da un pubblico della regione (cfr. De Bartholomaeis 1929, pp. 70-72, ripreso poi da De Bartholomaeis 1931, vol. I, pp. 160-169). Oskar Schultz-Gora, seguito poi da d’Arco Silvio Avalle, ha invece proposto di ricondurre la redazione del testo a due fasi distinte: soltanto la seconda, che comprende almeno l’attacco contro Manfredi, rinvierebbe al Piemonte, giacché la prima, con il riferimento al conte Enrico nella conclusione della prima cobla, chiama in causa Malta (cfr. Schultz-Gora 1932, p. 446, e Avalle 1960, vol. II, p. 286. A questa considerazione è stata associata la similarità tra il rifiuto dei beni terreni con cui si apre la seconda cobla, ai vv. 13-14, e quello dei vv. 25-28 di Quant hom: cfr. Hoepffner 1961, p. 156 e Brincat 1976, nota al v. 28, p. 86). Nonostante questa ipotesi consenta di risolvere «soddisfacentemente talune contraddizioni cronologiche e storiche del componimento», spiegando «in modo convincente la genesi delle due parti di cui si compone e la storia esterna della sua diffusione» (Avalle 1960, vol. II, p. 286), Fortunata Latella ha recentemente rilanciato la localizzazione piemontese. Dopo aver approfondito l’indagine sul pubblico italofono che dovette assistere alla messa in scena della lirica (cfr. Latella 2015), la studiosa si è concentrata sul rapporto tra la celebrazione del genovese Enrico Pescatore e quella del pisano Guglielmo di Massa che la precede: secondo Latella, il loro accostamento, messo in rapporto con l’avversione tra i comuni di origine dei due destinatari del testo, respinge la possibilità di ricondurne la genesi a uno dei loro territori, cosa che suggerisce di interpretare l’invio nei dintorni od oltre la Sicilia (part Mongibell, v. 3) come una prova della sua localizzazione nei domini del più importante alleato del feudatario di Busca, Bonifacio di Monferrato. Il testo dunque sarebbe stato trasmesso dal Piemonte verso la Sicilia o, tutt’al più, verso Oriente, dove i due destinatari potrebbero essere stati impegnati tra la seconda metà del 1205 e i primi mesi del 1206. Per Enrico, infatti, il primo periodo corrisponde a quello del suo secondo intervento in favore di Alamanno da Costa (che si configura così come il termine post quem più puntuale della composizione), il secondo all’inizio dell’assedio a Creta; per Guglielmo, invece, entrambi possono essere riferiti alle tappe del suo ritorno dalla Grecia dopo la partecipazione alla IV crociata (cfr. Latella 2016).

Un nuovo esame della canzone non consente di dirimere la questione relativa alla sua localizzazione; esso però, se incentrato sul rapporto tra questo trittico di testi ed Emperador avem de tal maneira (BdT 285.1 = 364.19), permette almeno di rafforzare l’ipotesi di datazione proposta da Latella. Come intuito da Noto 2006, p. 169, lo scambio di coblas tra Manfredi Lancia e Peire non deve più essere inteso come l’antefatto della conclusione di Pos ubert (così tradizionalmente a partire da Torraca 1915, pp. 106-107), bensì come la sua conseguenza. Nella conclusione della sua prima cobla, infatti, il nobile allude ai nomi di entrambi i protagonisti utilizzando i giochi onomastici su cui è impostata l’intera canzone-sirventese di Peire, della quale nella seconda cobla è ripresa anche la descrizione della punizione riservata al cosiddetto re dei folli (vv. 73-77), punizione che, come Peire auspica che possa colpire Manfredi, così questi si augura possa essere inflitta al trovatore. A questi punti di contatto tra le due liriche, già sufficienti da soli per ipotizzare di invertire la direzione del loro rapporto genetico, si sommano, nei primi due versi della prima cobla di Emperador avem, la derisione di alcune delle vanterie contenute in Neus ni gels e in Quant hom, in particolare l’utilizzo del titolo di signore e di imperatore (nella tornada della prima composizione, oltre che nei vv. 21-24 e nella terza tornada della seconda) e l’autoproclamazione a uomo assennato (nel v. 17 di quest’ultima). Permettendo di supporre una canzonatura dell’intero trittico di Peire, questi rinvii al ciclo maltese rafforzano l’idea di interpretare il testo dialogico come risposta diretta alle ultime due coblas di Pos ubert. Essi inoltre consentono di collocarlo in un periodo successivo almeno all’agosto del 1204 (la datazione più prudente che si possa proporre per Neus ni gels), cosa che autorizza a scorgere dietro alla derisione della cessione dei territori del nobile da parte di Peire (che caratterizza sia, ai vv. 67 e 78, la conclusione di Pos ubert sia, nella sua interezza, la sua cobla di risposta al marchese) non tanto le difficoltà economiche che Manfredi dovette affrontare nel 1196 (anno al quale lo scambio di coblas è stato fatto risalire a partire da Torraca 1915, p. 92), quanto quelle che lo colpirono nella prima metà del 1206 (già messe in rilievo da De Bartholomaeis 1931, vol. I, pp. 65-66 e Noto 2006, p. 169). Tale periodo si configura dunque come termine di riferimento per la composizione sia di Emperador avem sia dell’ultima canzone-sirventese di Peire.
 

 

Bibliografia

 

Abulafia 1987

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Avalle 1960

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Brincat 1976

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De Bartholomaeis 1929

Vincenzo De Bartholomaeis, «Peire Vidal, Pos ubert ai…», Studi medievali, n.s., 2, 1929, pp. 50-73.

 

De Bartholomaeis 1931

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Hoepffner 1961

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Fortunata Latella, «Peire Vidal, Pus ubert ai mon ric thesaur (BdT 364, 38): note cronotopiche», Studi mediolatini e volgari, 62, 2016, pp. 107-133.

 

Noto 2006

Giuseppe Noto, «Lo scambio di coblas tra Manfredi I Lancia e Peire Vidal (e alcune riflessioni sull’Occitania ligure-piemontese)», in Poeti e poesia a Genova (e dintorni) nell’età medievale. Atti del Convegno per Genova capitale della cultura europea 2004, a cura di Margherita Lecco, Alessandria 2006, pp. 163-188.

 

Oreste 1960

Giuseppe Oreste, «Alamanno da Costa», in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1960 e seguenti, vol. I, 1960, pp. 574-575.

 

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Torraca 1915

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Tosin 2005

Luca Tosin, «Enrico conte di Malta, corsaro genovese», Quaderni medievali, 60, 2005, pp. 27-54.

 

Alessandro Bampa

21.xii.2016


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