|
|
Paulet de Marselha
|
|
|
I.
|
|
|
Razos non es que hom deya chantar
|
|
|
de so don a dolor e marrimen,
|
|
|
mas mi cove en chantan remembrar
|
4 |
|
la mort del plus pro e del plus valen
|
|
|
baro qu’anc fos mil an a en Proensa,
|
|
|
qu’es mortz, don ai ira e malsabensa,
|
|
|
quar elh era de totz bos ayps complitz
|
8 |
|
e per los bos e pels autres grazitz.
|
|
|
|
|
|
II.
|
|
|
A, Proensal! Vos devez tug plorar
|
|
|
l’onrat senhor del Baus, quar veramen
|
|
|
pus l’onratz coms mori, a mi non par
|
12 |
|
perdessetz tan cum ar, qu’anatz perden
|
|
|
de pretz lo fruyt, la flor e la semensa
|
|
|
en mon senhor En Barral, don dolensa
|
|
|
ai e mon cor, que tan fort suy marritz
|
16 |
|
que ges non cug esser mais esbauditz.
|
|
|
|
|
|
III.
|
|
|
E cavallier e donzelh e ioglar
|
|
|
devon venir en Proensa temen,
|
|
|
quar selh es mortz que sabia renhar
|
20 |
|
retenen grat de Dieu e de la gen,
|
|
|
si qu’anc ves pretz nulh temps no fes fallensa
|
|
|
ni anc no·l plac nulh’autra recrezensa.
|
|
|
Ar es pretz mortz e paratges delitz
|
24 |
|
en Proensa, quar elh lor es fallitz.
|
|
|
|
|
|
IV.
|
|
|
Ni eu, las! mais non cug per ver trobar
|
|
|
tan bo senhor, tan franc, tan conoyssen,
|
|
|
que tot aquo sabia dir e far
|
28 |
|
qu’a senhor car cove et estai gen.
|
|
|
Eras es mortz. Ai! tan greu penedensa
|
|
|
sufriran silh qu’avion benvolensa
|
|
|
ab mon senhor En Barral, que auzitz
|
32 |
|
era sos pretz per tot lo mon e ditz.
|
|
|
|
|
|
V.
|
|
|
Dieus que·s laisset per nos en crotz levar,
|
|
|
per cuy venran li bon a salvamen,
|
|
|
li denh, si·l platz, per merce perdonar
|
36 |
|
e l’acuella en son regne plazen,
|
|
|
aissi cum elh a bona chaptenensa
|
|
|
acullia en sa cort de plazensa,
|
|
|
e·l salv e·l gui aissi sayns Esperitz,
|
40 |
|
cum elh era a pretz capdelhs e guitz.
|
|
|
|
|
|
VI.
|
|
|
Si per l’onrat frug de bona semensa
|
|
|
quez a laissat lo pros bars en Proensa
|
|
|
no fos, quez es de pretz sims e razitz,
|
44 |
|
ieu me fora de chantar relenquitz.
|
|
|
|
|
|
VII.
|
|
|
De selh o dic cuy es lo Baus gequitz,
|
|
|
quar elh es sai de pretz sims e razitz.
|
12 aravetz perdut 13
flor e e la 22 nulh hora 25 mai
37 com
Traduzione
I. Non c’è ragione per cui un uomo debba cantare di ciò per cui sente dolore e
tristezza, ma è giusto che io ricordi cantando la morte del più nobile e più
valoroso signore che mai esistesse da mille anni in Provenza, che è morto,
perciò provo pena e dispiacere, perché egli era perfetto nei buoni costumi e
lodato sia dai nobili che dagli altri.
II.
Ah, provenzali! Tutti voi dovete piangere l’onorato signore del Baus, perché
veramente da quando morì l’onorabile conte, a me non sembra che perdeste tanto
quanto ora, perché state perdendo il frutto, il fiore e il seme del valore col
mio signor Don Barral, per cui ho dolore nel mio cuore e sono tanto afflitto
che non credo di essere mai più allegro.
III.
Cavalieri e donzelli e giullari devono venire timorosi in Provenza, dal
momento che è morto quello che si comportava bene guadagnando l’approvazione
di Dio e della gente, cosicché mai commise mancanza verso il pregio e mai gli
piacque l’oziosità. Ora il pregio si è estinto e la nobiltà si è dissolta in
Provenza, perché egli li ha abbandonati.
IV.
Lasso! Io non credo davvero di trovare mai un signore tanto gentile, tanto
coraggioso, tanto saggio che sapeva dire e fare tutto ciò che conviene e si
addice proprio a un signore. Ora è morto. Ah! Che grande pena patiranno coloro
che conobbero la benevolenza del mio signore Don Barral, il cui valore si
udiva e narrava in tutto il mondo.
V.
Dio che per noi si lasciò sollevare sulla croce, per il quale i buoni saranno
salvi, si degni, se gli piace, per pietà di perdonarlo e di accoglierlo nel
suo regno piacente, così come egli con gentile comportamento accoglieva nella
sua corte piacevole. Lo Spirito Santo lo salvi e lo guidi, come egli era
signore e guida del valore.
VI.
Se non fosse per l’onorato frutto di nobile discendenza che l’eccellente
barone ha lasciato in Provenza, che è cima e radice del pregio, io avrei
rinunciato al canto.
VII.
Parlo di quello che è erede del Baus, perché egli è cima e radice del pregio.
Testo: Tornatore 2014. – Rialto 25.iii.2014.
Ms.:
C 322v (paulet de marce).
Edizioni critiche: Emil Levy, «Le troubadour Paulet de Marseille», Revue des
langues romanes,
21, 1882, pp. 261-289, a p. 278; Isabel de Riquer, «Las poesías del trovador
Paulet de Marselha», Boletín de la Real Academia de buenas letras de
Barcelona, 38, 1979-1982, pp. 133-205, a p. 183 (con traduzione spagnola);
Lidia Tornatore, Rialto 25.iii.2014.
Altra edizione:
Isabel de Riquer, Paulet de Marselha: un provençal a la cort dels reis d’Aragó,
Barcelona 1996, p. 119 (con traduzione catalana).
Metrica:
a10 b10 a10 b10 c10’ c10’ d10 d10 (Frank 382:22). Planh composto da
cinque coblas unissonans di otto versi e due tornadas, una di
quattro versi e l’altra di due. Rime equivoche: 20 : 28 gen; identiche:
5 : 42 Proensa, 13 : 41 semensa, 43 : 46 razitz;
inclusive: 16 esbauditz : 32 ditz; ricche: 2 marrimen :
10 veramen : 17 temen : 34 salvamen, 3 remembrar :
9 plorar, 7 grazitz : 31 auzitz : 43 razitz
: 46 razitz, 15 marritz : 39 Esperitz, 22 recrezensa
: 38 plazensa, 14 dolensa : 30 benvolensa, 44
relinquitz : 45 gequitz.
Note: Planh composto in Catalogna per la morte di Barral del Baus, signore di
Marsiglia e primo benefattore di Paulet in Provenza. Il codicillo del
testamento di Barral, che contrassegna la fase finale della sua vita, reca la
data del 31 luglio 1268, come indicato da Louis Barthélemy, Inventaire
analytique et chronologique des chartes de la maison del Baus, Marseille
1882, p. 153 e da Paul Durrieu, Les archives angevines de Naples, 2
voll., Paris 1886-1887, vol. II, p. 198. Possiamo dunque ritenere il planh
di poco posteriore a questa data. – A tale altezza cronologica Paulet de
Marselha aveva abbandonato la Provenza per attriti con il Conte Carlo d’Angiò
(divenuto nel frattempo re di Sicilia), trovando ospitalità presso Giacomo I
d’Aragona, e dedicandosi a una politica palesemente antiangioina. Inevitabile
rottura sembra essersi consumata anche con Barral del Baus, dapprima grande
guida delle ribellioni antifrancesi in Provenza, poi traditore della patria,
infine stretto collaboratore e fedele seguace dell’Angiò. In occasione della
sua morte, Paulet preferisce comunque commemorare l’illustre signore in
maniera convenzionale, esaltandone il valore e la saggezza ma tacendo
completamente l’argomento politico e omettendo ogni riferimento a re Carlo. I
versi finali del planh ruotano attorno alla figura dell’erede del Baus,
l’onrat frug de bona semensa e de pretz sims e ratitz, che consente a
Paulet di non abbandonare il canto nonostante il dolore. Per Riquer si tratta
di strategica captatio benevolentiae, attuata dal trovatore in vista di
un eventuale ritorno in Provenza. Il compianto sarebbe, in tale prospettiva,
il tramite ideale per riallacciare i legami con la famiglia del Baus.
L’affascinante ipotesi non è suffragata, però, da nessuna testimonianza né
poetica né storica. – Il personaggio evocato è precisamente Bertran del
Baus, ultimogenito di Barral, capitano delle truppe di Carlo d’Angiò in Italia
nel 1265, IX Conte del Baus e I Conte di Avellino. Nella sua persona la storia
della famiglia del Baus e il destino della dinastia angioina s’intrecciano
inestricabilmente. Nel 1268 Bertran ricevette da Carlo la contea di Avellino,
la signoria di Calvi, Padula, Francolise e Riardo, divenendo uno dei più
grandi baroni del Regno di Sicilia. Nello stesso anno prese parte alla
battaglia di Tagliacozzo, ma alla morte del padre tornò in Provenza per
amministrare il patrimonio di famiglia. Affidati gli affari provenzali nelle
mani dei suoi baglivi, ritornò nel Regno di Sicilia nella primavera del 1270.
Carlo, diventato nel frattempo senatore di Roma, gli affidò la carica di
vicario della città, ponendolo alla guida del governo civile e militare del
Comune. Nel 1275 ottenne nuovi incrementi territoriali alla morte del cugino
Bertran de Baus de Pertuis. Nei possedimenti provenzali, come in quelli
italiani, dovette fronteggiare spesso questioni e vertenze, trattenendosi
fuori dal regno oltre il limite consentito di un anno. Non partecipò alle
prime fasi della Guerra del Vespro né ritornò per la morte di Carlo nel 1285.
L’anno seguente, Bertran fu inviato in Sicilia dal reggente Roberto d’Artois
per tentare di riconquistare l’isola in mano aragonese. Catturato nel 1287
durante l’assedio di Augusta, fu liberato da Roberto in cambio dell’isola
d’Ischia. Nel 1290 fu inviato come ambasciatore alla corte aragonese per
intavolare trattative di pace da Carlo II d’Angiò. In seguito, Bertran tornò
di nuovo in Provenza, dove fu impegnato a risanare i debiti (contratti per la
restituzione del riscatto) fino al 1305, anno della sua morte. Per una
biografia più ampia su Bertran del Baus, si veda Joachim Göbbels, «DEL BALZO
(de Baux), Bertrando», Dizionario biografico degli italiani, 77 voll.,
Roma 1988-, vol. XXXVI, pp. 298-304. – Il planh è costruito su uno
schema ampiamente consolidato nel genere: l’esordio è un invito al lamento,
Paulet è addolorato ma intende giustamente ricordare il valore del suo signore
(vv. 1-8). Si accenna rapidamente al lignaggio del defunto con l’espressione
onrat senhor (vv. 9-16); si prosegue con l’enumerazione delle terre (A,
proensal!) e persone (e cavallier e donzelh e ioglar) rattristate
per la morte del defunto (vv. 17-24). Si passa per il motivo dell’elogio (vv.
25-31) e l’invocazione a Dio nelle sue persone (vv. 34-40). Infine, la
chiusura è incentrata sulle lodi dell’erede (vv. 41-46). – Ai vv. 9-16,
l’apostrofe rivolta ai provenzali ricorda il compianto scritto da Peire Bremon
Ricas Novas per la morte di Raimondo Berengario V, Ab marrimen doloiros et
ab plor (BdT 330.1a), vv.
25-29: «Ai, Proensal, en can grieu desconort / es remazut et en cal desonranza!
/ Perdut avetz solatz, juec e deport, / e gaug e ris, onor et alegranza, / et
es vengut en man de cel de Franza». – Al v. 11, l’onratz coms si
riferisce infatti a Raimondo Bernengario V, conte di Provenza e di Forcalquier
dal 1204 al 1245, appellato onratz comtz anche in Ab marrimen
doloiros et ab plor (BdT
330.1a). Suo successore divenne Carlo d’Angiò grazie al matrimonio con
Beatrice di Provenza, ultimogenita ed erede di Berengario. – Al v. 12 il ms.
legge ar avetz perdut ma accettiamo la correzione di Riquer perché la
rima richiede una parola terminante in en. – Al v. 13, lo fruit, la
flor e la semensa è un’allegoria botanica, tipica nella letteratura
medievale. Limitandoci alla poesia trobadorica ricordiamo altri esempi vicini
a quest’espressione e a sims e razitz presente al v. 43, cfr. Aimeric
de Pegulhan, Maintas vetz sui enqueritz (BdT 10.34), v. 44: «de
tal qu’es sima e razitz»; Aimeric de Pegulhan, S’eu anc chantei alegres ni
jauzens (BdT 10.48), v. 40: «e flors e frugz de totz bos complimens»;
Folquet de Marselha, Tan mou de corteza razo (BdT 155.23), v. 8:
«car ylh es sim’e razis»; Gui d’Uisel, Ades, on plus viu, mais apren (BdT
194.1), v. 66: «e·il sieu fait son de pretz cims e razitz»; Guillem Anelier de
Toloza, El nom de Deu, qu’es pair’omnipotens (BdT 204.3), v. 41:
«Coms d’Astarac, scims e flors e razitz»; Guillem Figueira, D’un sirventes
far (BdT 217.2), v. 13: «e cima e razitz, que·l bons reis d’Englaterra»;
Guiraut Riquier, Qui·m disses non a dos ans (BdT 248.67), v. 36:
«e pretz a sim e razitz»; Lanfranc Cigala, Eu no chan ges per talan de
chantar (BdT 282.7), vv. 15-16: «era de totz faiz benestan / cim e
raditz, flors e frutz e semenza»; Peire d’Alvernhe, Deus, vera vida, verays
(BdT 323.16), v. 82: «qu’es
sims e rams e razitz»; Raimon Menudet, Ab grans dolors et ab grans
marrimens (BdT 405.1), v. 13: «e de fin Pretz eratz sims e razitz»;
Cerverí de Girona, Axi com cel c’anan erra la via (BdT 434a.81),
v. 6: «cims e razitz, flors e fruitz conoxensa». – Al v. 23, l’avverbio Ar
è chiaramente visibile nel ms. mentre per Riquer manca in questo punto. – Al
v. 41, la perifrasi onrat frug de bona semensa allude a Bertran II del
Baus, in forma italiana Bertrando del Balzo, IX signore del Baux e I conte di
Avellino.
[LT]
BdT
Paulet de Marselha
|