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Paulet de Marseilla, L’autrier m’anav’ab cor pensiu (BdT 319.6)


 

Circostanze storiche

 

 

   

Trattando di L’autrier m’anav’ab cor pensiu, Aurell 1989, p. 278, descrive il componimento come «une des plus originales pastourelles de l’histoire de la littérature». La speciale confluenza di istanze schiettamente politico-encomiastiche nella consueta ambientazione della pastorella («prova tangibile che la pastorella era […] uno strumento duttile, una struttura aperta da piegare al gioco dei significati»: cfr. Grimaldi 2012, p. 95) non può che confermare tale giudizio. Se da un lato, infatti, il ricchissimo portato storico di questo testo riflette l’attitudine fortemente ghibellina del suo autore, dall’altro evidenzia il clima di generalizzata insofferenza nei confronti di Carlo I d’Angiò e della sua politica durante il primo ventennio del suo governo in Provenza.

La pungente critica di Paulet de Marseilla – che, di fatto, punta a restituire un’immagine estremamente negativa e fallimentare dell’Angioino – prende spunto dalle disastrose imprese condotte da Carlo sui due distinti fronti della settima crociata (cui rinvia il riferimento a Roberto d’Artois, morto in seguito alla sconfitta di al-Mansūra dell’8 febbraio 1250: cfr. Runciman 1966, vol. II, pp. 910-923) e del tentativo di annessione dell’Hainaut, come testimonia la menzione di un non meglio identificato sagramen (v. 39) pronunciato da Carlo stesso e di cui, almeno a giudicare dalle parole di Paulet, avrebbe poi avuto ragione di pentirsi (vv. 40-42). Per quanto attiene a questo secondo aspetto, è noto l’accordo del 1254 (poi sfociato in un risarcimento pecuniario) che prevedeva la cessione dell’Hainaut a Carlo da parte di Margherita di Costantinopoli, contessa delle Fiandre, la quale stava tentando di sottrarre la sovranità della contea al figlio di primo letto Giovanni d’Avesnes (Léonard 1954, pp. 48-49). È evidente come la strutturazione del discorso poetico risulti qui funzionale a screditare le presunte abilità strategiche di Carlo d’Angiò, la cui colpa maggiore resta comunque quella di trattare i provenzali con ingiustificata crudeltà (vv. 29-32); ed è verosimile che quest’accusa adombri il ricordo della sanguinosa repressione messa in atto contro i riottosi marsigliesi, sobillati da Ugo del Balzo e Alberto di Lavagna nel 1262 (Pernoud 1985, p. 146).

Sullo sfondo di quella che è dunque una vera e propria invettiva contro l’allora conte di Provenza, si erge, in un quadro di ammirata esaltazione, la figura di Manfredi di Svevia, nel quale sono riposte le speranze di vittoria contro i francesi. La menzione di Manfredi, al di là della ferma opposizione a Carlo d’Angiò che contraddistinse i suoi ultimi anni di vita, è qui largamente giustificata dal matrimonio tra Pietro III e Costanza, figlia primogenita dello Svevo, celebrato a Montpellier il 15 luglio 1262. Alla figura di Costanza andrà certamente attribuito un ruolo preponderante nella progressiva affermazione, negli ambienti barcellonesi, del «dibattito sulla successione imperiale secondo schemi chiaramente ‘ghibellini’» (Grimaldi 2009, p. 144), un dibattito che sembra aver influito non poco sull’impostazione ideologica filoimperiale acquisita da Paulet proprio nel corso del suo soggiorno presso la corte di Pietro (Aurell 1989, p. 165). Si noterà, infine, che la duplice menzione del re di Sicilia permette di stabilire la datazione di L’autrier m’anav’ab cor pensiu. Il terminus ante quem è infatti da identificare con la battaglia di Benevento del 26 febbraio 1266: nel testo, infatti, si allude solamente all’eventualità dello scontro tra Manfredi – descritto come ancora in vita e intento ad imbastire le proprie alleanze per scongiurare la propria deposizione – e Carlo d’Angiò. Il terminus post quem andrà invece rintracciato nel 1265, probabilmente tra i mesi di aprile e maggio, quando Carlo – complice anche l’elezione del nuovo papa, Clemente IV, particolarmente vicino alla corona francese anche in funzione antisveva – portò a termine le trattative per l’ottenimento del regno di Sicilia, di cui ricevette formalmente la corona il 6 gennaio dell’anno seguente (cfr. Herde 1977).

Stando alla ricostruzione della biografia di Paulet de Marsella, il poeta doveva trovarsi in questo periodo «nella corte di Isla-Jordan», dove avrebbe dunque composto questa pastorella «dedicata all’Infante Pietro III d’Aragona, di cui intendeva forse ingraziarsi le simpatie» e dal quale «fu ben presto accolto nella folta corte che seguiva costantemente l’erede al trono» (cfr. Guida - Larghi 2014, pp. 373-374). In quest’ottica, è facile intuire la centralità delle argomentazioni a favore del futuro re d’Aragona, del quale si sottolinea non solo il consueto possesso di virtù cavalleresche (vv. 61-62) ma anche e soprattutto il diritto alla sovranità sulla Provenza in virtù del suo linhatge. È infatti alle nozze tra Raimondo Berengario III e Dolce I (1113) che risale storicamente l’annessione della contea di Provenza a quella di Barcellona, poi rinsaldata dal matrimonio, celebrato nel 1143, tra Raimondo Berengario IV el Sant e Petronilla d’Aragona (cfr. Soldevila 1955). A fronte della durissima politica fiscale attuata da Carlo in Provenza – un tema che alimentò frequenti critiche da parte di numerosi trovatori, mossi da un comune sentimento antiangioino: cfr. Borsa 2006 – appaiono chiare le ragioni per cui Paulet, per bocca della pastora, auspica non solo una rapida rivendicazione della Provenza da parte dell’Infante Pietro, ma anche una fruttuosa collaborazione tra questi ed Edoardo Plantageneto (re d’Inghilterra dal 1272 col nome di Edoardo I). La chiamata in causa di Edoardo è, ancora una volta, riconducibile a ragioni di ordine dinastico-familiare: egli era infatti consanguineo del principe aragonese (entrambi erano infatti bisnipoti di Alfonso II di Aragona) per parte della madre, Eleonora di Provenza. Pur essendo impegnato, all’epoca della composizione di L’autrier, a sedare la rivolta dei baroni guidata da Simone V di Montfort, Edoardo rappresentava comunque un possibile alleato nella lotta contro le ambizioni territoriali di Carlo (e, latamente, anche della corona francese, costantemente in lotta con i re inglesi per il predominio sull’Aquitania); ed è probabilmente per questa ragione che Paulet, nell’augurarsi una forte amicizia tra i due futuri sovrani, si rivolge anche al padre di Pietro, l’allora re d’Aragona Giacomo I il Conquistatore, del quale il poeta sembra invocare il benestare all’inizio dell’VIII cobla.

 

 

Bibliografia

 

Aurell 1989

Martin Aurell, La vielle et l’épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris, 1989.

 

Borsa 2006

Paolo Borsa, «Letteratura antiangioina tra Provenza, Italia e Catalogna. La figura di Carlo I», in Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1259-1382). Atti del convegno (Alba, 2-3 settembre 2005), a cura di Rinaldo Comba, Milano, 2006, pp. 377-432.

 

Grimaldi 2009

Marco Grimaldi, «Politica in versi: Manfredi dai trovatori alla “Commedia”», Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, 29, 2009, pp. 79-167.

 

Grimaldi 2012

Marco Grimaldi, Allegoria in versi. Un’idea della poesia dei trovatori, Napoli 2012.

 

Guida - Larghi 2014

Saverio Guida - Gerardo Larghi, Dizionario biografico dei trovatori, Modena 2014.

 

Herde 1277

Peter Herde, «Carlo I d’Angiò, re di Sicilia», Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1977, versione in rete (www.treccani.it).

 

Léonard 1954

Émile G. Léonard, Les Angevins de Naples, Paris 1954.

 

Pernoud 1985

Régine Pernoud, Saint Louis et le crépuscule de la féodalité, Paris 1985.

 

Runciman 1966

Steven Runciman, Storia delle Crociate, 2 voll., Torino 1966.

 

Soldevila 1955

Ferran Soldevila, Ramon Berenguer IV el Sant, Barcelona 1955.

 

Cesare Mascitelli

20.i.2018


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