Rialto    IdT

315.2

 

   

Palais

 

 

 

 

   
   

 I.

   
   

Be·m plai lo chantars e·l ris

 

Mi aggradano il canto e il riso quando sono con i miei compagni e menzioniamo i baroni e parliamo del prode marchese, che si accompagna al nobile pregio; tuttavia [diciamo] che messer Enrico non ne ha affatto, giacché Renart, che pure fu astuto, non fu mai altrettanto esperto in spregevoli affari.

   

quant son ab mos conpaingnos

 
   

e mentavem los baros

 
4  

e parlem del pro marquis,

 
   

qeç a bon prez s’acompaigna,

 
   

pero c’a jes N’Aenris,

 
   

q’anc Rainarz, qui fo gignos,

 
8  

no sap tant d’avol bargaigna.

 
   

 

   
   

II.

   
   

Pero toz mos enemis

 

Ma io non stimo i miei nemici l’equivalente di un tronco: se essi sono rudi e orgogliosi non gli sarò mai sottomesso; tutti quanti non li temo una nocciola, tuttavia messer Ottone del Carretto, che è schietto e valente e ama e guadagna il nobile pregio, mi ha conquistato.

   

non prez lo valen d’un tros:

 
   

s’il sun brau ni orgoillos,

 
12  

ja non lor serai aclis;

 
   

toz non los dopt un’aulaigna,

 
   

mas mezer Ot m’a conqis,

 
   

del Carret, q’es francs e pros,

 
16  

e vol bon prez e gazaigna.

 
   

 

   
   

III.

   
   

A mudar m’er ma razon

 

Ora dovrò cambiare proposito e converrà che io canti di coloro che dicono di no, e non posso fare altrimenti; ma credo di essere in Spagna quando entro nelle loro case: ciascuno indossa il suo cappuccio e mi si mostra un viso accigliato.

   

et avenra·m a chantar

 
   

d’aqels qe dizon de non,

 
20  

et eu non puosc alre far;

 
   

mas esser cug en Espaigna

 
   

quant entre dinz lor maison:

 
   

chascun vest son chapiron

 
24  

e·m mostr’om cara grifaigna.

 
   

 

   
   

IV.

   
   

Pero prec Jhesu del tron

 

Tuttavia prego Gesù del Cielo che li faccia abbassare, perché li vedo stare troppo in alto senza volontà di spendere o di donare; e voglio che venga a mancarmi ogni gioia se non denuncio i torti che commettono i ricchi malvagi e felloni prima che il gioco finisca.

   

qe los faza abaissar,

 
   

car trop los vei alt estar

 
28  

ses don e ses mession;

 
   

e voill tot jois me sofraigna

 
   

s’ieu non dic la mespreisson

 
   

qe fan li ric croi felon

 
32  

enanz qe lo juocs remaigna.

 

 

 

 

Testo: Francesca Sanguineti, Rialto 18.vii.2017.


3. A differenza di Ricketts, che lascia a testo la lezione del ms. mentaven, si è preferito qui optare per la prima persona plurale, in accordo al successivo parlem.

4. marquis: va identificato con Ottone del Carretto, marchese di Savona, per cui si rimanda alle Circostanze storiche. È menzionato per nome ai vv. 14-15.

6. N’Aenris: assai difficile è l’identificazione di questo Enrico, nel quale, come hanno già sottolineato De Bartholomaeis, Poesie provenzali, vol. II, p. 132 e Ricketts, «Le troubadour Palais», p. 232, non può essere riconosciuto Enrico del Carretto, fratello di Ottone, dal momento che di quest’ultimo il trovatore tesse l’elogio ai versi precedenti. La lode di Ottone infatti contrasterebbe con le osservazioni diffamatorie riservate a N’Aenris ai vv. 6-8. Segnaliamo, tuttavia, la diversa proposta di Saverio Guida, «(Andrian de) Palais, trovatore lombardo?», in Studi di Filologia romanza offerti a Valeria Bertolucci Pizzorusso, a cura di Pietro G. Beltrami, Maria Grazia Capusso, Fabrizio Cigni, Sergio Vatteroni, 2 voll., Pisa 2006, vol. I, pp. 685-721, alle pp. 691-693, nota 17, che sostiene invece l’identificazione di Aenris col secondo figlio di Enrico del Vasto. Guida, infatti, suggerisce di leggere «pero çai es n’Aenris» (ms. pero caies na enris), ipotizzando una omissione della cediglia sotto la c da parte del copista, sicché il senso del verso sarebbe «“di fatto qui c’è (=abbiamo) il signor Enrico” e avrebbe valenza, più che reprensivo-deploratoria, comico-scherzosa, con una chiusura ad effetto imbastita sulla rassomiglianza fono-grafica e sulla forza evocatrice del nome proprio finale riproducente con lievissime variazioni quello del celebre personaggio dell’epopea animalesca» (p. 693).

7. Rainarz: protagonista del Roman de Renart, si tratta di una volpe ingannatrice che rappresenta il prototipo medievale dell’imbroglione. Cfr. anche Guillem de Berguedan, nel partimen con Aimeric de Pegulhan, De Berguedan, d’estas doas razos (BdT 10.19 = 210.10), vv. 22-23: «N’Aimerics, tot enaissi o fais vos / com fez Rainautz qan del frug ac sabor»; Falconet nella tenzone con Taurel, Falconet, de Guillalmona (BdT 438.1 = 148.2), vv. 45-46: «q’aissi trais sa guerr’a fin / com fetz Rainaltz Esengrin»; Peire de Bussignac, Quan lo dous tems d’abril (BdT 332.1), vv. 55-59: «Anc Rainartz d’Isengri / no·s saup tan gent venjar, [...] / com ieu fas quan m’azir».

8. Ricketts stampa erroneamente barbaigna.

19. Restori, Palais, p. 8, e De Bartholomaeis, Poesie provenzali, vol. II, p. 133, suggerivano di cogliere in questo verso un’allusione a una famiglia “de Nono” ossia di Annone (Asti). Ricketts, «Le troubadour Palais», p. 233, osserva giustamente: «par un subtil jeu de mots, ce vers expose en même temps ceux qui refusent de faire des dons et des dépenses (voir v. 28)». Guida, «(Andrian de) Palais», p. 693, suggerisce di stampare Non con la maiuscola, intendendolo appunto come toponimo piemontese. Lo studioso tenta di ricostruire il contesto storico del componimento, cogliendo nella tirata di Palais contro aqels qe dizon de Non un riferimento ai contingenti militari germanici che presidiavano il castello di Annone su ordine di Tommaso d’Annone, primo podestà di Torino e vicario per l’intero Piemonte. In assenza di dati certi presenti nel testo, si è preferito stampare non con la minuscola, come del resto fanno De Bartholomaeis e Ricketts, perché evidente appare l’allusione ironica a coloro che non sono soliti elargire doni; per approfondimenti cfr. le Circostanze storiche.

21. Espaigna: Ricketts, «Le troubadour Palais», p. 233, commenta: «il faut penser que la mention de l’Espagne se rapport à une xénophobie à l’égard des Maures». Guida, «(Andrian de) Palais», p. 697, sostiene che questo accostamento nasca dalla percezione della Spagna come una zona di frontiera della cristianità occidentale, in cui i combattimenti erano continui e senza sosta: «non è da escludere che il paragone sia affiorato nella mente di Palais per effetto dell’emozione destata dalla rovinosa sconfitta degli eserciti ispanici ad Alarcos nel luglio 1195 e dalla conseguente trionfale avanzata fino al 1197 della spedizione del califfo almohade Abu Yusuf ‘qub al-Manșur».

23. chapiron: sembrerebbe una variante dei più attestati capion e capairon ‘cappuccio della cappa’ (PD, s.v. capion e capairon; LR, II:320-321). Cfr., per una forma simile con un significato affine, Sordel, Lo reproviers vai averan, so·m par (BdT 437.20), v. 35: «et en luoc d’elm fai capiron fresar». L’immagine di individui che indossano la cuffia o il cappuccio lasciando scoperta solo parte del volto, che si presenta oltretutto accigliato, contribuisce a rimandare ad uno stato di ostilità e belligeranza.

[FS]


BdT    Palais    IdT

Testo    Circostanze storiche