Rialto    IdT

372.5

 

   

Pistoleta

 

 

 

 

   

I.

   

Manta gent fas meravelhar

   

de mi quar no chant pus soven;

   

pero “quascus sap son afar,”

   

et ieu say lo mieu eyssamen.

5  

Cum chantara qui ioy non a?

   

E s’ieu chanti, qui m’auzira?

   

Ni a cui platz iois ni solatz?

   

Que·l plus iauzens mi par iratz

   

e·l plus larcs escas e marritz,

10  

per que mos chans s’es adormitz.

   

 

   

II.

   

Pauc si fai rire ab plorar,

   

ni paupres d’aver ab manen,

   

e nueitz escura ab iorn clar,

   

e qui ren no val ab valen,

15  

e pauc cavalliers ab vila,

   

ni us malautz ab autre sa,

   

et erguelh ab humilitatz,

   

e franquezas ab malvestatz,

   

e cortes entre·ls descauzitz,

20  

plus qu’austors mudatz ab soritz.

   

 

   

III.

   

Tals tolh que deuria donar,

   

e tals cuya dir ver que men,

   

e tals cuj’ autruy galiar

   

que si mezeys lass’ e repren,

25  

e tals se fi’ en l’endema

   

que ges no sap, s’il se veyra,

   

e tals es savis apellatz

   

que fay e ditz de grans foudatz,

   

e tals es apellatz petitz

30  

qu’es, can s’eschai, pros et arditz.

   

 

   

IV.

   

No vuelh en cort ses ioy estar

   

ni ab baron desconoyssen,

   

ni no m’azaut de trop ianglar

   

ni de companha d’avol gen;

35  

mas lo coms de Savoya m’a

   

per amic e tostemps m’aura,

   

quar elh es savis e membratz

   

et ama pretz et es amatz

   

et es de totz bos ayps complitz.

40  

Ben aya huey aital razitz!

   

 

   

V.

   

De tal suy homs que non a par

   

de beutat ni d’ensenhamen,

   

mas no m’en puesc gayre lauzar,

   

enans en planc e·n plor soven;

45  

e dompna si merce non a

   

del sieu, doncas de cui l’aura?

   

Qu’amada l’auray desamatz

   

tan qu’autr’ en fora enoiatz;

   

et ieu, on pieitz mi fai ni·m ditz

50  

de mal, en soi pus afortitz.

   

 

   

VI.

   

Dompna, estortz for’ e gueritz,

   

si·l ben qu’ie·us vuelh mi fos grazitz.

 

 

Traduzione [gb]

I. Faccio meravigliare di me molta gente, perché non canto più spesso; ma “ciascuno conosce i propri problemi” e allo stesso modo io conosco i miei. Come canterà chi non ha gioia? E se io canto, chi mi ascolterà? E a chi piacciono gioia e divertimento? Ché il più gioioso mi sembra triste e il più generoso avaro e afflitto, perciò il mio canto si è assopito.
II. Il riso c’entra poco con il pianto e il povero di denaro con il ricco e l’oscurità della notte con il chiarezza del giorno e chi non vale niente con il valente e poco pure c’entra il cavaliere con il rustico e il malato con uno sano e la consapevolezza del rango con l’umiltà e la bontà con la malvagità e il cortese tra i rozzi più che l’astore che ha fatto la muta con il sorcio [oppure: pipistrello].
III. Uno che dovrebbe donare toglie; e uno che mente pensa di dire la verità; e uno che irretisce e cattura se stesso pensa di ingannare gli altri; e uno che non sa assolutamente se lo vedrà si fida del domani; e uno che fa e dice grandi sciocchezze è chiamato saggio; e uno che, quand’è il momento, è valoroso e coraggioso è chiamato piccolo.
IV. Non voglio restare a corte senza gioia né con baroni ingrati [oppure: ignoranti], e non trovo piacere nelle chiacchiere eccessive e nella compagnia di gente vile; ma il conte di Savoia mi ha e mi avrà sempre per amico, perché egli è saggio e avveduto e ama il pregio ed è amato ed è perfetto in ogni buona qualità. Benedetta sia oggi tale stirpe!
V. Sono vassallo di una che non ha pari per bellezza ed educazione, ma non ne posso affatto essere contento, anzi ne piango e me ne lamento spesso; e una dama, se non ha pietà del suo vassallo, di chi l’avrà? Perché l’ho amata senza essere riamato al punto che un altro ne sarebbe infastidito; ma io, più mali mi fa e peggio mi parla, più sono ostinato.
VI. Signora, sarei liberato e guarito, se per il bene che vi voglio mi fossero rese grazie.

 

 

 

Testo: Niestroy 1914, con modifiche di gb. – Rialto 25.ix.2018.


Mss.: C 336r, D 87v, R 100r, To 3, f 16v.

Edizioni critiche: Erich Niestroy, Der Trobador Pistoleta, Halle 1914, p. 55; Cyril P. Hershon, «Pistoleta», Revue de langues romanes, 107, 2003, pp. 247-341, a p. 309.

Altre edizioni: François Juste Marie Raynouard, Choix des poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1816-1821, vol. III, p. 228; Henri-Pascal Rochegude, Le Parnasse occitanien, Toulouse 1819, p. 381; Carl August Friedrich Mahn, Die Werke der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1846-1886, vol. III, p. 191.

Metrica: a8 b8 a8 b8 c8 c8 d8 d8 e8 e8 (Frank 390:8). Sirventese di cinque coblas unissonans di dieci versi e una tornada di due versi (ultimi due della strofa). Rime: -ar, -en, -a, -atz, -itz. È catalogato come sirventese da BdT e BEdT per ragioni di contenuto; Frank lo censisce come «sirventes-chanson». Due componimenti entrambi cronologicamente anteriori usano la stessa formula metrica con rime differenti: la canzone di Bernart de Pradas, Si tot m’ai pres un pauc de dan (BdT 65.3) e il sirventese di Guilem de Berguedan, Ben ai auzit per quals razos (BdT 210.5), ma per il nostro testo non sembra trattarsi di contrafattura. In ambito oitanico presenta la stessa formula metrica un jeu parti di Gillebert de Berneville (terzo quarto del XIII secolo), Amors, je vos requier et pri (RS 1075, L 84.33), in coblas unissonans (rime: -i, -ént, -èl, -ièr, -oir) con un invio di sei versi.

Ed. Niestroy: 49-50 et ieu, on pieitz mi fai ni·m ditz / de mal, yeu suy pus afortitz.

Note: Il sirventese elogia nella strofa IV il conte Tommaso I di Savoia (regnante 1189-1233). Cronologicamente, sulla base dei dati in nostro possesso, il testo si dovrebbe collocare nei primi decenni del XIII secolo: cfr. Circostanze storiche. – Unico tra tutti i codici, il ms. D pone il testo in una sezione non del tutto organizzata e lo attribuisce a Saill d’Escola, trovatore o giullare noto per essere stato inserito dal Monge de Montaudon nella galleria satirica di Pos Peire d’Alvernh’a chantat (BdT 305.16). La configurazione della tradizione manoscritta (Cf vs. DR, con To non noto a Niestroy e non preso in considerazione da Hershon) porta ad escludere che il sirventese sia opera sua, né può valere in questo caso la dinamica per cui a volte un trovatore molto importante ha fagocitato il testo di un trovatore misconosciuto, perché lo scarso lascito poetico di Pistoleta non può certo aver agito da centro gravitazionale. L’ascrizione a Saill d’Escola è stata comunque difesa solo da Stanisław Stroński, Le troubadour Folquet de Marseille, Cracovie 1910, p. 83* senza alcuna spiegazione (probabilmente perché in CR è l’ultimo testo della sezione di Pistoleta, posizione che Stro?ski considerava sempre dubbia, e in f è isolato), mentre Niestroy, Der Trobador, p. 13, non mostra dubbi sulla paternità di Pistoleta, anche qui senza spiegazioni (ancor più acriticamente anche Hershon, «Pistoleta», p. 266). – Il testo che si riproduce è quello di Niestroy che si basa sulle lezioni di DR (in caso di divergenza su R). Il testo di Hershon, «Pistoleta», la cui recensio è incompleta, mancando To, si fonda invece sul ms. C ma non discute in nessun modo i rapporti tra i testimoni, per cui la scelta del bon manuscrit è acritica e arbitraria. Ad ogni modo, tra le due versioni non si notano forti differenze; quelle più vistose sono indicate in nota. – Il sirventese è interamente costruito sull’opposizione di concetti inconciliabili: il procedimento è impostato nella strofa I (canto vs. mancanza di gioia; gioioso vs. triste; generoso vs. avaro) e amplificato nella II con insistita simmetria ([pauc si fai] x ab y) e ancora nella strofa III con una nuova struttura simmetrica (compie x uno che in realtà compie y). Nella strofa IV l’opposizione viene svolta in favore del conte di Savoia, a cui si contrappongono baroni inadeguati e corti troppo frivole. Infine nella strofa V l’opposizione è quella topica dell’amar desamatz.

3. «quascus sap son afar» è un proverbio (cfr. Eugen Cnyrim, Sprichwörter, sprichwörtliche Redensarten und Sentenzen bei den provenzalischen Lyrikern, Marburg 1988, n. 1035), pertanto Niestroy lo pone tra virgolette (non così Hershon).

17. L’erguelh indica non tanto l’orgoglio in senso moderno quanto, in una società rigidamente divisa in ceti, la distinzione di classe sociale, che separa nella lirica cortese l’io lirico, di condizione sociale inferiore, dall’amata, di nobili natali. Per superare tale differenza, i trovatori invocano spesso l’humilitat “umiltà” della dama, cioè un atto unilaterale e consapevole di annullamento delle differenze sociali che faccia scendere la donna al livello dello spasimante.

18. La lezione e franquezas ab malvestatz è nel solo R; è questo uno dei casi in cui Niestroy si affida al ms. che ritiene migliore, pur discutendo le altre lezioni in nota. Gli altri codici danno la lezione e largueza ab escassedatz (a testo in Hershon che la trae da C), cioè ‘e la generosità con l’avarizia’.

20. L’astore che ha fatto la muta era il rapace più adatto alla falconeria e quindi più pregiato. Qui è contrapposto alla soritz (dal lat. masch. soricem, divenuto femminile per metaplasmo di genere e spostamento d’accento), cioè il ‘sorcio’. Tuttavia, è strano che Pistoleta compari un volatile a un animale terrestre e si potrebbe pensare che qui soritz sia una brachilogia per soritz penada, il ‘sorcio pennuto, con le penne’, cioè il ‘pipistrello’.

24. La dittologia lasar e prendre ‘allacciare e prendere, catturare’ è piuttosto diffusa. Qui si ha il verbo reprendre forse per ragioni metriche.

35-40. Sul coms de Savoia, Tommaso I (1178-1233, regnante dal 1189) si vedano le Circostanze storiche. Non è ammissibile (o quantomeno non fondata su ciò che il testo dice) l’interpretazione di Niestroy che vi vede una captatio benevolentiae da parte di un trovatore desideroso di proporsi alla corte sabauda e in cerca di remunerazione (cfr. oltre alla traduzione, anche Niestroy, Der Trobador, p. 10). Il trovatore sembra anzi già essere in presenza di Tommaso. Pertanto non può essere accolta la traduzione «Wohl möchte ich heute eine solche Stütze haben» ‘Ben desidererei avere oggi tale sostegno’, dove sicuramente errate sono le traduzioni di Ben aya ‘sia benedetta’ e di razitz ‘radice’, nel senso di ‘stirpe’.

47. «amada l’auray» è un futurum exactum che si può tradurre con un passato (cfr. la lezione di D que lai amada): su questo tipo di uso si vedano Adolf Tobler, Vermischte Beiträge zur französischen Grammatik, Leipzig 1886, pp. 207-212 e Frede Jensen, Syntaxe de l’ancien occitan, Tübingen 1994, pp. 243-244, § 559; cfr. anche Giorgio Barachini, Il trovatore Elias de Barjols, Roma 2015, p. 292.

49. Il testo di Niestroy «et ieu, on pieitz mi fai ni·m ditz / de mal, yeu suy pus afortitz» è lezione di R (et ieu on pieitz mi fai nim ditz. de mal en soj pus afortitz) mescolata con quella di Cf (C: e lai on plus mi falh em ditz. de mal yeu sui pus afortitz; f: el lai on plus mi fa nim ditz. de mal ieu soy plus afortitz); la miscela è improvvida con la ripetizione di ieu che non ricorre in nessun codice; rettifico adottando in toto il testo di R. Il testo non migliora neppure in Hershon, che si affida, senza condurre neanche un’indispensabile collazione con f, a C, che è l’unico codice a dare la lezione falh, sicuramente innovativa. Il ms. D ha una lezione propria e scorretta: mas campluim fai del mal emdiz. Damar lei sui plus afortiz. È chiaro che il problema deriva dal correlativo di maggioranza e probabilmente non si andrebbe lontano dal vero, ricostruendo una lezione «e ieu (?) on plus mi fai nim ditz / de mal en (?) sui plus afortitz», con la posizione dei pronomi comunque incerta.

[gb]


BdT    Pistoleta    IdT

Circostanze storiche