Testo: Luca Gatti, Rialto 16.i.2017. 1. Per un’espressione simile vedi anche una canzone di crociata di Giraut de Borneil, Era, can vei re (BdT 242.15), v. 76: «car del chantar no·m sui gequitz!». 10 gerreia. I precedenti editori emendano gerreia in guerreia; ad ogni modo, la grafia della lezione tràdita dal ms. è accettabile e trova riscontri nel corpus occitano. 16 derdre. Il verbo è impiegato da Rambertino anche in Toz m’era de chantar geqiz (BdT 281.10), v. 42 (participio passato). Non sembrerebbe attestato altrove nella lirica occitana; per il significato vedi PD derzer, ovvero «lever, élever, dresser». 18 amar. L’emendatio è condivisa da tutti gli editori e trova riscontro, ad esempio, in Nuills hom no s’auci tan gen (BdT 366.22), v. 22: «tal dompna c’amar mi deia». Il costrutto dever amor costituisce infatti hapax. 23-24. Melli emenda ver cui eu in verai ieu: «Mon cor verai ieu dei attendre, / e pos tal val, no m’en deu erdre?» (‘D’altronde non posso certo disattendere ciò che sinceramente mi detta il mio cuore, e come potrebbe non spingermi a innalzarmi verso di lei poiché vale tanto?’). L’intervento pare superfluo, poiché il senso del passo è già sufficientemente chiaro. 25-28. La tecnica delle coblas tensonadas è assai diffusa nella poesia trobadorica: sulle forme del dialogo nella lirica occitana si rimanda all’approfondita analisi di Marco Grimaldi, Allegoria in versi. Un’idea della poesia dei trovatori, Bologna 2012, pp. 143-222 (in particolare pp. 191-209). Relativamente al dialogo interiore si trovano punti di contatto fra Rambertino Buvalelli e la canzone di Aimeric de Peguilhan Chantar vuilh. – Per qe? – Ja·m pladz (BdT 10.16), componimento giocato integralmente sulle coblas tensonadas; ad ogni modo, la fonte del trovatore bolognese per il passo in questione sarà da rinvenirsi più verosimilmente in Ges non puesc en bon vers faillir (BdT 356.4) di Peire Rogier: «Vuelh m’en partir. – / No far! – Si faray. – Quers ton dan. – / Qu’en puesc als? – Vols t’en ben jauzir?», vv. 49-51 (per cui vedi Paola Allegretti, «Il sonetto dialogato due-trecentesco. L’intercisio e le sue origini gallo-romanze», in Il genere «tenzone» nelle letterature romanze delle origini, Atti del convegno internazionale (Losanna, 13-15 novembre 1997), a cura di Matteo Pedroni e Antonio Stäuble, Ravenna 1999, pp. 73-109, a p. 88). 27 se·t plaideia. La lezione originaria del ms. è sec plaideia, il che costringerebbe a interpretare plaideia come sostantivo, con significato di ‘querelle’. Così Bertoni, Rambertino Buvalelli, p. 63: «Che plaideja sia un sostantivo, e non già una forma verbale, è stato veduto dal Levy». Ciò nonostante, la considerazione di Emil Levy si basava esclusivamente sul passo di Rambertino, rendendo di fatto il sostantivo un hapax all’interno del corpus provenzale. In ogni caso, è a tutti gli effetti molto probabile che il copista abbia trascritto un secondo sec per attrazione di quello rinvenibile a inizio verso (qui sec son dan e sec plaideia): l’emendatio di Bertoni, I Trovatori, – ignorata da Melli (ma cfr. la rec. di Michelangelo Picone, Studi e problemi di critica testuale, 21, 1980, pp. 209-219, a p. 217) – che qui si accoglie (sulla scorta dell’edizione Capusso), dona senso al passo e, non da ultimo, riconduce la forma plaideia al verbo plaideiar, largamente attestato. 28. Bertoni nella sua prima edizione rinuncia a ricostruire il verso. 36 qe·il. Casini propone qu’il; Bertoni, Rambertino Buvalelli stampa queil; Bertoni, I Trovatori, Melli e Capusso condividono la lezione que·il. In particolare, per Capusso, Rambertino Buvalelli, p. 32 «L’espansione que·il [è] motivata metricamente»; si ritiene qe·il intervento più economico dal punto di vista paleografico, e necessario per ragioni non metriche ma morfologiche. 42-43. Le integrazioni lai vas Est e a na Biatriz, proposte da Casini e accolte in Bertoni, Rambertino Buvalelli, e Melli, sono, sebbene plausibili, assai ardite; si preferisce non emendare in passo, come Bertoni, I Trovatori, e Capusso. 44 Mon Restaurs. Melli stampa con iniziali minuscole, non interpretando la iunctura come senhal, al contrario degli altri editori, ma si tratterebbe dell’unico caso all’interno del corpus del trovatore. Si è corretto l’errore flessionale, secondo l’usus del trovatore, per cui si veda S’a Mon Restaur pogues plazer (BdT 281.8), vv. 21 e 31 (ma cfr. Albert Stimming, rec. a Bertoni, Rambertino Buvalelli, Zeitschrift für romanische Philologie, 34, 1910, pp. 224-228, a p. 226). – no·m pot esperdre. Il manoscritto presenta la lezione no·m pot perdre: il verso è dunque ipometro. Si accoglie l’emendatio di Casini e Capusso; Melli propone invece no mi pot perdre (sulla scorta di Bertoni, no me pot perdre). 47. Le integrazioni proposte per la lacuna sono plus bella (Casini, Bertoni e Melli) e plus valen (Capusso). [LG] |