Note al testo

 

1 Giocando sulla ripetizione ossessiva di nou nella cobla I e di novel nella cobla II, Raimbaut afferma la novità del suo trobar in relazione ad un radicale rinnovamento interiore. Il tema del renovelar, centrale in Raimbaut (si veda in particolare Aissi mou), è già in Guglielmo IX, Molt jauzens mi prenc en amar, Pasero 1973, 213, vv. 31-36, dove dipende dai poteri “magici”, estranianti di midons: Pus hom gensor no·n pot trobar, / ni huelhs vezer, ni boca dir, / a mos obs la vueill retenir, / per lo cor dedins refrescar / e per la carn renovelar, / que no puesca envellezir (“Poiché nessuno può trovare una signora più gentile, né occhi vedere, né bocca dire, la voglio tenere soltanto per me, per rinnovare il cuore nell’intimo e per rinnovare la carne, perché non possa invecchiare”).

4 un nou verset: l’accordo di *a* e *V* con

5 Secondo Pattison “this verse indicates a deliberate attempt at the obscurity of the trobar clus; however, the poem is not particularly difficult”. Più semplicemente, e più direttamente, Raimbaut si rivolge alla cerchia ristretta dei fis amans, degli eletti in grado di entendre il discorso d’amore e, attraverso questo, di rinnovarsi.

7 Pattison legge con *AN* qu’us vieills en deu renovellar (“for an old man should be renewed by them”). La lezione di *AN* sembra una glossa correttiva a com (= qu’om) viels di *DIKMN2* e *a*, a sua volta lettura facilior di com (= qu’om) miels di *CR* e *V* (ma si tenga presente quomielhs di *C*): viels e miels sono paleograficamente interscambiabili, ma viels ‘vecchio, old man’ è appunto, nel contesto, facilior e può essersi prodotto in ossimoro in rapporto a nou, parola-chiave della cobla, e a renovelar, in chiusura di verso (e si vedano le antitesi novel/vielh al v. 9 e - memoria poetica - renovelar/envellezir ai vv. 35-36 del passo di Guglielmo IX citato in nota al v. 1. Il senso complessivo della cobla è decisivo: il rinnovamento interiore (vv. 1-3), che procederà nella cobla seguente in parallelo con il rinnovarsi della stagione, induce il poeta ad un nou trobar (v. 4). Chi è in grado di entendre i nous motz (il nuovo discorso d’amore) potrà rinnovarsi a sua volta, e il suo rinnovamento si perfezionerà proprio grazie ai nous motz (vv. 5-7): Raimbaut si propone ancora una volta come maestro d’amore (e si veda la parodia dell’ensenhamen in Assatz sai d’amor ben parlar). Tornando al v. 7, sembra necessario reintegrare la lezione di *CR* e di *V*: qu’om miels s’en deu renovelar (“perché uno per esse - le nuove parole - meglio si rinnova”). Ma quomielhs di *C*, rispetto a com miels di *R* e di *V*, consente di congetturare que miels, che meglio valorizza lo snodo sintattico tra i vv. 5-6 e 7.

10 Pattison: “franc seems to modify ardimen. This makes v. 9 parenthetical. The variety of ms. readings here makes a choise difficult”. In realtà la soluzione è molto più semplice e prevede solo l’integrazione di una -s flessionale alla lezione di *AN* e di *a* franc[s] de novel; è il soggetto (eu) che rinnova la propria capacitè propositiva (vv. 8-9) e torna ad essere francs ‘libero’. Il forte disagio della restante tradizione manoscritta (*ANa* franc[s] de novel ab ] *CR* y franh de novelh, *DIKMN2* farai de novel, *V* faz de novell ab), che ripete esattamente il disagio del verso precedente, autorizza il piccolo intervento correttorio.

11 Con un vocativo improvviso e patetico ed un inusuale cambio di soggetto (dal singolare al plurale), che spezzano il ritmo, Pattison legge e chantem (“and let us sing”), sostenuto in apparenza dalla maggior parte dei testimoni: e/er cantem al/ab *CR* (ma e quant em *C*), *DIKN2*, *V*, *a*. La lezione di *C* è illuminante: gli altri sette testimoni presentano in realtà e/er cant-em (“e/ora quando siamo”), e la trivializzazione spiega la successiva incertezza al/ab. Si impone il ricorso all’unitestimoniale - e difficilior - en chantan (“mentre canto”) di *M*, che si allontana nell’occasione da *DIKN2* ed è invece sostenuto da e chante *A* e da e chant *N*: si tratta di un gerundio in funzione avverbiale (al posto di una subordinata che indichi simultaneità) introdotto dalla preposizione en, secondo una costruzione diffusa in tutta l’area gallo-romanza (Jensen 1986, 251) che per la sua particolarità può aver tratto in inganno copisti di area diversa. Decisiva è la congruenza sintattica e tematica: il soggetto rinnova la propria capacità propositiva (vv. 8-9) ed è francs de novel (v. 10) mentre canta alla natura che a sua volta si rinnova (v. 11). L’euforia primaverile, che coinvolge il soggetto che canta, si allinea al doppio rinnovamento (nou cor e nou trobar) affermato nella cobla d’esordio.

12-14 Un complesso snodo sintattico coinvolge i tre versi finali della cobla II, condizionando la tradizione in modo non appariscente ma sostanziale. Queste le testimonianze, con la sola esclusione delle varianti grafiche ininfluenti ai fini della ricostruzione del testo:

*AN* qe·l novels (*N* novel) fruitz nais e dissen (*N* nas e desen)

e·l novels critz en eis s’enpren

e·ill auzeill intron en amar.

*CR* que·ls (*R* que·lh) novelhs fuelhs (*R* fuelh) naysson desen

lo novelh crit el (*R* on) joy s’empren

e·ls auzels qu’intran en amar.

*DIKMN2* que fan l’auzel (*IK* lauzer) mais (*IKN2* mas) don dissen (*D* dasen,

[*IKN2* deissen)

lo (*M* los) novels critz don jois (*DM* joi) s’enpren (*D* sespen, *M* sespren)

dels auzels qu’intran (*M* qis tan) en amar.

*V* que·ls fueils novels dei naisson desen

e·l novels critz de joy s’enpren

dels auzels que tornon amar.

*a* que·l novels foils nais dont deisen

lo novels critz don jois s’empren

dels ausels q’intron en amar.

Pattison ricostruisce il testo in diffrazione, geometricamente emistichio per emistichio, tra *AN* e *CR* con parziali riscontri in *V*, ma ignora *DIKMN2* e soprattutto *a*:

que·l novels fruitz (*AN*) naison desen (*CR* e *V*)

e·l novels critz (*AN* e *V*) on Jois s’empren (*R*)

e·ill auzeill intron en amar (*AN*).

(“…for there are brought forth swiftly the new fruit and the new cries in which joy is kindled, and the birds begin to love”). Nessun dubbio che i tre versi si siano diffratti per complicazioni sintattiche in segmenti più o meno estesi, ma certo per ricostruire il testo è necessario interrogare tutti i testimoni, nessuno escluso. A cominciare da *a*, sottovalutato da Pattison, che presenta una lezione corretta grammaticalmente e sintatticamente difficilior, coerente sul piano stilistico con il nou trobar di Raimbaut: nais dont deisen “nasce da dove scende” è la chiave dei vv. 12-13, con dont <DE-UNDE, soluzione appunto difficilior che mette in crisi gli altri testimoni (nais dont > mais/mas don *DIKMN2*, nais/nas e *AN*, nais-<d>on = naison/naisson *CR* e *V*). Pattison si affida all’atto finale del processo degenerativo, il plurale naison di *CR* e *V*, che lo costringe a isolare desen dall’oscillazione deisen/deissen/dissen (terza persona singolare del presente indicativo di deisendre/deissendre/dissendre < DESCENDĔRE), reinterpretandolo come avverbio di tempo < DE-EX-SEMPER ‘subito, all’improvviso’: naison desen “nascono all’improvviso”. Ma che desen faccia parte dell’oscillazione (da desendre) lo dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio *N* nas e desen (con nais e dissen di *A*). Al v. 13, lo novels critz on jois s’empren, la lezione di *R* on joi è sostenuta in modo decisivo da *DIKMN2* e *a*don jois (*DM* joi): don per on si trova in tutti i manoscritti che hanno protetto correttamente don al v. 12; facile a distanza di un verso il ripetersi di don, che si è sovrapposto all’analogo on < UNDE ‘dove’. Quanto al v. 14, strettamente legato ai due che precedono, la scelta obbligata è per dels auzels qu’intron di *DIKMN2*, *V*, *a*: un’ulteriore conferma è data da *CR* els auzels qu’intran (dels > <d>els), che potrebbe anche spiegare la lezione di *AN* come risultato finale di un processo di normalizzazione grammaticale e di semplificazione sintattica, e·ill auzeill intron, che ha già condizionato i due manoscritti affini ai vv. 12 e 13.

15 I testimoni si raggruppano anche in questa occasione secondo le consuete linee di tendenza:

*AN* [D]omn’am (*A* Dompna) que me fai (*A* mi faitz) alegrar

*CR* Doncs amors me fai alegrar

*DIKMN2* Don aman mi fan alegrar

*V* Domna mais me faitz alegrar

*a* Don amars mi fai alegrar

Pattison si affida alla solitaria testimonianza di *N* che conserva la parola-chiave, il verbo amar in questa III cobla: *A*se ne allontana per la probabile caduta del titulus, dompna(m) > dompna, che cancella proprio la parola-chiave. Milone 1993, Domna am que·m fai alegrar: pensavo che il panico consueto dei copisti di fronte ad una dialefe (Domna/am) avesse condizionato l’intera tradizione. Riesaminando il comportamento complessivo dei testimoni, mi sono invece convinto che la soluzione sia ancora una volta in *a* Don amars, con amars infinito sostantivato che agisce da elemento perturbatore, difficilior, responsabile di soluzioni alternative via via faciliores. L’ipotesi è confermata in primo luogo da *CR* Doncs amors, con amors, parola-chiave della cobla successiva, facilior rispetto ad amars; e poi da *DIKMN2* don aman e da *V* domna mais, tutte soluzioni paleograficamente vicine alla lezione di *a*. Se questa ricostruzione è corretta, la lettura proposta non può che essere Doncs amars me fai alegrar, mentre le testimonianze più lontane e sospette sono proprio quelle di *AN*.

16 que am si: que dialefico (si veda Perugi 1978, I, 5 ss.) felicemente conservato da *DIKMN2* e confermato dalla varietà dei riempitivi utilizzati dagli altri testimoni: *V* e *a* qu’eu am si, *A* e·us am plus e *N* que·os am mels, *CR* qu’ieu n’ay pus. Pattison propone qu’ieu am plus.

20 qu’al mielhs d’amar: Pattison si affida ad *AN*, che a suo parere rappresentano the best text, c’ad ops d’amar (*N* qu’a obs). Gli altri testimoni sono sostanzialmente concordi fra loro. L’unico argomento a favore di *AN* potrebbe essere il confronto con Bernart de Ventadorn, Can l’erba fresch’e·lh folha par, Appel 1915, 219, vv. 23-24: c’anc no vi cors melhs talhatz ni depens / ad ops d’amar sia tan greus ni lens (“perché non ho mai visto un corpo meglio scolpito o dipinto che sia così pesante e lento in materia d’amore”).

21 Pattison amors quan nos con *AN* e *CR*.

22-24 Secondo Pattison la IV cobla presenta le maggiori difficoltà testuali, al punto che si dichiara costretto ad abbandonare la sua base *A* per dare un senso accettabile al passo: D’Amor mi dei ieu ben lauzar / mais c’ad Amor guizerdonar / non puosc, qu’Amors m’a si·m ten car (“I should indeed be satisfied with Love since I can give no reward to Love and Love keeps me and holds me dear”). La soluzione proposta è tuttavia insoddisfacente. Se riesaminiamo l’intera tradizione per i vv. 23-24 (sul v. 22 tutti i testimoni concordano), la situazione si presenta in questi termini:

*AN* mieills (*N* mels) c’ad amor guizerdonar (*N* gazerdonar)

non puos (*N* pos) q’amors mi ten si car (*N* m’a sin ten car)

*CR* pus ad amor (*R* pus ca<a>dzamors, con la seconda a espunta) guazardonar

non puesc amor (*R* puscamor) mais si·m ten car

*DIKMN2 mais/mas c’az amor (*D* mais c’amor) gazardonar (*D* guiardonar,

[*IKN2* guizardonar)

non puosc/puesc c’amors m’a e·m ten car (*M* m’a en conten)

*V* mas ques amor gazardonar

no pusc c’amor me ten si car

*a* mais q’as amor guizardonar

nim (su num) posc q’amors m’a si·m ten car

Per il v. 23 la soluzione mas que Amor gazardonar con que dialefico, è implicita nell’ipometria di *D* mais c’amor e nell’escamotage di *V* mas ques amor: gazardonar/guizardonar è transitivo e la preposizione (ad/az/as) rappresenta il solito riempitivo incongruo escogitato dalla tradizione manoscritta che, non riconoscendo la dialefe, si difende così dalla presunta ipometria. Per il v. 24 la soluzione è celata nella parte centrale del verso, tra la terza e la quinta sillaba; la forte oscillazione dei testimoni in quinta sillaba dimostra ancora una volta l’imbarazzo causato da una presunta ipometria nelle sillabe che precedono: non puesc[a], Amor, si·m ten car, con dialefe tra puesca, congiuntivo sintatticamente auspicabile, e Amor. Mentre le tre sillabe finali si presentano relativamente compatte (si·m ten car *CNRa*, ma anche e·m ten car *DIKN2* e ten si car *AV*, con l’unica eccezione di *M* en conten), in quinta posizione si alternano mi/me *AV, mais *CR* e soprattutto m’a *DIKMN2*, *N*, *a*, che - come vedremo è stato letteralmente strappato al v. 25. Ancora una volta in definitiva l’editore deve fare i conti con l’incapacità dei copisti di gestire una semplice dialefe.

25 Qui il problema è in principio di verso, nelle prime tre sillabe. Pattison legge da·t Amors “Amore ti dà”, con un improbabile pronome di seconda persona singolare in enclisi: è la lezione, interpretazione di Pattison a parte, di *DIKN2*, *V* (dat amor) e *a*. In nota suggerisce la possibilità di emendare dat in da·m, o di ricostruire dat m’a ’mors “dove m’a e amors siano combinati in modo tale da mantenere intatto il ritmo ottosillabico del verso”. Quest’ultima - in diffrazione - è la soluzione corretta: dat m’a Amors, con sinalefe tra a e Amors. A parte *M* e gardat e *N* d’amar (-1), tra gli altri testimoni *A* e *CR* conservano dat m’a, ma perdono l’ineliminabile parola-chiave Amors compensando l’ipometria con l’integrazione di que in prima posizione (que dat m’a); *DIKN2*, *V*, *a* conservano Amors, ma hanno perso m’a (dat Amors) che è stato assorbito, come si è visto, dal verso precedente come barriera anti-dialefe: non a caso m’a è omesso da tutti i manoscritti con l’esclusione di *N*) che l’hanno spostato al v. 24, compreso *M* che costruisce la sua lezione eccentrica attorno a dat > e gardat, e con in più *V*che al v. 24 presenta una lezione affine ad *A* me ten si car.

31 ss. Galante, complice e come al solito un po’ irriverente, Raimbaut coinvolge nel motivo del riso Dio e una iperbolica schiera di quattrocento angeli, da confrontare, per il gap, con le cinquecento allieve d’amore in Assatz m’es bel, Pattison 1952, 121 (XVII), cobla IV, vv 22-28 (utilizzo lo schema con rime interne, Frank 842a, nota: a4 a8 b4 b8 c8 d4 d8 c8 e4 e8 c8): Don d’amar dic qu’am si ses tric / lieys qu’amar deg, que·lh miels adreg, / s’eron cert cum l’am finamens, / n’irion sai preguar hueymai / que·ls essenhes cum aprendens / de ben amar, e neus preguar / m’en venrian dompnas cinc cens (“E dico di amare, perché amo così senza inganno colei che devo amare, che i più esperti, se sapessero come l’amo perfettamente, verrebbero subito qui a pregarmi di insegnare loro come allievi l’arte di amare, e a pregarmi verrebbero perfino cinquecento signore”).

32 Pattison: que ris de Dieu m’es vis, so·m par (“che mi sembra essere il riso di Dio, così appare a me”). E in nota: “La maggior parte dei mss. porta la lezione che ho adottato, con la maldestra ripetizione m’es vis, so·m par, stilisticamente non così buona come quelle di *CR* o *AN*. Ma il copista della fonte di *CR* aveva la tendenza a smorzare tutte le difficoltà, per cui credo che qui si sia allontanato dall’originale nel tentativo di migliorarlo. D’altra parte, apparentemente *AN* non danno senso”. Non è fuori luogo la cautela nei confronti di *CR* (veramente più di *C* che di *R*), ma la soluzione proposta da Pattison è nel complesso inadeguata: la lezione che adotta è in *DIKMN2*, cinque manoscritti che contano per uno; e poi è la lezione che dimostra con maggiore evidenza, proprio con la “maldestra ripetizione”, la genesi dell’errore che accomuna tutti i testimoni, i quali ignorano, per dirla con Perugi 1978, I, 189 e ss., la possibile diereticità, bisillabicità di Dieu. A parte la fonte di *AN* che risolve il problema con una sorta di censura religiosa, eliminando l’irriverente confronto tra il riso della domna e il riso di Dio (que de negun ris non a par), tutti i manoscritti aggiungono più o meno a proposito un monosillabo, per sanare la solita inesistente ipometria: *CR* que [belh] ris m’es de dieu so·m par, *DIKMN2*que ris de dieu (*I* ris dieu) m’es [vis] so·m par, *V* que [ves] ris de deu m’es so·m par, mentre *a* va in confusione, qe si es ris desd ui m’es so·m par.

33 Finalmente Pattison può tornare al prediletto (ma infido …) *A*, con *N* in perfetto allineamento: e si·m ten sos ris plus gauzen (“e così mi tiene più in gioia il suo riso”). La lezione di *AN* è del tutto indifferente rispetto alle lezioni di *CR* e·l (*R* e·lh) sieu belh ris fa·m plus (*R* pus) iauzen (*C* iauzens), *DIKMN2* e *a* don me fai (*a* fa) sos (*D* son) ris plus iauzen, *V* et adoncs m’es son ris plus gen. Ma la presenza dello stesso riempitivo belh usato al v. 32 e la possibile diereticità di sieu, mi fanno preferire la proposta di *CR*, senza belh e con sieu bisillabico.

40-42 Il gaug ottenuto sai (v. 40) e enteiramen (v. 41), indica l’appagamento del desiderio: la straordinaria coincidenza di sai e lai, del luogo della presenza fisica del soggetto con il luogo delle emozioni, del desiderio, della distanza. Si veda Pos trobars plans, nota al v. 17. Non a caso gaug entier chiude sintomaticamente il gap envers della castrazione, Lonc temps ai estat cubertz, v. 50.

42 Pattison legge con *AN* de (*N* ab) midonz que ben lo·m pot (*N* poc) dar. Gli altri testimoni danno una lezione sostanzialmente omogenea con due incertezze, ab, a / la in principio di verso e tot / tost in settima posizione: inevitabile la scelta di ab (ab midons), mentre tost è più convincente di tot che sembra facilior in quanto ripetizione dell’entieramen del v. 41 (que·l mi pot tost dar).

48-49 Ancora una volta Pattison resta fedele ad *A* (*N* tace dal v. 43 alla fine) c’ades mi·us veig inz dompna estar / vostre bel nou cors covinen (“for right now I see your beautiful fresh, becoming person within me”). Intanto mi·us, presente anche in *a*, sarà da leggere mius, aggettivo possessivo come mieus di *M* (tutti gli altri testimoni danno mi < MIHI). Quanto a inz, assente in *CR* e *a*, è presente nella stessa posizione di *A* in *V* ed è posposto a domna negli altri manoscritti (*D* dom ui(n)s, *IKN2* domnis, *M* domni(n)s): la sua mobilità è sospetta e fa pensare al solito riempitivo. La soluzione è suggerita da *CR* che isolano il vocativo domna in dialefe con estar e confermata da *a* che ignora la dialefe e compensa l’ipometria con la ripetizione di mi: mi veg mi donastar. Al v. 49 covinen *A*, *DIKN2*, *V* e *a* va sicuramente privilegiato su e plazen *M* e avinen *CR*. L’intera espressione mi estar covinen significa ‘essere a me conveniente, adatto, adeguato’: “essere proprio mia, fatta per me, la vostra bella nuova persona”.