Premessa all’edizione in linea della tenzone

fra Ricau de Tarascon e Gui de Cavaillon (422.2 = 105.1)

 

 

 

 

Riproduco senza variazioni il testo da me edito nella Miscellanea di studi in onore di Aurelio Roncaglia a cinquant’anni dalla sua laurea, Modena 1989, pp. 637-661: «La tenzone fra Ricau de Tarascon e “Cabrit”».

Benché tre dei cinque codici relatori indichino nella rubrica come interlocutori Ricautz de Tarascon e·n Guis de Cavaillon e sebbene a tale dato fosse stata concessa positiva accoglienza da Stanisław Stroński («Notes sur quelques troubadours et protecteurs des troubadours», Revue des langues romanes, 50, 1907, p. 28) in considerazione del fatto che nelle didascalie delle sillogi medievali il cambiamento dell’onomastica presente nelle cobbole trascritte si registra solo quando i compilatori disponevano di valide e per loro sicure informazioni, Adolf Kolsen, primo editore della tenzone (Dichtungen der Trobadors, Halle 1916-1919, pp. 209-210), e Pillet e Carstens (BdT, p. 97) hanno preferito attribuire il dialogo in versi a Ricau de Tarascon e a «Cabrit». L’ipotesi però che il pittoresco nomignolo si riferisca proprio a Gui de Cavaillon e che tra questi e Ricau de Tarascon si sia in realtà sviluppato un fecondo rapporto umano e letterario è stata risolutivamente avvalorata dal lacerto di canzoniere provenzale rinvenuto venti anni fa da Giuliano Gasca Queirazza a Torino (ms. To), contenente il sirventese composto contro Guillem del Bautz dal signore-trovatore di Cavaillon e terminante con una tornada (di sospettata, ma prima non comprovata esistenza) indirizzata ad un «Cabrit de Tarascon» nel quale appare lecito ravvisare Ricau, investito come segno di stima e benevolenza dello stesso simpatico appellativo in precedenza conferito dal trovatore di condizione sociale meno elevata al cultore d’arte melica più autorevole e altolocato.

Mentre rimando per una più dettagliata discussione dell’identità dei protagonisti della tenzone al lavoro citato in apertura, avverto, nel fornire il testo critico (privo di apparato e di rappresentazione stemmatica) da me stabilito, che la varia lectio consegnata dai testimoni non pone grossi dilemmi restitutivi e lascia senza troppe difficoltà intravedere delle linee di discendenza comune per DEIK di contro a C.

Per una corretta datazione della scherzosa contentio è indispensabile dare una giusta fisionomia storica ai personaggi evocati dai due tenzonanti. Non c’è dubbio che il Pons de Capduell chiamato lepidamente in causa da Gui de Cavaillon alla fine del suo intervento sia da identificare con l’omonimo rinomato signore-trovatore costretto all’esilio dalla sua terra intorno alla metà della seconda decade del Duecento ed errabondo «per Proensa» fino alla partenza come crociato, verso il 1220, per i luoghi santi dove, secondo la tradizione, sarebbe morto (si avrebbe così un primo provvisorio terminus ante quem). Nel canzoniere di Pons un posto centrale risulta occupato da una nobildonna di nome Audiart che appare fondato supporre sia la stessa celebrata in tante altre poesie di trovatori attivi nella Provenza dei primi decenni del secolo XIII: da Aimeric de Belenoi nella canzone Aissi cum hom (9.4), da Peire Bremon Ricas Novas in Rics pretz (330.15a) e in Pois lo bels temps (330.12), da Blacatz nel partimen con Bernart (97.12), nel ‘vanto’ Ben aja ieu (364.12) attribuito a Peire Vidal (ma quasi certamente non suo). Nella signora omaggiata da così numerosi e illustri trovatori è stata da tempo riconosciuta la moglie di Bertrando del Balzo, figlia di Mabilia di Ponteves e di Giraldo Ademaro di Monteil, una delle figure femminili più ragguardevoli della Provenza degli inizi del Duecento; del tutto normale sembra assimilare a lei la «donna Eudiarda» invocata come giudice della disputa da Ricau de Tarascon nel v. 49. Il terzo riferimento a persona sensibile e capace d’apprezzare l’abilità nel ‘gioco’ poetico si trova all’inizio della replica di Gui de Cavaillon, nel v. 15, ove è fatto appello a «na Peironella». L’ammiccamento è da considerare molto probabilmente indirizzato a Petronilla, figlia unica di Bernardo conte di Comminges e di Stefania contessa di Bigorra, ereditiera di uno dei casati più importanti nello scenario politico-feudale del tempo, andata in sposa nel 1196 a Gastone VI, visconte del Béarn, ma rimasta vedova nel 1214 e convolata a nuove nozze dopo pochi mesi con Nuño-Sánchez, conte di Cerdagna, figlio di Sancho «comes Provincie et procurator Catalonie». Il secondo matrimonio fu però di breve durata perché sciolto dalla Chiesa col pretesto ufficiale di un legame di parentela (di quarto grado) fra i contraenti, ma in realtà per le pressioni e le minacce di Simone di Montfort che intendeva imporre (e alla fine ci riuscì) a Petronilla una nuova unione con suo figlio Guido. Negli anni 1215-1216 Petronilla fu per abbastanza lunghi periodi a fianco del suo fresco sposo Nuño-Sánchez al quale, dopo il disastro di Muret ed i conseguenti gravosi impegni in Aragona del padre Sancho, erano stati confidati gli affari politico-amministrativi della Provenza. È da ammettere che proprio in quel torno di tempo Petronilla, moglie del ‘governatore’, abbia attirato su di sé le attenzioni e le lusinghe degli animatori delle riunioni mondano-letterarie che solevano tenersi ora alla corte di Aix ora nei castelli dei feudatari della zona e sia stata sollecitata con una discreta quanto sottile captatio benevolentiae a prendere parte alla ‘festa dell’intelletto’ destinata a distrarre dalle gravi preoccupazioni incombenti fuori dell’aula una consorteria desiderosa di mantenere vive le gioiose e brillanti manifestazioni della civiltà meridionale.

 

Saverio Guida         

13.iii.2003         


Rialto