Premessa all’edizione in linea della tenzone

fra Ricau de Tarascon e Gui de Cavaillon (422.2 = 105.1)

 

 

 

 

Sono passati venti anni da quando, in un lavoro in onore di Aurelio Roncaglia («La tenzone fra Ricau de Tarascon e ‘Cabrit’», in Cultura Neolatina, 47, 1987, pp.197-221), ho affrontato i problemi di natura ecdotica, storica, letteraria, attributiva, connessi alla tenzone fra Ricau de Tarascon e Cabrit. Ma è, notoriamente, abitudine tipica e consolidata degli studiosi tornare più o meno direttamente nel campo di ricerca già battuto, armarsi di nuovi strumenti per rivisitare con occhio più vigile e scaltrito i loci critici su cui in tempi andati ha avuto più intenso modo d’esercitarsi la loro applicazione, interrogare, collazionare, verificare con accresciuta energia e con spirito disteso gli elementi in passato riluttanti a iscriversi nel quadro d’assieme delineato, non darsi per vinti ed anzi votarsi con più agguerrita esperienza a quel «combat pour la vérité» che costituisce la molla d’ogni seria e appassionata intrapresa euristica.

Personalmente roso dal verme del dubbio, ho voluto a distanza di quattro lustri dal primo approccio sottoporre a nuova riflessione lo scambio di cobbole a noi pervenuto, riconsiderare le asperità con cui avevo avuto occasione di misurarmi – senza pregiudiziali, oltranzistiche e improduttive difese delle posizioni in precedenza assunte –, mettere per un’ennesima volta «en relation l’intérieur et l’extérieur du texte».

Confortato dall’approvazione accordata al testo critico stabilito e alle proposte di collocazione cronotopica della scherzosa contentio (per le quali, oltre che per il tentativo di restituire una corretta fisionomia storica ai personaggi evocati dai due tenzonanti, rinvio al saggio sopra citato), ho ritenuto giusto concentrare nuovamente le forze sul problema delle personae, dell’identità cioè dei protagonisti del dialogo in versi, riaprendo il dossier di appunti già raccolti e procedendo ad un ulteriore scavo nelle «riserve» di informazioni documentarie sopravanzate.

Nell’arco degli ultimi due secoli una folta schiera di romanisti, comprendente tra gli altri T. B. Eméric – David, P. Meyer, L.  Selbach, S. Stronski, C. Fabre, A. Kolsen, C. Appel, D.J. Jones, M. de Riquer, D. Rieger, A. Brusoni, P. T. Ricketts, si è pronunziata a favore d’un’omologazione tra l’oscuro Cabrit ed il rinomato signore-trovatore Gui de Cavaillon. A spingere per l’agguagliamento sono state soprattutto la didascalia presente in tre dei cinque mss. relatori della tenzone: Ricautz de Tarascon e.n Guis de Cavaillon (DIK) – giudicata in particolar modo importante perché nelle rubriche attributive delle sillogi medievali il cambiamento dell’onomastica ricorrente nel testo esemplato capita solo allorché i compilatori disponevano  di valide imbeccate – e la constatazione che nel testimone C la disputa in versi, preceduta dalla neutra indicazione Tenso d’en Cabrit e d’eu Ricau, si trova immediatamente prima di altri pezzi dialogati da ascrivere in parte allo stesso Gui de Cavaillon, designato, significativamente, non con le sue autentiche e normali marche denominative, ma con i confidenziali appellativi di Guionet e Esperdut.  L’ipotesi d’un sodalizio letterario fra Ricau e Gui è parsa verosimile anche in considerazione del fatto che il secondo individuo si lascia affigurare attraverso i reperti rimici conservati come cultore/specialista di débats in versi e che tanto nella pratica letteraria quanto nella ‘scena’ della corte, locum fictionis per eccellenza, i trovatori, e talora i loro munifici protettori, erano soliti scambiarsi dei nomignoli, degli pseudomini, segnali, per l’esterno, di una paria, d’un rapporto d’intesa e di collaborazione instauratosi all’interno d’una Zielgruppe desiderosa di intrattenimenti leggeri, di ‘giochi’ poetici suscettibili di procurare iocunditatem. Non si è rivelata ostativa la circostanza «qu’un partenaire de la tenson est appelé par son nom et l’autre par un pseudonyme» (Stroński), giacché casi simili s’incontrano tutt’altro  che raramente (e basti richiamare almeno l’esempio più famoso, quello offerto da Giraut de Bornelh e Linhaure = Raimbaut d’Aurenga) nel variegato ecumene lirico in lingua d’oc. Da poco si è inoltre aggiunto il fortunato rinvenimento a Torino d’un lacerto pergamenaceo di canzoniere provenzale contenente il sirventese composto da Gui de Cavaillon contro Guillem del Bautz, provvisto di quella tornada la cui esistenza era stata sospettata, ma in realtà mancante negli altri superstiti relatori del testo. Nell’ultimamente recuperata deposizione manoscritta i quattro versi finali risultano indirizzati ad un Cabrit de Tarascon nel quale è riuscito spontaneo ravvisare Ricau de Tarascon supponendo da parte del signore-trovatore cavaillonese l’adozione per il destinatario di un identico senhal in regime di reciprocità e in segno d’accettazione del campagnonaggio poetico.  

L’unico ad aver avanzato forti riserve sull’ormai tradizionale e corrente assimilazione Cabrit-Gui de Cavaillon è stato M. Aurell, per il quale l’interlocutore di Ricau sarebbe da identificare con un esponente del patriziato urbano di Arles, proprietario di qualche appezzamento di terra nei pressi di Tarascon, documentalmente attestato nell’agosto del 1203 e con tutta probabilità morto prima del 1225 (La vielle et l’épée. Troubadours et politique eu Provence au XIIIe siècle, Paris 1989, p. 76).

Mi è parso opportuno verificare la percorribilità della pista indicata e rovistare tra la merce invenduta del passato proveniente dalla bassa valle del Rodano, alla ricerca di altre eventuali vestigia confermative o oppugnative. Ho così scoperto che, oltre a comparire come testimone nel rogito notarile – segnalato da Aurell – del 1203, steso ad Arles nella dimora di Bertran Porcelet, un uomo senza altra specificazione onomastica se non quella brachilogica di Cabritus ricoprì la funzione di console ad Arles nel 1209 (il documento che interessa può leggersi nell’edizione del Cartulaire de Trinquetaille curata da P.-A. Amargier, Aix-en-Provence 1972, pp.256-7). Ulteriori, più precisi contorni umani è poi possibile delineare sovrapponendo e assimilando al personaggio investito nelle fonti documentarie della semplice e sola denominazione Cabritus la figura di un coetaneo e conterraneo individuo provvisto negli atti pubblici e privati rimasti di ampi e completi distintivi onomastici e che già di primo acchito mostra di possedere numeri sufficienti per una parificazione.

Un Guillelmus Aldebertus Cabritus risulta essere stato console di Arles nel 1197 (Archives Départementales des Bouches-du-Rhône, Liber aureus, 3G4, n.329 e P.-A. Amargier, Cartulaire de Trinquetaille, pp.139-140) ed aver presenziato alla pubblicazione del testamento di Rostanh Porcelet nel 1186 e alla donazione nel 1198 dei proventi che fruttava il «Boscus Malus» alla sede arlesiana dell’Ordine del Tempio da parte di Sacrestana Porcelet. Di non poco conto sono i tratti corrispondenti tra i due personaggi, Cabrit e Guillem Aldebert Cabrit: uguale il teatro d’azione, addizionabili, accomunabili e iscrivibili entro un medesimo, unitario, arco temporale i termini del loro decorso esistenziale, identica la vocazione a svolgere attività politica all’interno del comune di Arles e perfettamente conformi gli incarichi amministrativi ricoperti, analoghi e indistinti sull’asse sia orizzontale che verticale i punti di gravitazione gerarchica, dinastica, economica, partitica, condiviso e perseverante l’attaccamento personale ai vari componenti della famiglia Porcelet. Appare ammissibile che Guillem Aldebert Cabrit fosse nell’uso quotidiano (ripreso e seguito da numerosi estensori di scritture ufficiali pervenute) sinteticamente eppure inconfondibilmente designato col denominativo Cabrit e che i due appellativi incontrati nelle fonti documentarie si riferiscano in realtà ad una sola, identica, persona. E non è per niente azzardato supporre che Ricau de Tarascon abbia pensato di sollecitare e coinvolgere l’amico fattosi onore nella città del delta, e come lui plausibilmente occasionale praticante dell’arte rimica, in un ‘gioco’ poetico concepito per il divertimento di un pubblico di appassionati di lirica desiderosi di evadere dalle gravi preoccupazioni incombenti appena al di là della scena letterario-teatrale.

Se si tiene poi presente che tanto Cabrit quanto Gui de Cavaillon militavano nella stessa consorteria, che non rare erano nella regione alla foce del Rodano le occasioni di incontro fra gli uomini più in vista e più impegnati nell’arginare e nel contrastare le ambizioni soggiogatrici dei baroni francesi, dei loro fiancheggiatori locali e del clero, l’invio del sirventese Seignieiras e cavals armatz allo stretto e autorevole collaboratore dei Porcelet si configura lineare e acquista il valore da un lato di un’ulteriore provocazione nei confronti di Guillem del Bautz con la chiamata in causa d’un‘satellite’ del clan nemico, dall’altro d’un ammiccamento ai potenti dominatori del Borgo Vecchio di Arles e d’una ricerca del loro plauso per l’invettiva contro il signore del Borgo Nuovo. A ciò si aggiunge il fatto che Cabrit, più volte console nella città del delta e beneficiario d’un largo consenso tra gli abitanti del capoluogo provenzale, aveva tutti i numeri per apparire al fine e navigato politico di Cavaillon come la persona più adatta tra i meliores urbis a svolgere opera di convincimento a favore dello schieramento filotolosano, di ricucitura degli strappi prodottisi tra la cittadinanza nei cruciali anni 1216-17, e, in ogni caso, di discredito, distanziamento, isolamento del sempre pericoloso mieg prince del Bautz. Ad un testo così impegnato e ad un contesto tanto lacerato e tribolato non s’addicevano i toni comici e giocosi, mal si prestava l’esibizione finale d’un nomignolo scherzevole; più congruo perciò scorgere nel destinatario del sirventese di Gui de Cavaillon non un individuo investito di contrassegni onomastici farseschi e ridanciani, bensì un uomo provvisto dei suoi regolari e usuali attributi denominativi. Non crea  d’altronde problemi la specificazione toponomastica, de Tarascon, che nella cobbola finale del componimento segue il nome Cabrit: come apoditticamente attesta Guilhem de l’Olivier nell’ultima delle sue coblas edite da O. Schultz-Gora, correvano nei primi decenni del Duecento appena tres leguas d’Arle entro Tharascon, le due città erano situate sulla medesima sponda del Rodano e gli abitanti delle due finitime località superavano frequentemente coi loro traffici o i loro poderi i limiti amministrativi dei rispettivi comuni, intrattenendo fra loro continui scambi e relazioni personali che spesse volte sfociavano in unioni matrimoniali.

La presenza nella tornada di Seignieiras e cavals armatz, dopo il nome Cabrit, del complemento «de Tarascon» non significa assolutamente che il destinatario risiedesse stabilmente nella città resa famosa da Tartarin invece che ad Arles, ma sta più probabilmente a indicare, secondo la prassi di distinzione personale più diffusa nei secoli XII-XIII, la località da cui egli o la sua famiglia proveniva, o in cui aveva prevalenti interessi economici, o dove conservava la maggior parte dei possedimenti fondiari. E non vuol dire nulla che l’aggiunta geografica discriminatoria e configuratoria manchi nella tenzone registrata nella BdT sotto il numero 422,2: in essa non solo Cabrit ma pure Ricau risultano vicendevolmente e costantemente appellarsi col denominativo semplice, ipersemantizzato, senza alcun’altra designazione toponomastica individualizzante e identificativa.

Riproduco senza variazioni il testo da me edito nel contributo segnalato all’inizio, ribadendo che la varia lectio consegnata dai testimoni non pone grossi dilemmi restitutivi e lascia senza troppe difficoltà intravedere delle linee di discendenza comune per DEIK di contro a C.

 

Saverio Guida         

28.ix.2007         

Vedi la precedente Premessa dell’editore del 13.iii.2003


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