Rialto    IdT

410.1

 

   

Raimon de Tors

 

 

 

 

   

I.

   

Amics Gauselm, si annatz en Toscana,

   

aturatz vos en la ciutat certana

   

dels Florentis, c’om apella Florensa;

   

qar es mantenensa

5  

de veraia valensa,

   

e meilhura e gensa

   

joi e chant e amor,

   

ab francha captenensa

   

e ab nobla ricor

10  

d’onor

   

vera, ses failhensa;

   

per q’ab seinhal de flor

   

secor

   

sos prez, ses temensa,

15  

e sa valen valor.

   

 

   

II.

   

Si lai voles aver en sovinensa

   

los valenz faz c’om sol far en Proensa,

   

d’En Barnabo acaptatz s’amistansa;

   

qar non (l’)a engansa

20  

de valor ni d’onransa.

   

Tan gen lai s’enansa

   

denan los plus valenz,

   

q’en Proensa e en Fransa

   

seria avinentz,

25  

plasentz

   

e larcs, ses duptansa,

   

e pros e conoissenz;

   

qar senz,

   

mesura e bobansa

30  

es sos captenementz.

   

 

   

III.

   

E, si voles annar ab alegransa,

   

lo viage aias en remenbransa

   

qe fes Tedals lo rics, cui Dieus manteinha;

   

qar el mon non reinha

35  

uns a cui mais deveinha

   

qe de tan lueinh vieinha

   

apenre joi e chan.

   

Ben i fo entreseinha

   

de valen cor(s) prezan.

40  

Qe man

   

son cui amors deinha

   

qe tan ric cor non han;

   

jogan

   

sol qe·us en soveinha

45  

n’ires e deportan.

   

 

   

IV.

   

Prec vos qe·us en soveinha

   

e qe·us estei denan,

   

chantan,

   

amors qe·us manteinha

50  

ab joi, solaz e chan;

   

qe dan

   

no crei nus hom preinha

   

pueis d’aquella ora enan.

   

 

   

V.

   

Anblan

55  

roncin qe·us sosteinha

   

aures, bai o ferran,

   

ab tan

   

d’arnes qo·l coveinha,

   

d’En Bernabo prezan.

   

 

   

VI.

60  

Pueis qant aures qe·us coveinha,

   

trazes vostre prez enan.

 

 

Traduzione [gb]

I. Amico Gauselm, se andate in Toscana, fermatevi nella città ben salda dei Fiorentini, che si chiama Firenze; perché è il sostegno del vero valore e migliora e orna ogni gioia, canto e amore, con contegno puro e con nobile abbondanza di vero onore, senza mancanza; per questo sotto l’insegna del fiore presta soccorso ai suoi pregi, senza timore, e al suo valido valore.

II. Se là volete ricordarvi delle valenti azioni che sono solite farsi in Provenza, ottenete l’amicizia di messer Barnabò; perché non ha uguale in valore e in onorevolezza. Tanto nobilmente si innalza là sopra i più validi che in Provenza e in Francia sarebbe aggraziato, piacevole, generoso, valoroso e sapiente, senza dubbio; perché senno, misura e magnificenza sono il suo comportamento.

III. E se volete andare con allegria, ricordatevi del viaggio che fece Tedal il nobile, che Dio custodisca; perché nel mondo non esiste uno a cui più accada che venga da tanto lontano ad apprendere gioia e canto. Davvero la sua insegna fu di valoroso cuore pieno di pregio. Ché vi sono molti ai quali l’amore presta attenzione, ma che non hanno un cuore tanto abbondante; a patto che ve ne ricordiate, andrete scherzoso e divertito.

IV. Vi prego che ve ne ricordiate e che, cantando, vi stia dinnanzi l’amore, il quale vi custodisca nella gioia, nel divertimento e nel canto; perché non credo che nessuno riceva poi danno da quel momento in poi.

V. Da messer Bernabò pieno di pregio avrete un ronzino che vada all’ambio e vi sostenga, baio o grigio, con tanto equipaggiamento quant’è necessario.

VI. Poi quando avrete ciò che vi è necessario fate avanzare il vostro pregio.

 

 

 

Testo: Bastard 1978. – Rialto 29.ii.2020. 


Ms.: M 237r.

Edizioni critiche: Carl August Friedrich Mahn, Gedichte der Troubadours in provenzalischer Sprache, 4 voll., Berlin 1856-1873, vol. II, pp. 10-11; Amos Parducci, «Raimon de Tors. Trovatore marsigliese del sec. XIII», Studj romanzi, 7, 1911, pp. 31-32.

Altre edizioni: Vincenzo de Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931, vol. II, 182-184 (testo Parducci); Francesco Ugolini, La poesia provenzale e l’Italia, Modena 1949, p. 107 (testo Parducci); Antoine de Bastard, «Joi d’Amor à Florence», Mélanges de philologie romane offerts à Charles Camproux, 2 voll., Montpellier 1978, vol. I, pp. 42-43 (ritocca il testo di Parducci); Stefano Resconi, «La lirica trobadorica nella toscana del duecento: canali e forme della diffusione», Carte Romanze, 2, 2014, pp. 282-283 (str. I, II, V; dichiara di trarre il testo da Parducci, ma usa in realtà quello di De Bastard).

Metrica: a10’ a10’ b10’ b5’ b6’ b5’ c6 b6’ c6 c2 b5’ c6 c2 b5’ c6 (Frank 152:1). Sirventese di tre coblas capcaudadas, dove tuttavia a essere ripresa al primo verso della strofa seguente è la rima del penultimo verso della strofa che precede. Sono presenti tre tornadas di 8, 6 e 2 versi; regolari dal punto di vista formale sono solo la prima e la seconda, mentre nella terza entrambi i versi sono ipermetri (il primo di due sillabe, il secondo d’una). Rime: -ana, -ensa, -ansa (a); -ensa, -ansa, -einha (b); -ór, -enz, -an (c). Il modello è sconosciuto, ma Peire Cardenal usa uno schema metrico molto simile (ma non identico) in Un sirventes trametrai per messatge (BdT 335.68). Bastard, «Joi d’Amor», pp. 39-40, segnala un metro simile anche per Joris, cil cui desiratz per amia (BdT 197.1b) e Qui vos dara respieg, Dieus lo maldia (BdT 267.1).

Note: Sirventese composto nella seconda metà degli anni Cinquanta del sec. XIII, circa 1257 (ma si vedano le Circostanze storiche).

1. Gauselm è un giullare, a giudicare dai doni che Raimon gli assicura che riceverà da messer Barnabò (un ronzino, tipico dono fatto ai giullari). La sua identità è ignota (cfr. comunque le Circostanze storiche).

4-11. Firenze è descritta come una città raffinata, gentilizia e dalla vita gaia, senza alcuna mancanza. La situazione riflette un momento di floridezza economica e relativa tranquillità politica, che si ebbe negli anni Cinquanta del sec. XIII. Dante stesso descrive il periodo precedente alla propria nascita in termini positivi (per quanto certo idealizzati). Il quadro si deteriorò lungo il decennio e l’apice della crisi si concretizzò nella sconfitta di Montaperti (1260) dove i guelfi fiorentini, pur occupando posizioni migliori sul campo di battaglia e superiori di numero, vennero sconfitti da un esercito ghibellino capeggiato dai senesi. Al v. 5 è necessario integrare una sillaba.

12. L’emblema di Firenze (seinhal è letteralmente il segnale, l’insegna, l’emblema) è, com’è noto, il giglio (prima bianco in campo rosso, poi dal 1251-1252 invertito), indicato dal trovatore come flor in riferimento al nome della città.

13. secorre significa ‘soccorrere, aiutare’, in altre parole ‘sostenere’. Il soggetto del verbo è sempre Firenze, non il pregio e il valore, come nella traduzione di Bastard, «Joi d’Amor», p. 44.

16. Il senso da attribuire a lai è discusso dagli studiosi: Francesco Torraca, «Sul “Pro Sordello” di Cesare De Lollis», Giornale Dantesco, 6, 1898, p. 441 nota 3, ripreso da Stefano Resconi, «La lirica trobadorica nella Toscana del duecento: canali e forme della diffusione», Carte Romanze, 2, 2014, pp. 283-284, ritiene che lai si riferisca alla generica Toscana nominata al v. 1, non specificamente a Firenze, e che pertanto En Barnabo non sia un fiorentino, bensì genericamente un toscano: tale interpretazione è necessaria, perché i due studiosi vedono nell’En Barnabo Barnabò Malaspina, signore che, come del resto l’intera famiglia, possedeva terre a est (in Toscana) e a ovest (in Liguria) del fiume Magra (e precisamente apparteneva al ramo dello Spino Fiorito d’Olivola, poco a est del Magra, tendenzialmente in Toscana), ma non poteva in nessun modo dirsi fiorentino. A mio giudizio, così come secondo Parducci, «Raimon de Tors», p. 45, De Bartholomaeis, Poesie provenzali, vol. II, p. 182, Bastard, «Joi d’Amor», pp. 32-33, e Gerardo Larghi, Dizionario Biografico dei Trovatori. Tesi di dottorato dell’Università di Messina (XXII ciclo), Università degli Studi di Messina 2009, l’ipotesi di Torraca opera molto d’ingegno filologico, ma è costruita su basi comunicative ben fragili: in effetti, la Toscana è indicata come quadro generale, ma il vero centro informativo del testo è Firenze, che pertanto è il referente unico del discorso; inoltre, dopo che per 14 versi Raimon de Tors ha esaltato la città toscana (e 13 di essi hanno unità di soggetto), è ben difficile che un ascoltatore o un lettore potesse riandare con la memoria a 15 versi prima e collegare il lai alla Toscana, anziché a Firenze. È, quindi, un essenziale principio di coesione testuale che esclude che l’avverbio lai potesse essere ragionevolmente riferito alla Toscana. E tuttavia, restando nel campo delle ipotesi, non è impossibile salvare Barnabò Malaspina assieme a Firenze: giustamente osservava De Bartholomaeis (ibid.) che «qui si tratta di un Fiorentino o almeno uno residente in Firenze», e sappiamo che i Malaspina furono attivi nella politica toscana e fiorentina: se di Barnabò Malaspina si conosce un intervento militare in Garfagnana col sostegno dei lucchesi contro Uberto Pallavicino (1249), un membro coevo della casata, Federico Malaspina (del ramo dello Spino Secco di Villafranca), partecipò alla battaglia di Montaperti; Federico e Barnabò operarono assieme contro il Pallavicino a Piacenza nel 1260. Che i Malaspina avessero rapporti stretti con Firenze, i documenti non lo dicono, ma non lo si può escludere. Per altre ipotesi si vedano le Circostanze storiche.

17. Il valore del verbo provenzale soler, che conferisce all’azione un aspetto durativo con sfumatura frequentativa (cfr. Giosuè Lachin, Il trovatore Elias Cairel, Modena 2004, p. 367; Frede Jensen, Syntaxe de l’ancien occitan, Tübingen 1994, pp. 206-207), non chiarisce se Raimon stia parlando al presente (come nella traduzione) o al passato imperfettivo (da tradurre: ‘erano solite farsi’ o ‘si facevano’).

18. Su En Barnabo si veda la nota al v. 16 e le Circostanze storiche. Al v. 59 la forma del nome è Bernabo, che convive con l’altra nell’uso toscano (Parducci, «Raimon de Tors», p. 46 nota al v. 59; Bastard, «Joi d’Amor», p. 48; Resconi, «La lirica trobadorica», p. 283 nota 36).

19. Il pronome eliso è soppresso in Parducci e conseguentemente in Bastard (che adotta il testo di Parducci con minime modifiche), ma l’intervento non è necessario, in quanto il pronome, riferito a Barnabò, potrebbe essere semplicemente pleonastico o retto da engansa con verbo impersonale (Leandro Biadene, recensione a Parducci, «Raimon de Tors», Rassegna bibliografica della letteratura italiana, 19, 1911, p. 308, proponeva la correzione i a engansa, con una scrittura ia letta la dal copista).

33. Il ms. legge al in luogo di lo, che è correzione di Bastard, il quale crede si tratti di un trovatore di alto rango e cavaliere (ipotesi certamente eccessiva). Parducci leggeva invece qe fes Tedals al ric («che Tedal fece verso il nobile»): in altre parole, Tedal si sarebbe recato presso un ric, in cui Parducci proponeva di riconoscere Luigi IX, mentre in Tedal (emendabile a suo avviso in Tebals) era da riconoscere Thibaut IV de Champagne, re di Navarra e troviero. L’ipotesi è insostenibile (cfr. Biadene, recensione a Parducci, «Raimon de Tors», p. 309, e Alfred Jeanroy, recensione a Parducci, «Raimon de Tors», Romania, 41, 1912, p. 138): benché termini quali reinha e (in modo meno cogente) entreseinha parrebbero indicare una persona di un certo rango, il loro evidente uso connotativo e la mancanza di particella onorifica negano questa possibilità. Biadene (ibid.), Jeanroy (ibid.) e De Bartholomaeis Poesie provenzali, vol. II, p. 182, vi vedevano un giullare, che, come viene qui consigliato a Gauselm, si è recato presso un ric, che altri non sarà che messer Barnabò. Di fatto il personaggio non è identificabile. Si vedano anche le Circostanze storiche.

34-37. Il senso dei versi è che l’esperienza di Tedal ha valore esemplare e merita di essere ricordata da Gauselm, perché Tedal, più di tutti gli altri (così parrebbe dal mais del v. 35), ha compiuto un lungo viaggio per andare ad apprendere gioia e canto.

38-39. Parducci stampa Ben i fos entreseinha / de valen cor prezan e traduce: «Benché in lui vi sia insegna di valente cuore pregiato», parzialmente corretto da Biadene, recensione a Parducci, «Raimon de Tors», p. 310: «Benché a lui fosse d’insegna un gentile cuore pregiato». Tuttavia, il ms. non ha cor, bensì cors, e ben non può avere valore concessivo. Pertanto Jeanroy, recensione a Parducci, «Raimon de Tors», p. 139, propone la lezione posta a testo da Bastard e qui seguita. De Bartholomaeis leggeva infine Ben i fos entreseinha / de valen cors prezan e traduceva: «Benedetta la sua insegna di persona valorosa, pregiata!» Tuttavia, se si considera ciò che viene detto nei versi precedenti, è chiaro che Raimon auspica che il viaggio esemplare di Tedal divenga un modello per Gauselm (per questo il congiuntivo ottativo fos) e che dunque il cors (non cor!) del v. 39 è proprio Tedal, il quale dovrebbe divenire entreseinha (‘insegna, modello, distintivo’) per Gauselm e per tutti i veri amanti, dato che molti di essi non hanno così tanti meriti quanti Tedal (vv. 40-42). La lezione corretta è dunque quella del ms., stampata da De Bartholomaeis, da intendersi: ‘Davvero nel mondo (egli) fosse un modello di persona valente e pregiata!’

50. Il verso è ipometro d’una sillaba; Parducci proponeva d’integrare joi, lezione accolta da Bastard.

55. Un ronzino è uno dei tipici doni che venivano fatti ai giullari, assieme al necessario equipaggiamento (sella, morso, briglie, ecc.).

60-61. Entrambi i versi sono ipermetri (di due sillabe il v. 60, di una il v. 61), ma nessun editore ha proposto correzioni.

[gb]


BdT    Raimon de Tors    IdT

Circostanze storiche