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Raimon de Tors, Amics Gauselm, si annatz en Toscana (BdT 410.1)


 

Circostanze storiche

 

 

 

 Il sirventese invita un amico dell’autore, il Gauselm del verso incipitario, senza dubbio un giullare in cerca di fortuna, a visitare la Toscana e in particolare Firenze, città in cui si rinnovano i fasti cortesi della Provenza (cfr. str. I). Considerato il modo in cui Firenze viene descritta, economicamente florida, culturalmente fervida, politicamente stabile, il periodo di composizione del testo è certamente antecedente la battaglia di Montaperti (4 settembre 1260), allorché la disfatta militare comportò enormi ripercussioni politiche e culturali, nonché, su un lasso di tempo di media durata, difficoltà economiche. Poiché attorno all’aprile 1257 il trovatore Raimon de Tors si trova in Provenza, come attesta il sirventese Ar es dretz q’ieu chan e parlle (BdT 410.3), ed assumendo che egli avesse visitato la Toscana di persona (già in De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 182; cfr. Asperti 1995), editori e studiosi della sua opera assumono – ipoteticamente – che il sirventese indirizzato a Gauselm sia stato composto o qualche anno prima o qualche anno dopo tale data (pur sempre prima del 1260, anche se Torraca 1898, p. 441 nota 3, sostiene che Raimon de Tors «scriveva intorno al 1260, piuttosto dopo che prima», ma non offre né prove né argomenti validi). Così, se Parducci 1911, pp. 8-9, non si sbilancia e fornisce una datazione solo approssimativa («alla nascita del quale [sirventese], se mai, si potrebbero solo assegnare i primi anni presso a poco della seconda metà del sec. XIII», in ragione dell’epoca di composizione delle altre poesie dell’autore), anche De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 182, la colloca in modo approssimativo, a quanto consta, tra il 1257 e il 1260 («In Provenza [Raimon de Tors] era tornato certamente nel 1257 [...]. La poesia è posteriore a tale ritorno [...], ma, naturalmente, con ogni riserva»; come spesso accade, la data viene assunta come perentoria nella bibliografia successiva, laddove De Bartholomaeis, oltre ad un’estrema cautela, esprime in realtà un torno di tempo, non un anno esatto: così Resconi 2014, p. 283 nota 34). Bastard 1978, p. 32, ricollegando la mancanza di allusioni politiche manifeste nel testo ad un momento di stagnazione politica, assegna l’opera al 1256 (datazione ripresa in BEdT, scheda testo), ma le assenze valgono poco in materia di conferme positive. Infine, Resconi 2014, p. 283, ritorna all’incirca alla datazione di De Bartholomaeis («seconda metà degli anni Cinquanta – comunque certo prima della battaglia di Montaperti –»; ma sulla datazione che egli attribuisce a De Bartholomaeis cfr. sopra). La questione non può essere ulteriormente precisata; valgano dunque ancora le parole di De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 182: «Nessun elemento di datazione in questa poesia».

Quanto agli altri due problemi del testo, vale a dire l’identità di En Barnabo/Bernabo e di Tedal, ci si aggira ancora nel campo vespertino delle ipotesi. Il primo è senza dubbio un nobiluomo o persona d’alto rango, come mostra la particella onorifica premessa al nome; dubbia diviene invece la sua origine e residenza, la sua appartenenza politica e la sua attività mecenatesca. Torraca 1898, p. 441 nota 3, constatando che «nelle raccolte di documenti fiorentini del secolo XIII da me consultate il nome Bernabò non s’incontra mai», vi ravvisa Bernabò Malaspina, signore della Lunigiana la cui famiglia è assiduamente elogiata nei testi trobadorici, e che fu inoltre «contemporaneo e anche alleato di Carlo d’Angiò [...]; a tutta la Toscana, non alla sola Firenze deve riferirsi la frase con cui comincia la strofe 2a»; in altre parole il lai del v. 16 sarebbe riferito alla Toscana e non a Firenze. Parducci 1911, p. 45, ritiene tale spiegazione non convincente (a ragione: cfr. la nota al verso), ma conferma che «il nome diventa frequente soltanto dopo la battaglia di Campaldino (1289), vinta appunto il giorno di S. Barnabò, il quale dopo tale vittoria fu proclamato protettore dei Guelfi». Negano decisamente valore all’ipotesi del Torraca sia De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 182 (l’argomentazione – si dice – è eretta «sopra fondamento tanto più debole in quanto qui si tratta di un Fiorentino o almeno di uno residente in Firenze»), sia Bastard 1978, pp. 32-33, che ritiene verosimile vedervi un nobile cittadino, forse da ricercare tra i giudici e i notai, di schieramento ghibellino moderato, ma del tutto senza prove e senza alcun tentativo d’identificazione, sia da ultimo Larghi 2009 che si appoggia agli studi precedenti. Infine, abbraccia apertamente l’ipotesi di Torraca, collegandola alla diffusione della poesia trobadorica in Toscana attraverso la Lunigiana, Resconi 2014, pp. 283-284, che riconferma, basandosi su Parducci (ma non su Torraca), l’assenza del nome Barnabò e varianti a Firenze in questi anni di metà secolo, prima comunque della battaglia di Campaldino; ripresa da Torraca, anche se non dichiarata, è la spiegazione del lai del v. 16 (per una critica di tale interpretazione si veda la nota al verso). Barnabò Malaspina fu peraltro attivo nella politica toscana e Raimon, che avrebbe goduto della di lui ospitalità in un viaggio mercantile (tesi sostenuta da Aurell 1989, pp. 163-164, ma indimostrabile) lo additerebbe a Gauselm come sosta obbligata sulla strada per Firenze (Resconi 2014, p. 284). Sul personaggio rinvio alla nota al v. 16.

Quanto a Tedal (v. 33), l’allusione a questa figura, verosimilmente non un nobile, probabilmente un giullare che ha già compiuto un viaggio simile, è «inafferrabile» (De Bartholomaeis 1931, vol. II, p. 182). Parducci 1911, p. 45, proponeva di correggere il Tedals del testo in Tebals e di farne pertanto Thibaut IV de Champagne (m. 1253), re di Navarra e troviero (il ric(s) cui Dieus manteinha dello stesso verso sarebbe poi Luigi IX...), ma tale ipotesi è ampiamente indimostrata e improbabile (respinta già da Biadene 1911, p. 309, e Jeanroy 1912, p. 138): il più probabile ric presso il quale Tedal si è recato è il messer Barnabò della strofa precedente. Altrettanto indimostrabili e improbabili sono le speculazioni di Bastard 1978, pp. 33-34 e 50, che corregge Tedals al rics in Tedals lo rics e ne fa «un troubadour de grand renom et non un jongleur», «chevalier sans doute» (rispettivamente pp. 50 e 34). Queste supposizioni, che, peraltro, vertono su un luogo testuale di per sé non trasparente, pertengono più al fervore immaginativo che alla verisimiglianza. Restano, in questo caso, solo la nostra completa ignoranza e la nostra impotenza di fronte a un personaggio di cui non sopravvivono tracce e che il contesto non è in grado di restituirci. Gaucelm, Tedal e Raimon stesso sembrano essere giullari (il terzo è giullare-trovatore) propensi a percorrere le vie della Toscana verso Firenze, forse attraversando la Lunigiana e i territori dei Malaspina, se si accorda favore all’ipotesi di Torraca e di Resconi.

 

Bibliografia

 

Asperti 1995

Stefano Asperti, Carlo I d’Angiò e i trovatori. Componenti «provenzali» e angioine nella tradizione manoscritta della lirica trobadorica, Ravenna 1995.

 

Aurell 1989

Martin Aurell, La vielle et l’épée. Troubadours et politique en Provence au XIIIe siècle, Paris 1989.

 

BEdT

Bibliografia Elettronica dei Trovatori, a cura di Stefano Asperti, in rete, 2003ss.

 

Biadene 1911

Leandro Biadene, recensione a Parducci 1911, Rassegna bibliografica della letteratura italiana, 19, 1911, pp. 305-317.

 

De Bartholomaeis 1931

Vincenzo de Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma 1931.

 

Bastard 1978

Antoine de Bastard, «Joi d’Amor à Florence», in Mélanges de philologie romane offerts à Charles Camproux, 2 voll., Montpellier 1978, vol. I, pp. 29-55.

 

Jeanroy 1912

Alfred Jeanroy, recensione a Parducci 1911, Romania, 41, 1912, pp. 138-139.

 

Larghi 2009

Gerardo Larghi, Dizionario Biografico dei Trovatori. Tesi di dottorato dell’Università di Messina (XXII ciclo), Università degli Studi di Messina 2009.

 

Parducci 1911

Amos Parducci, «Raimon de Tors. Trovatore marsigliese del sec. XIII», Studj romanzi, 7, 1911, pp. 9-59.

 

Resconi 2014

Stefano Resconi, «La lirica trobadorica nella toscana del duecento: canali e forme della diffusione», Carte Romanze, 2, 2014, pp. 269-300.

 

Torraca 1898

Francesco Torraca, «Sul “Pro Sordello” di Cesare De Lollis», Giornale Dantesco, 6, 1898, pp. 417-466.

Giorgio Barachini

29.ii.2020


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