Rialto

437.18

 

Sordel

 

 

 

 

 

Lai al comte mon segnor voill pregar
non li plassa q’ab se·m men oltra mar,
qar ben sapcha qu’eu lai non posc passar
4 pero el miez totz temps volri’estar:
ben volria la gent acompagnar
e Deus penses de las armas salvar,
mas fort lo deu nostre segner amar,
8 qar dels peccatz vol penedenza far.
 
Ancar non hai de la mar tant apres,
si tot lai gen sui nuiriz, q’eu pogues
oltra passar, per esfortz q’eu fezes;
12 per qe·l compte voill pregar non li pes
s’ab lui non pas, q’esser non dei repres,
q’eu tem tant fort la mar, qan mals temps es,
q’oltra non posc passar per re, zo·m pes,
16 e·l coms non deu voler qu’eu mora ges.
 
Mas s’ab se vol marinier ben saben
de la mar, men em Bertran, si l’es gen,
d’Alamanon, q’a lui sai q’es plazen,
20 e sap tan be qal son li meillor ven,
q’en un jorn passa e s’en torna leumen,
e·l coms lais mi, qe poder ni talen
non hai passar la mar al meu viven:
24 tan mi fai mortz de paor e spaven.
 
Mon seignor prec non li sia plazen
q’oltra·m fassa passar, part mon talen;
q’en la mar ven totz hom a perdemen,
28 per qeu non voill passar, al meu viven.

 

 

 

Testo: Boni 1954 (XXIX). – Rialto 5.vii.2005.


Ms.: F 12r. 

Edizioni critiche: Cesare De Lollis, Vita e poesie di Sordello, Halle 1896, p. 162; Marco Boni, Sordello, le poesie, Bologna 1954, p. 170; James J. Wilhelm, The Poetry of Sordello, edited and translated, New York - London 1987, p. 116. 

Altre edizioni: Martín de Riquer, Los trovadores. Historia literaria y textos, Barcelona 1975, vol. III, p. 1471 (testo Boni); Emilio Faccioli, Sordello da Goito, a cura di R. Signorini, Mantova 1994, p. 117 (testo Boni).

Metrica: a10 a10 a10 a10 a10 a10 a10 a10 (Frank 5:14). Tre coblas singulars di otto versi di dieci sillabe e una tornada di quattro versi. Il medesimo schema ricorre in un frammento di Sordello (BdT 437.4) e in altri sei componimenti: Aimeric de Peguilhan BdT 10.23 e 10.26, Bernart de Rovenac BdT 66.1, Blacasset BdT 96.6 (di cui condivide, salvo una modifica per la terza, anche le rime), Duran Sartor BdT 126.1 e la ballata anonima BdT 461.166. 

Note: Il testo è databile al 1248, in occasione della prima crociata di Luigi IX cui prende parte anche Carlo d’Angiò, da tre anni conte di Provenza. – La critica ha molto discusso l’interpretazione del v. 4. Boni, dubitosamente, intende con G. Bertoni, I trovatori d’Italia, Modena, Orlandini 1915, p. 298, che Sordello si pone “in mezzo” tra il partire e il restare; Wilhelm chiosa: «despite difficulties raised by some scholars, the line is perfectly clear. Sordello wants to stay in the middle of things, where the action is» (p. 234). Personalmente, modificata la punteggiatura di Boni, intenderei così: «voglio pregare là il conte mio signore che non voglia portarmi con sé oltremare, che sappia con certezza che io non posso attraversare là ma vorrei stare sempre in mezzo (al mare); certo vorrei accompagnare l’esercito...». A mio parere, il v. anticipa il bisticcio fra la mar e l’amar sviluppato nelle coblas successive, e in particolare introduce l’opposizione fra l’amare, considerato naturalmente come situazione positiva, e il troppo amare. Per l’uso di miez locativo si confronti Gaucelm Faidit BdT 167.39, vv. 29-30, in cui la situazione di stallo dell’io amante è confrontata a quella del naufrago in balia del mare: «cum cel qe·is ve el mieich del mar perir / e non i pot remaner ni issir». – Il v. 6 risulta di difficile interpretazione: Boni traduce dubitosamente «e voglia Iddio prendersi cura della salvezza delle anime», notando però che «non è chiara la connessione [di questo verso] coi versi che precedono e seguono» (n. 6 pp. 171-172). – Il nostre senher del v. 7, come il comte mon senhor del v. 1, andrà identificato con Carlo d’Angiò. – I vv. 9-11 acquistano senso alla luce del bisticcio fra la mar e l’amar che si diceva: Sordello in sostanza sta affermando la bontà della propria educazione amorosa, che gli impedisce di amare oltre misura. – La terza cobla satireggia Bertran d’Alamanon, trovatore che convive con Sordello alla corte di Provenza fin dagli anni ’30, quando ancora regna Raimondo Berengario V. De Lollis (p. 53), come poi Boni (p. lxxix), richiama le accuse di pusillanimità rivolte a questo personaggio da Blacasset (BdT 96.8), Guigo de Cabanas (BdT 197.1 e 197.3) e Granet (BdT 189.2), e vede qui un riferimento ad un’altra spedizione oltremare che questi avrebbe intrapreso ed abbandonato all’ultimo momento. A me pare che Sordello stia piuttosto accusando il poeta, ironicamente, di una certa leggerezza amorosa. – Boni, come già diversi studiosi (cfr. n. 27 p. 172), emenda al v. 27 in perdemen la lezione salvamen del ms., tenuta a testo invece da De Lollis. Se si ammette la presenza nell’intero testo di una contrapposizione fra l’essere e lo stare per mare, naturalmente il mare d’amore, e l’oltrepassarlo, la lezione tràdita acquista senso: «perché nello stare in mare (= nell’amare) ognuno trova salvezza, e per questo io non voglio passare oltre, finché vivo».

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