Rialto    IdT

437.37 = 114a.1

 

   

Sordel  ·  Carlo d’Angiò

 

 

 

 

   

I.

   

Toz hom me van disen en esta maladia

   

qe, s’ieu me conortes, qe gran ben me faria;

   

ben sai q’il deison ver, mas com far lo porria

   

hom q’es paubre d’aver et es malatz tot dia

5  

et es mal de seignor e d’amor e d’amia?

   

Fos qi m’o ensignes, ben me conortaria.

   

 

   

II.

   

Sordels diz mal de mi, e far no lo·m deuria,

   

q’ieu l’ai tengut en car e l’ai onrat tot dia:

   

donei li fol, molin e autra manentia

10  

e donei li mollier aital com el volia;

   

mais fols es e ennoios, e es plens de follia;

   

qi·l dones un contat, grat no li·n sentiria.

 

 

Traduzione [AP]

I. Tutti mi vanno dicendo in questa malattia che, se io mi confortassi, ciò mi farebbe gran bene; so bene che essi dicono il vero, ma come potrebbe farlo chi è povero di averi ed è sempre malato e sta messo male quanto al signore, all’amore e all’amica? Se ci fosse chi me lo insegnasse, mi conforterei bene.
II. Sordello dice male di me, eppure non dovrebbe farmelo, perché io l’ho tenuto caro e l’ho sempre onorato: gli donai gualchiere, mulini e altri possedimenti e gli diedi una donna come lui voleva; ma è folle e noioso, ed è pieno di follia; se qualcuno gli donasse un contado, grato non gli sarebbe.

 

 

 

Testo: Petrossi 2009. – Rialto 20.i.2018


Ms.: P 65r.

Edizioni critiche: Cesare De Lollis, Vita e poesie di Sordello da Goito, Halle 1896, p. 163; Marco Boni, Sordello, Le poesie. Nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario, Bologna 1954, p. 178; Irénée-Marcel Cluzel, «Princes et troubadours de la maison royale de Barcelone-Aragon», Boletín de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona, 27, 1957-1958, pp. 321-373, a p. 344; James J. Wilhelm, The Poetry of Sordello, edited and translated, New York - London 1987, p. 124; Antonio Petrossi, «Sordello ~ Carlo d’Angiò, Toz hom me van disen en esta maladia. Sordels diz mal de mi, e far no lo·m deuria (BdT 437.37, 114a.1)», Lecturae tropatorum, 2, 2009, 17 pp., a p. 11.

Altre edizioni: Vincenzo De Bartholomaeis, Poesie provenzali storiche relative all’Italia, 2 voll., Roma, 1931, vol. II, p. 263 (testo De Lollis); Francesco Ugolini, La poesia provenzale e l’Italia, Modena 1949, p. 139 (testo De Lollis).

Metrica: a12’ a12’ b12’ b12’ a12’ a12’ (Frank 3:4). Scambio di coblas di 6 alessandrini monorimi. Rima: -ia.

Note: Questo scambio di coblas esibisce, da un lato, le rimostranze di Sordello verso il suo signore Carlo d’Angiò e, dall’altro, la piccata risposta di quest’ultimo, che lo accusa di ingratitudine. Sulla base di riferimenti interni e di una cospicua documentazione d’archivio, è possibile ipotizzare una datazione tra la fine di giugno e la fine di agosto del 1269: si vedano le Circostanze storiche.

1. esta maladia: non è chiaro se la ‘malattia’ del poeta risponda ad un’effettiva condizione patologica. È però verosimile che Sordello stia qui alludendo ad un più generale stato di insofferenza che, secondo i diversi interpreti del componimento, potrebbe rinviare al periodo di prigionia vissuto a Novara (nel settembre 1266) oppure, più probabilmente, alla consapevolezza dell’ormai sopraggiunta vecchiaia.

5. Come sottolineato da Petrossi, «Sordello ~ Carlo d’Angiò», p. 2, «il miserevole stato» del poeta rappresenterebbe la «diretta conseguenza della diminuita attenzione del signore nei suoi confronti». Pur non essendo direttamente menzionato, sembra ormai essere stato definitivamente chiarito che il signore in questione sia Carlo d’Angiò, di cui Sordello era stato fedele consigliere dopo la morte di Raimondo Berengario IV (1245): si vedano le Circostanze storiche.

7. La traduzione proposta, più attinente alla lettera del testo, diverge leggermente da quella di Petrossi («ma questo non me lo dovrebbe fare»).

9. L’elargizione di fol (già ricollegato da De Lollis all’attività di follatura della lana) e molin, vale a dire gualchiere e mulini, da parte di Carlo a Sordello sembrerebbe rinviare alla donazione dei castra di Ginestra, Civitaquana e soprattutto Palena, ratificata da un diploma del 30 giugno 1269: si vedano le Circostanze storiche.

10 mollier: il ms. legge mollir. La lezione, ricondotta già da De Lolllis ad un più consono mollier, segnalerebbe dunque l’esistenza di una seconda moglie data da Carlo a Sordello, della quale tuttavia non è rimasta alcuna testimonianza documentaria. L’unico matrimonio del poeta, stando alla vida minore e a Peire Bremon Ricas Novas, Lo bels terminis m’agenssa (BdT 330.9), sarebbe infatti quello contratto durante il regno di Raimondo Berengario: cfr. Petrossi, «Sordello ~ Carlo d’Angiò», p. 7 (nota 22). L’ipotesi di un secondo matrimonio, ancorché non comprovabile, è stata accettata da Boni, Sordello, p. c (nota 364), il quale ricorda come «Carlo talora diede in moglie a qualche barone, per assicurargli una ricompensa, qualche nobile damigella o vedova del reame che possedesse feudi». Solo di recente la correzione in mollier è stata contestata da Adriana Solimena, «Sordello ~ Carlo d’Angiò, Toz hom me van disen en esta maladia. Sordels diz mal de mi, e far no lo·m deuria (BdT 437.37, 114a.1)», Lecturae Tropatorum, 6, 2013, 8 pp., p. 7: «l’oscuro mollir […] indica proprio il diritto di molitura, da molior, moliri con palatalizzazione analogica dalla prima persona del presente e l’uso sostantivale dell’infinito». Pur tenendo conto della proposta di Solimena, si preferisce comunque mantenere a testo mollier, sfumandone leggermente il significato (forse ‘donna’, piuttosto che ‘moglie’, come tradotto da Petrossi) in ragione dell’ideale corrispondenza che si stabilisce, nel testo, tra le lamentele di Sordello (che si dichiara «paubre d’aver», v. 4 e «d’amia», v. 5) e la risposta di Carlo contenuta in questo verso e nel precedente, in cui egli rammenta al poeta di averlo ricompensato con la donazione di mulini e gualchiere e, appunto, con l’attribuzione di una mollier corrispondente ai suoi desideri.

[cm]


BdT    Sordel    Carlo d’Angiò    IdT

Circostanze storiche