Rialto    IdT

 

Sordel, Planher vuelh en Blacatz en aquest leugier so (BdT 437.24)

Peire Bremon Ricas Novas, Pus partit an lo cor En Sordel e·N Bertrans (BdT 330.14)


 

Circostanze storiche

 

 

 

Blacatz, signore e trovatore attivo alla corte del conte Raimondo Berengario V di Provenza (Guadagnini 2005; Vatteroni 2001, pp. 383-385), morì tra il 1236 e il 1237 (Stroński 1907; Stroński 1912). La sua dipartita ispirò ben tre planhs: Plaigner voill en Blacatz en aquest leugier so (BdT 437.24) di Sordello, Mout m’es greu d’en Sordel, car les faillitz sos sens (BdT 76.12) di Bertran d’Alamanon e Pos partit an lo cor en Sordels e’n Bertrans (BdT 330.14) di Peire Bremon Ricas Novas. In questo ciclo iniziato da Sordello i componimenti sono chiaramente interdipendenti, come dimostrano peraltro le dichiarazioni incipitarie degli autori (Fuksas 2001), e il primo e l’ultimo intervento conservano molteplici riferimenti alla realtà storica contemporanea. Sulla base di questi elementi, è stato possibile collocare i planhs tra la fine del 1236 e i primi mesi del 1237 (Boutiére 1930, p. 119; Boni 1954, pp. LXIX-LXXII; Di Luca 2008, pp. 240-242; Grimaldi i.c.s.).

In Plaigner voill en Blacatz en aquest leugier so (BdT 437.24) Sordello immagina che il cuore del defunto venga ripartito fra i grandi signori del suo tempo, definiti descorat (v. 8), affinché questi possano cibarsene per acquistare le qualità del barone provenzale e riscattarsi dalle situazioni di difficoltà in cui versavano (Rossi 1983). Vestendo i panni del moralista, Sordello riserva numerose critiche ai grandi regnanti dell’Europa cristiana, considerati vili e incapaci di affermare il valore cavalleresco che dovrebbero incarnare in quanto principali esponenti della classe nobiliare (Asperti 2000, pp. 151-152).

La prima porzione del cuore di Blacatz è offerta a Federico II, definito emperaire de Roma (v. 9-10), che ha grande bisogno di mangiarne, in quanto non in grado di sconfiggere i milanesi. Questi lo umiliano e gli tolgono il controllo dei territori del regno d’Italia che gli apparterrebbero di diritto in quanto imperatore, nonostante egli sia supportato dai suoi eserciti tedeschi. Il trovatore si riferisce con ogni probabilità alle difficoltà affrontate da Federico nell’organizzare una campagna militare con i lombardi. L’imperatore minacciava infatti di intervenire energicamente contro i comuni ribelli dell’Italia settentrionale fin dal 1226 ma non riuscì a concretizzare i suoi intenti fino all’autunno del 1236. In particolare, una spedizione contro i lombardi per il ripristino dei diritti imperiali fu rilanciata durante la dieta di Magonza dell’agosto 1235. Federico restò in Germania fino all’estate dell’anno successivo per riorganizzare il regno e regolare i contrasti con il figlio Enrico, colpevole di tradimento nei suoi confronti (cfr. Stürner 2009, pp. 700-736). Qui l’imperatore reclutò un grande esercito che condusse poi in Italia per avviare le operazioni militari contro i lombardi, i quali risposero rinnovando nel mese di novembre il patto di alleanza della Lega lombarda che si era opposta con successo a Federico già nel 1226 (Fasoli 1977, pp. 62-62; Grimaldi 2013). Nonostante potesse contare su un contingente militare imponente, l’imperatore accettò in un primo momento le richieste di papa Gregorio IX, che aveva convinto i comuni a trattare la pace e ad accogliere le richieste dell’impero. Queste trattative si protrassero a lungo ma inutilmente fino all’estate del 1237, quando l’imperatore decise di interrompere i negoziati e di avviare invece le attività militari che portarono nel mese di novembre alla battaglia di Cortenuova e alla grave disfatta degli eserciti comunali. È evidente che il planh fu realizzato nel lungo periodo di stallo nella lotta tra Federico e i comuni ed è sicuramente antecedente al novembre 1237 quando Sordello, in seguito al grande successo di Cortenuova, non avrebbe potuto rinfacciare all’imperatore la sua incapacità di vincere i lombardi.

Dopo aver colpito l’imperatore, il più grande dei regnanti europei, il trovatore non risparmia critiche neanche ad altri grandi potenti. Il re di Francia Luigi IX è dipinto come un debole ancora assoggettato alla madre (vv. 13-16). Probabilmente Sordello allude al peso che Bianca di Castiglia, reggente di Francia nel periodo di minorità del figlio, continuava ad esercitare nell’amministrazione del regno. Alla morte del padre, nel 1226, Luigi ereditò la corona francese all’età di soli dodici anni e fu affiancato nel governo dalla madre (Le Goff 1996). Soltanto uscito di minorità, tra il 1235 e il 1236, il re iniziò ad amministrare direttamente il proprio regno ma, almeno inizialmente, le scelte politiche furono fortemente condizionate dagli influenti consiglieri di corte e dalla madre, considerata responsabile di aver ritardato il suo matrimonio con Margherita di Provenza, celebrato soltanto nel maggio del 1234 (cfr. Le Goff 1996, pp.82-97).

Il re di Inghilterra Enrico III è stimato poco coraggioso perché incapace di recuperare le regioni francesi che erano sotto il dominio dei plantageneti fino all’inizio del XIII secolo (vv. 17-20). I possedimenti di Anjou, Maine, Touraine e Normandia furono strappati nel 1204 a Giovanni Senza Terra da Filippo Augusto. Il controllo di questi territori fu motivo di conflitto tra i sovrani di Francia e quelli d’Inghilterra per tutta la prima metà del secolo XIII e nel 1230 Enrico cercò invano di recuperarli con una spedizione militare. La contesa durò in ogni caso fino alla pace siglata tra Luigi IX e il re inglese con il trattato di Parigi del 1259 (cfr. Le Goff 1996, pp. 203-206).

Un’accusa simile a quella formulata per il re di Francia è rivolta a Ferdinando III di Castiglia e León (vv. 21-24), soggetto al rigido controllo della madre. In effetti Berenguela fu reggente di Castiglia durante la minorità del fratello Enrico I tra 1214 e 1217 e in quest’anno fu artefice del passaggio della corona di Castiglia nelle mani del figlio Ferdinando. La regina madre rimase consigliera del sovrano fino al 1230, quando si ritirò definitivamente a vita monastica (cfr. Valentín de la Cruz 2006).

Non viene risparmiato da Sordello nemmeno il re Giacomo I d’Aragona (vv. 25-28), attaccato nel planh per aver rinunciato del tutto a imporre la tradizionale influenza catalana in Provenza e in altre regioni del tolosano e del massiccio centrale. In seguito alla crociata contro gli albigesi, il conflitto tra la corona francese e quella aragonese si cristallizzò intorno alle tre città di Millau, Carcassonne e Montpellier e nel 1234 un conflitto tra i due regni fu sventato solo all’ultimo momento. Le tensioni tra il re di Francia e di Aragona sul controllo di questi territori vennero meno definitivamente soltanto con il trattato di Corbeil del 1258 (cfr. Le Goff 1996, pp. 201-203). Anche Thibaut de Champagne (vv. 29-32), quarto re di Navarra dal 1234, è biasimato perché considerato meno valoroso da re di quanto fosse da semplice conte di Champagne.

In conclusione, si può affermare che Sordello sembra offrire una panoramica desolante della grande nobiltà europea, ovunque incapace di affermare le virtù cavalleresche. Ma il carattere originale del compianto risiede nell’allontanamento dalla contingenza politica e dalle prese di posizione partigiane per ricercare una dimensione ideale in cui diventa centrale non il successo di un signore sull’altro ma l’affermazione dei valori cortesi legati all’idea stessa di nobiltà (cfr. Asperti 2000, passim).

Se il compianto di Bertran d’Alamanon, offrendo il cuore di Blacatz come reliquia da conservare non ai signori indegni ma alle dame più ricche di pregio del tempo, volge in chiave cortese il tema proposto da Sordello, quello di Peire Bremon Ricas Novas riconduce su una via più strettamente politica la tematica di fondo della commemorazione funebre del barone provenzale.

Nel suo rifacimento, il trovatore introduce due motivi differenti rispetto al modello. Da un lato egli immagina di spartire l’intero corpo di Blacatz e non più soltanto il cuore e dall’altro identifica una «differente e più vasta ‘utenza’» delle membra del defunto nonché un differente impiego di queste, rese «disponibili alla venerazione delle genti, ovvero più in particolare dei cavalieri delle varie regioni della cristianità» (Fuksas 2001, p. 191). Peire Bremon, diversamente dai due trovatori che lo hanno preceduto, intende inviare le porzioni del corpo del defunto a diverse popolazioni e ai rispettivi regnanti includendo l’«intera estensione geografica della cristianità» (Fuksas 2001, p. 194).

Come nel componimento di Sordello, il primo quarto del corpo di Blacatz è idealmente indirizzato a Federico II, anche qui menzionato insieme alla città di Roma, dove l’autore auspica che i suoi sudditi giungano a adorare il corpo santo del barone provenzale (vv. 4-8). Tra i popoli soggetti all’imperatore spiccano in primo luogo gli italiani del Nord, i tedeschi e gli abitanti della Polha, il regno di Sicilia, e poi i popoli delle regioni settentrionali, fino all’attuale mare del Nord.

Dopo essersi rivolto in primo luogo all’imperatore, primo dei signori cristiani, il trovatore si indirizza ad altri popoli e sovrani. Nella seconda cobla egli offre una porzione del corpo alle popolazioni che abitano la Francia nonché ai loro nemici inglesi, affinché questi ultimi possano far penitenza, e sceglie come custode della reliquia re Luigi IX di Francia. Potrebbe essere significativo che tra le popolazioni poste sotto l’autorità del sovrano siano citati, oltre a francesi, borgognoni, abitanti dell’Alvernia, della Bretagna e del Poitou, anche le genti di Vienne e Savoia, territori che appartenevano invece dal punto di vista del diritto feudale all’imperatore. Sebbene le allusioni a questi territori siano dettate da criteri geografici, vi si può forse leggere anche un’eco della maggiore influenza francese nei territori provenzali appartenenti all’impero a partire dagli anni Trenta del Duecento e in seguito al matrimonio tra lo stesso Luigi IX e Margherita di Provenza, figlia di Raimondo Berengario V (cfr. Annunziata 2017, pp. 24-26).

Nel compianto sono descritti in termini positivi anche le popolazioni e i regnanti della penisola iberica (vv. 17-24). Tanto al re di Navarra, Thibaut de Champagne, quanto a Ferdinando III di Castiglia e León, Peire Bremon raccomanda di continuare a essere generosi in modo da dimostrarsi degni della memoria di Blacatz e dei loro compianti antenati.

La cobla dedicata alle popolazioni del Midi risulta particolarmente interessante. Un ultimo quarto del corpo di Blacatz, deposto nell’abbazia di Saint-Gilles du Gard (v. 27), celebre luogo di pellegrinaggio (Di Luca 2008, p. 249), è affidato ai Provenzali (v. 25) ma è messo a disposizione anche degli altri abitanti del sud della Francia. Peire Bremon allude agli scontri endemici tra i due conti Raimondo VII e Raimondo Berengario V (v. 30) e auspica che la comune venerazione del corpo di Blacatz possa far giungere la pace. In questa strofe si concretizza in maniera più esplicita l’afflato di pacificazione e appianamento dei conflitti che anima il compianto, già anticipato in maniera meno evidente nella strofe indirizzata al re di Francia, in cui si cercano di riavvicinare le popolazioni francesi e gli inglesi. Non è da escludere che uno degli intenti di Peire Bremon, trovatore al seguito del conte di Provenza, fosse quello di promuovere una sospensione negli scontri tra Raimondo Berengario e il conte di Tolosa, in un momento in cui quest’ultimo, appoggiato dall’impero a partire dal 1234, sembrava potersi impadronire nuovamente dei territori del comtat Venaissin (Aurell - Boyer - Coulet 2005, pp. 131-137; Annunziata 2017, pp. 24-26).

Nell’ultima strofe del componimento la testa di Blacatz è inviata nella città santa per antonomasia, Gerusalemme, e affidata a tre diversi custodi. In primo luogo il trovatore la affida ad al-Malik al-Kamil, sultano d’Egitto tra il 1218 e il 1238, che già nel 1229 aveva siglato la pace con l’imperatore Federico II, consentendogli di riconquistare Gerusalemme (cfr. Bresc 2005). Nel componimento si ipotizza che questi, grazie anche alla venerazione della testa sacra di Blacatz, possa continuare a sostenere la posizione dei cristiani in Terrasanta e che possa addirittura convertirsi alla religione cristiana. Un secondo affidatario della reliquia è Gui de Guibelhet, cavaliere francese e crociato che si distinse per la sua partecipazione alla quinta crociata e fu presente nel 1218 alla conquista di Damietta (cfr. Fuksas 2001, p. 194; Di Luca 2008, p. 252). L’ultimo personaggio a cui si rivolge Peire Bremon è il re d’Acri, a cui il trovatore raccomanda di essere generoso. L’identificazione di questo personaggio è stata molto discussa ma l’ipotesi prevalente riconosce in lui Giovanni di Brienne, conosciuto comunemente con quel titolo (Salverda de Grave 1902, p. 101; Boutiére 1930, p. 124; De Bartholomaeis 1931, pp. 134-135; Boni 1954, p. LXX; Di Luca 2008, p. 251; Vetere 2005). Se questa ipotesi fosse confermata, potremmo individuare come termine ante quem del componimento, e dunque dell’intero ciclo, il 23 marzo 1237, data della morte di Giovanni (Vetere 2005).

 

 

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Francesco Saverio Annunziata

15.ix.2018


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