Rialto

457.15

 

   

Uc de Saint Circ

 

 

 

 

    I.
    Estat ai fort lonjamen
    vas leis q’es falsa leials,
    et ai esercatz mos mals.
    Per so n’ai pres maint tormen,
5   e non quier don ni esmenda,
    ni mais no·m platz q’ieu atenda
    acort ni dura merce,
    ni plaser ni joi ni be
    que, sufren, Amors mi renda.
     
    II.
10   Qu’ieu la servi finamen,
    qu’anc mos servirs no·m fo sals,
    qu’anc no·ill volgi esser fals,
    ni m’anei vas lei volven!
    Mas autre conseill taing prenda,
15   tal que eu voill c’om mi penda
    si mais l’obedisc en re:
    quar dretz es en leial fe
    c’aissi com hom compra venda.
     
    III.
    Mon cor li loing e·ill defen,
20   e pens oimais chascus d’als;
    e plasa·il mos dans mortals,
    c’a mi plaz el sius eissamen,
    e no·i ai autra contenda.
    E voill que done prevenda
25   aital cum donava me,
    a tal qu’ela l’am jasse,
    e qu’el vas leis se defenda.
     
    IV.
    Totz hom qu’en folla s’enten
    en fol despen sos jornals,
30   mas a mi vai ben sivals
    q’er ren no·i quier ni n’aten
    ni mais no·m platz que s’estenda
    en leis merces ni deissenda;
    quar qui bon conseill non cre
35   e·l mal acuoill e rete,
    no·m par bon parlamen tenda.
     
    V.
    Per so don il vai risen
    torna sos safirs cristals,
    que sa natura es tals
40   que mal despen son joven,
    et aura·ill ops en breu menda
    en la cara sotz la benda.
    Mas mi non taing ni cove
    qu’eu diga de llei tal re
45   dont autra dompna·m reprenda.
     
    VI.
    Non voill mais don ni esmenda,
    acort ni dura merce,
    ni mais non creza de me
    qu’eu per leis al cel entenda.

 

 

Nota al testo

Il testo critico è fondato sulla lezione della famiglia costituita dai mss. IKN2, che già forniscono il testo per BdT 457.34 dove soli hanno la lezione corretta entenda al v. 36 (e soli all’interno della famiglia ɛ, contro AD, ai vv. 16, 49, 52). Qui in quattro casi si delinea un’opposizione ABD contro IKN2, senza che però si presentino argomenti definitivi a favore dell’una o dell’altra soluzione. Tre volte si giudica preferibile il testo di IKN2: 25 donava me (ABD donava a me); 31 q’er ren no i quier (ABDFa car non qier ren) per l’ordine delle parole con anticipazione del complemento oggetto; 39 sa natura es tals (aitals ABD) con conservazione della dialefe natura es. Si preferisce in un caso ai escerchatz mos mals di ABD al v. 3 a ai sofertatz di IKN2 in base a BdT 457.1, v. 44 «qe·m van mos mals escercan» (e vedi anche Maurizio Perugi, «Una rima che non esiste e un testo di Raimbaut d’Aurenga (389.22) non del tutto incomprensibile», in Id., Saggi di linguistica trovadorica, Tübingen 1995, pp. 103-130, rispetto al v. 20 dove esercar potrebbe avere funzionato da fattore dinamico all’origine di un processo di diffrazione). Si legge tuttavia a BdT 457.3, vv. 29-30: «qui non sap los bes grazir / e·ls mals, qan los sent, sofrir», e si ricordi che sofertar è lemma a sua volta relativamente poco diffuso. Jeanroy e Salverda de Grave (tranne al v. 31 dove preferiscono la soluzione di IKN2) seguono il testo di AB: 12 ni no·il volgi (qu’anc no·ill volgi di DIKN2 lezione che prolunga l’enfasi dimostrativa determinata dall’anafora di que già ai vv. 10, 11); 19 mon cors (mon cor); 23 e no·i a (e no·i ai IKN2, e non ami D); 24 qe·il done (que done), 26 e que ella l’am (a tal qu’ela DN2, aital IK), dove in DN2 (e, probabilmente, a monte del modello di IK), si materializza la figura dell’amante che verrà dopo il poeta (vendicandolo dei torti subiti), soggetto questo soltanto alluso e sottinteso in AB; 49 a cel (al cel). La lezione dei codici è ipermetra al v. 22 c’a mi platz el sieus (ma non in D che legge plaiseus) e già emendata da Jeanroy e Salverda de Grave in que·m platz. Per quanto riguarda i canzonieri DcFa che trasmettono la sola strofe IV: in base al v. 31 Dc si colloca forse accanto a IKN2, Fa accanto a ABD (con D ha affinità di grafia ai vv. 32, 33, 34, 35, 36). Grafia: canzoniere I.

 

Traduzione

I. Sono rimasto leale molto a lungo nei confronti di colei che è falsa, ed ho cercato io stesso i miei mali. In cambio ne ho avuto più di un tormento, ma non chiedo regali né indennizzi, né più mi piace aspettare una pace o dura pietà, né dono, né gioia, né bene, che Amore mi dia in cambio della mia sopportazione.

II. Perché l’ho servita da fino amante, perché mai una volta il mio servizio è stato in grado di tutelarmi, perché mai non ho voluto esserle falso, né ho mutato atteggiamento nei suoi confronti! Ma conviene che prenda un’altra decisione, tale che voglio essere impiccato se mai le obbedissi in qualcosa: perché è giusto e secondo diritto che il prezzo all’ingrosso equivalga al costo di vendita al pubblico.

III. Le allontano e interdico il mio cuore, e pensi ormai ciascuno ad un’altra soluzione; e le piaccia pure il mio danno mortale, tanto a me piace il suo, e non ho un’altra ragione per continuare la lotta. Voglio che dia tale rendita come lei dava a me, a tale che poi lei l’ami senza scampo ma che lui le si neghi.

IV. Chi si innamora di una donna data alla fol’amor ci lascia tutto il suo stipendio, ma a me va bene almeno il fatto che ora non ne desidero nulla e non me ne aspetto niente, e non mi va più che prenda campo e discenda in lei pietà; poiché chi non ha fiducia in un buon consiglio ed accoglie e fa suo l’errore, non mi sembra che offra un consiglio efficace.

V. Proprio a causa di ciò di cui ride il suo zaffiro ridiventa cristallo, perché la sua natura è tale che getta via la sua gioventù, e tra poco avrà bisogno di cosmetici per il viso che già nasconde sotto la benda che lo circonda. Ma a me non pertiene, né mi conviene, ch’io dica di lei cose, per cui altra donna possa riprendermi.

VI. Non voglio mai regali di riparazione, pace né la sua dura pietà, e mai non creda che io cerchi di guadagnarmi il paradiso servendola nel dolore.

 

 

Testo: Zinelli 2013. – Rialto 13.ix.2013.


Mss.: A 155v, B 95r, D 78r, Dc 257r (strofe IV), Fa 62 (strofe IV), I 130r, K 115v, N2 8v. Attribuzione unanime a Uc de Saint Circ.

Edizioni critiche: Alfred Jeanroy, Jean-Jacques Salverda de Grave, Les poèmes d’Uc de Saint-Circ, Toulouse-Paris 1913, 12, p. 60; Fabio Zinelli, Le canzoni di Uc de Saint-Circ. Saggio di edizione critica, Tesi di dottorato in Filologia romanza e Linguistica generale (IX ciclo), Università degli Studi di Perugia, 1997, pp. 223-233; Fabio Zinelli, Rialto 13.ix.13.

Metrica: a7 b7 b7 a7 c7’ c7’ d7 d7 c7’ (Frank 584:8). Cinque coblas unissonans di nove versi e una tornada di quattro (c7’ d7 d7 c7’). Mot tornat in rima: re 16 (en re): 44 (tal re); tre parole rima sono riprese nella tornada (in due casi ad essere ripreso è un intero sintagma): esmenda (don ni esmenda) 5 : 46; acort (acort ni dura merce) 7 : 47; me 25 : 48. Rime derivative: prenda, reprenda 14 : 45; atenda, contenda, estenda, tenda 6 : 23 : 32 : 36.

Note: Canzone. Il testo si presenta formalmente come una ripresa per le rime della canzone Servit aurai lonjamen, BdT 457.34. Non solo le due poesie sono costruite sullo stesso schema metrico e rimico, ma tutte le parole rima sono uguali e collocate in identica posizione (unica eccezione al v. 26: ab se in BdT 457.34, jasse in BdT 457.15, lezione, quest’ultima, congetturalmente trasferibile in BdT 457.34, mentre non è possibile il contrario). Il dato formale sottolinea un’evoluzione di tipo narrativo rispetto alla relazione del poeta con la domna. In BdT 457.34, il poeta chiede consiglio se continuare ad amarla nonostante il comportamento indifferente e crudele di questa. Amore gli ordina di resistere. In BdT 457.15 gli stessi dati spingono il poeta ad abbandonare il comportamento di innamorato e servitore fedele: il tono diventa quello della maledizione (si allude ai primi segni del declino fisico della donna ai vv. 41-42) così che, anche per l’assenza di ogni allusione ad un’altra donna il cui servizio si annuncerebbe nei termini di una maggiore serenità, il testo ha tutti i caratteri di una mala chanso piuttosto che di una chanson de change. La continuità formale e narrativa tra le due poesie è confermata dalla tradizione manoscritta: le due canzoni sono infatti copiate in contiguità nell’insieme dei testimoni. Nel romanzo d’amore che secondo Jeanroy e Salverda de Grave (p. XV e sgg.) sarebbe possibile ricostruire attraverso le canzoni e avrebbe valore autobiografico (un roman vecu), le due poesie sono separate, occupando rispettivamente le posizioni VI e XII dell’edizione. Tale prospettiva è convalidata da Dietmar Rieger, «Bona domna und mala domna. Zum “roman d’amour” des Trobadors Uc de Saint-Circ», Vox Romanica, 31, 1972, pp. 76-91. Va però notato che l’esame dell’ordine delle poesie nei canzonieri non fornisce elementi che confermino l’esistenza di un tale roman, la cui ricostruzione risente di una stagione critica particolarmente ben disposta rispetto ai supposti Liederbücher autobiografici composti da Minnesänger e trovatori. – Il v. 36 («no·m par bon parlamen tenda») pone un problema di interpretazione. Gli editori traducono: «il ne me semble pas qu’il fasse une bonne affaire», e spiegano in nota: «Nous admettons la synonimie de tener parlamen et tener plag. Notre traduction n’est possible que si tenda est une altération par la rime de tenha» (p. 191). Si tratta dunque di una spiegazione di tipo analogico che presuppone la formazione di una serie: tenga : tenha : *tenda. Sono citati in appoggio alcuni casi del contrario: la forma aprenha (= aprenda) in rima, in Gaucelm Faidit, BdT 167.16, v. 2, prenna nella Vita di s. Trophime (ma si osservi che quest’ultimo può essere un caso dell’assimilazione di -nd- a -nn- rinvenibile nei testi provenzali), e prenga in Bertran de Born, BdT 80.9, aprenga in Raimbaut d’Aurenga, BdT 389.36. Si noti che un certo grado di interferenza tra il paradigma di tendre e quello di tener può in effetti essersi prodotto a partire dalla -d- epentetica sviluppatasi nelle forme del futuro e condizionale di tener (per es. tendriei, tendrem nel glossario di S. Dobelmann, La langue de Cahors. Des origines à la fin du XVIe siècle, Toulouse, 1944). D’altra parte, nel corrispondente v. 36 di BdT 457.34, il significato di tenda è quello di ‘tendere’ e l’oggetto sono i mans del poeta, cioè i messages (come traducono Jeanroy e Salverda de Grave a p. 34; Jeanroy tornò però sull’interpretazione in Annales du Midi, 25, 1915, preferendo la traduzione ‘mani’), dunque un ‘contenuto di parola’. Pare dunque probabile che la buona traduzione sia: ‘non mi pare che offra un buon consiglio’, dove parlamen ha appunto il significato di ‘consiglio’ (cfr. SW, 6, pp. 83-84) che riprenderebbe, oltretutto, conseill del v. 34. Si può ricordare qui un esempio celebre della metafora per cui l’atto di parlare è assimilato all’azione di scagliare una freccia con l’arco in Dante Purg. XXV 17-18: «... Scocca / l’arco del dir». Altri punti notevoli del testo sono: l’immagine impiegata al v. 18 che rinvia alla tematica del lecito guadagno, ampiamente dibattuta da filosofi e teologi già nel secolo XII; al v. 45 l’allusione al possibile biasimo di una autra dompna di fronte ad un’invettiva dai toni troppo accesi, da considerare come un elemento che rinforza l’immagine di Uc come ‘segretario galante’ al servizio delle dompnas di Provenza e Languedoc accreditata da una celebre razo riferita alla canzone BdT 457.4 e copiata nel canzoniere P.

[FZ]


BdT    Uc de Saint Circ

Canzoni di disamore