Traduzione della Glossa al «Pater»

 

 

 

 

‹ . . . › così come mostra per mezzo del profeta Geremia, dicendo: «Ecco: io li condurrò dalla terra dell’Aquilone e li convocherò dalle estremità della terra; in pianto verranno e in preghiera li ricondurrò» (Ger 31,8-9). E ancora: «Quando i settant’anni cominceranno a essere compiuti», dice, «io vi visiterò e susciterò sopra di voi la mia buona parola di ricondurvi in questo luogo. E mi invocherete, e andrete e pregherete e io vi esaudirò; voi mi cercherete e troverete e farò terminare la vostra prigionia e vi convocherò da tutte le genti e da tutti i luoghi in cui vi esiliai: questo dice il Signore» (Ger 29,10.12-14). E perciò il nostro Signore Gesù Cristo è inviato dal Signore perché cerchi quel popolo che era stato cacciato per salvarlo, così come Gesù Cristo dice nel Vangelo: «Il Figlio dell’uomo viene a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). Per questo il nostro Signore Gesù Cristo, quando discese dal trono della grandezza per cercare e per salvare questo popolo, per farlo uscire dalla terra del nemico, così come è detto più sopra, rivolse la sua parola a quel popolo. Per cui egli dice nel Vangelo: «In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi lamenterete; ma il mondo si rallegrerà e voi vi rattristerete» (Gv 16,20). E ancora: «Poiché è necessario pregare continuamente e mai smettere» (Lc 18,1). E inoltre: «Vigila e prega per non cadere in tentazione» (Mc 14,38). Per questo egli ci insegna a pregare così:

 

Padre nostro che sei nei cieli

Il Santo Padre nei confronti del quale è indirizzata la nostra preghiera come incenso, come dice il salmista Davide: «O Signore, la mia orazione giunga al tuo cospetto come incenso» (Sal 140,2), è Padre delle luci, cioè delle carità, così come dice san Giacomo nella Lettera: «Ogni dono molto buono e ogni dono perfetto discendono dall’alto, dal Padre delle luci» (Gc 1,17). Ma questi è il perfetto, di cui parla l’Apostolo ai Corinti: «Ma quando sarà giunto ciò che è perfetto, allora sarà svuotato ciò che è parziale» (1Cor 13,10).

Ed egli è il Padre delle misericordie, cioè delle visitazioni, così come dice l’Apostolo ai Corinti: «Il Dio benedetto, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, Padre delle misericordie» (2Cor 1,3). Ma di queste misericordie parla il salmista, dicendo: «Confessino al Signore le sue misericordie» (Sal 106,8). E inoltre è Padre degli spiriti, così come san Paolo dice agli Ebrei: «Quanto più noi obbediremo al Padre degli spiriti, tanto più vivremo» (Eb 12,9). Per questo è inviato il Salvatore, prima di tutto per dare penitenza poiché erano giusti, e poi quello stesso Spirito, cioè colui che è il segnato dello stesso Signore, per osservare i comandamenti del Vangelo e dire questa preghiera.

E inoltre si deve sapere che quel Signore che è Padre delle luci e delle misericordie, cioè delle carità e delle visitazioni, e degli spiriti, è inoltre Padre di tutte le altre sostanze, cioè delle vite, delle anime, dei cuori e dei corpi; poiché così ha testimoniato san Paolo, dicendo: «Ogni paternità è nominata» (Ef 3,15); egli è «un unico Dio e Padre di tutte le cose» (Ef 4,6). Ed egli abita nei cieli, così come dice il salmista: «A te, che abiti nei cieli, ho levato i miei occhi» (Sal 122,1). Ma questi cieli nei quali il nostro Padre abita sono le carità. E anch’egli è carità, così come dice san Giovanni: «Dio è carità» (1Gv 4,8). Inoltre quello stesso Padre che abita nei cieli è il cielo dal quale il nostro Signore Gesù Cristo è uscito e verso il quale si volgeva quando abitava sulla terra[1], così come dice il salmista: «Dalla sommità del cielo la sua venuta» (Sal 18,7). Ed egli, il Signore, dice nel Vangelo: «Io sono uscito da Dio e sono venuto» (Gv 8,42). E poi: «Io sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo» (Gv 16,28). Ma il nostro Signore abitava in quello stesso cielo, così come egli dice nel Vangelo: «Nessuno sale al cielo se non chi è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo che è in cielo» (Gv 3,13). E così il Padre dal quale il Figlio di Dio è uscito, abita nei cieli; perciò dice in seguito: «Non credete voi che il Padre è in me e io nel Padre?» (Gv 14,11). Dice inoltre: «Che voi conosciate che il Padre è in me e io nel Padre» (Gv 10,38).

E bisogna sapere che, come il Santo Padre è in cielo assieme al Figlio, così egli è in tutti noi[2], così come l’Apostolo dice agli Efesini: «Un unico Dio, Padre di tutte le cose, il quale è sopra tutto e per ogni cosa in tutti noi» (Ef 4,6). Ugualmente il Figlio non solamente è nel Padre, ma anche in noi e in tutte le cose che sono in lui e da lui, così come dice san Paolo ai Romani: «Perché da lui, per lui e in lui sono tutte le cose: a lui gloria nei secoli dei secoli» (Rm 11,36). E negli Atti degli Apostoli dice: «Perché in lui viviamo, ci muoviamo e siamo» (At 17,28). E il Signore dice nel Vangelo: «Ma non ti prego solamente per questi, ma anche per quelli che crederanno in me per la loro parola; che tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e io in te, che anch’essi siano una sola cosa in noi» (Gv 17,20-21).

Inoltre bisogna sapere che tutti i cieli nei quali il nostro Padre abita, cioè le carità, sono al settimo cielo, così come l’angelo insegna al profeta Isaia, e gli dice nella sua Visione: «Qui ormai non c’è né trono né gli angeli di sinistra, ma sono ordinati dalla virtù del settimo cielo, qui dov’è il ricco Figlio di Dio[3] e tutti i cieli» (Asc Is 8,7-8). Ma quei cieli, cioè le carità, espandono da qui la loro grazia sopra le nubi, cioè sopra le visitazioni; e fanno ciò perché queste, irrorate dalla rugiada delle carità, espandano la loro pioggia, cioè la loro benedizione, sopra la terra, cioè sopra gli spiriti: perciò quegli spiriti, bagnati dalla benedizione delle visitazioni, germinano il Salvatore nelle loro sostanze, come dice il profeta Isaia: «O cieli stillate dall’alto e le nubi piovano il giusto; la terra si apra e germini il salvatore» (Is 45,8). Per questo lo spirito del nostro primo formato, parlando dell’irroramento del suo capo, cioè della sua visitazione, dice nel Cantico dei Cantici: «Aprimi, sorella mia, amica mia, mia colomba, mia immacolata; poiché il mio capo è pieno di rugiada» (Ct 5,2), cioè di misericordia, perché la sua visitazione, che è il suo capo, aveva ricevuto e trovato grazia e misericordia dalla sua carità. Ma i suoi capelli erano pieni di gocce delle nubi, cioè gli spiriti ministri che servivano il loro capo, cioè la sua visitazione, erano pieni di sozzure, di carità straniere, le quali sono chiamate notti così come le nostre carità sono chiamate luci, così come dice san Giacomo: «Ogni dono molto buono e ogni dono perfetto sono dall’alto, discendenti dal Padre delle luci» (Gc 1,17), cioè delle carità[4], le quali sono luci delle visitazioni perché le illuminano.

Ma quelle visitazioni sono quelle nubi che, ricevuta la rugiada celeste che fa piovere il giusto, lo presentarono alla vista dell’Anziano dei Giorni, così come dice il profeta Daniele, dicendo: «Quindi io guardavo nella visione della notte ed ecco: nelle nubi del cielo veniva uno come il Figlio dell’uomo e arrivò presso l’Anziano dei Giorni; e lo portarono al suo cospetto» (Dn 7,13). E san Giovanni, parlando di quelle nubi, dice: «Ecco: egli viene con le nubi del cielo» (Ap 1,7), cioè con le visitazioni del Padre. E il salmista, parlando del nostro Signore e delle nubi appena menzionate, dice: «E la sua potenza è nelle nubi» (Sal 67,35), ecc.

 

Sia santificato il tuo nome

Questo popolo che offre questa orazione al Signore, disonora il nome del suo Dio tra le genti presso le quali è giunto, così come dice il Signore per mezzo del profeta Ezechiele: «Non agirò per voi, casa d’Israele, ma per il mio santo nome che voi disonorate tra le genti presso le quali siete andati» (Ez 36,22). E questo santo nome fu bestemmiato da questo popolo tra le genti, così come dice l’Apostolo ai Romani: «Perché il nome di Dio è bestemmiato da voi tra le genti, così come è scritto» (Rm 2,24).

Perciò questo popolo prima di tutto chiede al suo Dio che santifichi il suo nome disonorato da loro, per essere santificati. Quindi il Signore ode la loro preghiera ancor prima che lo invochino, così come dice attraverso il profeta Isaia: «Prima che essi invochino, io li esaudirò; mentre ancora stanno parlando, io li avrò sentiti» (Is 65,24). Della santificazione del suo nome, e anche del suo popolo, dice il Signore attraverso il profeta Ezechiele: «Io santificherò il mio grande nome che è disonorato tra le genti, che voi avete disonorato tra di loro, affinché le genti sappiano che io sono il Signore; quando io sarò santificato in voi davanti a loro, io vi  prenderò dalle genti» (Ez 36,23-24), ecc. Ma questo nome che fu disonorato da questo popolo è visitazione del Padre che ha peccato in volontà e non in sozzura. Ma la congregazione delle visitazioni è chiamata Figlio di Dio; per questo il primo Mosè[5] dice: «Hanno peccato davanti a lui e non sono figli suoi nella sozzura» (Dt 32,5). Ma queste visitazioni dovevano prima di tutto essere santificate poiché peccarono solamente in volontà. Anche il Figlio di Dio, che era visitazione, volle altra cosa rispetto al Padre suo, così come egli dice nel Vangelo: «Padre mio, se è possibile, allontana da me questo calice; però non secondo la mia volontà ma secondo la tua» (Mt 26,39). E ancora: «Padre, se tu vuoi, allontana da me questo calice; ma non sia fatta la mia volontà, ma la tua» (Lc 22,42). Perciò il Figlio di Dio santifica se stesso per poi santificare il popolo di Dio, così come egli dice nel Vangelo: «Io santifico me stesso per loro, affinché loro siano santificati nella verità» (Gv 17,19). E bisogna sapere che il nostro Signore Gesù Cristo non solo santifica se stesso per la santificazione del popolo, ma per questa subì la passione, così come san Paolo dice agli Ebrei: «Per questo Gesù subì la passione fuori della porta, per santificare il popolo» (Eb 13,12).

Ma inoltre bisogna sapere che il nome del Padre, cioè la visitazione che è santificazione del Padre, è chiamato Giacobbe, mentre lo spirito a questo sottostante è chiamato Israele; perciò il Signore, volendo santificare il suo nome, cioè la visitazione che è capo delle altre visitazioni che peccarono in volontà, che è anche chiamata Giacobbe, a questo per primo trasmette la sua parola; non perché faccia penitenza, poiché senza penitenza sono i doni e le chiamate di Dio, inoltre perché quel peccato non gli fosse imputato dal Signore, come l’Apostolo dice ai Romani: «Beato è l’uomo al quale il Signore non imputa il peccato» (Rm 4,8). E dice ancora: «Sono senza penitenza» (Rm 11,29), ecc.

Ma il Signore per questo invia prima di tutto la sua parola a Giacobbe: perché la parola cada in Israele, cioè dalla visitazione cada nello spirito, cioè in Israele che è capo degli altri spiriti che hanno peccato; perciò dice il profeta Isaia: «Il Signore ha inviato la sua parola in Giacobbe ed essa è caduta in Israele» (Is 9,8). Per questo Giacobbe, cioè la visitazione, ricevuta la grazia e la misericordia di Dio, si rallegra; e nella sua allegrezza si rallegra Israele, cioè lo spirito, così come dice il salmista: «Chi darà da Sion il salvatore a Israele? Quando il Signore ricondurrà dalla cattività il suo popolo, si rallegrerà Giacobbe e si rallegrerà Israele» (Sal 13,7). Ma questo è il santo Giacobbe che era santificazione dei suoi figli nella predicazione del Dio d’Israele, come il Signore dice attraverso il profeta Isaia: «Non sarà più svergognato Giacobbe, né il volto di lui dovrà provare più vergogna; ma quando vedrà i suoi figli, l’opera delle mie mani in mezzo a lui, che santificano il nome mio, santificheranno il santo Giacobbe e predicheranno il Dio d’Israele» (Is 29,22-23).

Ma bisogna sapere che queste visitazioni che sono chiamate con il nome di Giacobbe sono quelle montagne che devono ricevere il seme del Signore per portare frutti al popolo d’Israele, cioè agli spiriti, così come il Signore dice attraverso il profeta Ezechiele: «Ma voi, o alture d’Israele, fate germogliare i vostri rami per portare frutti al mio popolo Israele; e voi sarete arati e riceverete il seme e io moltiplicherò in voi gli uomini e tutta la casa d’Israele» (Ez 36,8-10). E il salmista parlando di quelle alture e pregando per la pace d’Israele, dice: «Le alture ricevano pace per il popolo» (Sal 71,3). Perciò quel profeta leva i suoi occhi verso quei monti poiché il suo aiuto gli deve venire da essi, così come egli dice: «Ho levato i miei occhi verso i monti dai quali mi verrà aiuto» (Sal 120,1). Ma la città di Dio è fondata su questi monti, così come quel profeta dice: «Le sue fondamenta sono sui monti» (Sal 86,1).

E inoltre bisogna sapere che, volendo il nostro Signore attirare verso sé il suo popolo, come dice la Verità nel Vangelo: «Nessuno può venire a me se il Padre mio non lo attira» (Gv 6,44), ordina a Giacobbe, cioè alla visitazione, di attirare a sé Israele, cioè lo spirito: poiché Giacobbe è la cordicella con la quale Israele è legato e tirato, così come dice il primo Mosè[6]; dice: «Giacobbe, cordicella della sua eredità» (Dt 32,9); della quale eredità dice il Signore per mezzo del profeta Isaia: « Ma la mia eredità è Israele» (Is 19,25). Per questo il Signore dice attraverso il profeta Osea: «Con i legami di Adamo li attirerò, con le cordicelle della carità» (Os 11,4), poiché la carità è chiamata Adamo ed «è legame di perfezione» (Col 3,14), così come dice san Paolo, e ha i suoi legami al di sotto di sé[7], cioè le sue cordicelle, cioè le carità attraverso le quali lega e attira a sé lo spirito. Così la visitazione è cordicella della carità attraverso la quale attira a sé lo spirito. Ed essa è inoltre cordicella dello spirito attraverso la quale lo spirito stesso è legato e tirato su, così come prima è stato detto. Ma di queste cordicelle, cioè delle visitazioni che erano cadute nella eredità del Dio d’Israele[8], lo stesso Signore, attraverso il profeta Davide, dice: «Le corde caddero da me verso lo splendore: poiché la mia eredità mi è molto cara» (Sal 15,6).

E inoltre bisogna sapere che anche le visitazioni straniere sono chiamate cordicelle e legami, così come il salmista, che è lo spirito del primo formato, dice: «E mi tesero le corde come un laccio» (Sal 139,6). E dice ancora: «Le corde dei peccatori mi avvilupparono» (Sal 118,61). E quello stesso profeta, rendendo grazie al suo Dio per avere spezzato le corde di cui si è detto prima, dice: «O Signore, tu hai distrutto i miei legami; io sacrificherò a te sacrifici di lode» (Sal 115,16-17). E il Signore parlando di quei legami dice attraverso il profeta Isaia: «Sventura a voi che attirate l’iniquità con i legami della vanità e il peccato come corde di carro» (Is 5,18).

Bisogna anche sapere che lo spirito è cordicella della vita che attira e lega. E la attira così come dice san Paolo impersonando la vita negli Atti degli Apostoli; dice: «Ed ecco io, legato dallo spirito, vado a Gerusalemme» (At 20,22). Ma la vita è cordicella dell’anima che, aiutata dalla visitazione, attira e congiunge a sé. Perciò Davide, lodando il suo Dio per la congiunzione e per la sua vita dice: «che ha posto la mia anima nella vita» (Sal 65,9).

 

Venga il tuo regno

Questo regno per l’avvento del quale questo popolo prega il Padre suo è figlio di Davide, è il Figlio di Dio[9], cioè il nostro Signore Gesù Cristo, così come san Marco dice nel Vangelo: «E quelli che passavano e che seguivano gridavano dicendo: ‹Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, benedetto il regno del nostro padre Davide che viene» (Mc 11,9-10). Ma questo è il regno che il Dio del cielo doveva suscitare per distruggere i quattro regni di Babilonia; invece quello non sarà distrutto ma sussisterà in eterno nei secoli. Questo regno non sarà consegnato a un altro popolo, così come mostra il profeta Daniele, dicendo: «Ma nei giorni di quei regni, il Dio del cielo susciterà il regno che non sarà distrutto in eterno; e il suo regno non sarà consegnato a un altro popolo, ma distruggerà e devasterà tutti questi regni; ma quello sussisterà in eterno» (Dn 2,44). Questo regno è regno di tutti i secoli, la cui gloria e grandezza predicheranno i santi di Dio e faranno conoscere ai figli degli uomini, così come Davide, rivolgendosi al suo Dio, dice: «O Signore, tutte le tue opere lodano te e i tuoi santi ti benediranno e diranno la gloria del tuo regno e proclameranno la tua potenza e la gloria dello splendore del tuo regno; il tuo regno è regno di tutti i secoli» (Sal 144,10-13).

Ma questo regno, cioè il Figlio di Dio, ha reso i suoi fratelli regni e sacerdoti al suo Dio, così come san Giovanni dice nell’Apocalisse: «Giovanni alle sette chiese che sono in Asia; grazia a voi e pace da colui che è, che era e che sarà, e da Gesù Cristo, il quale ci ama e ci ha fatti regni e sacerdoti a Dio suo Padre » (Ap 1,4-6). Inoltre dei quattro animali e dei ventiquattro anziani, lo stesso san Giovanni dice: «E quando ebbe aperto il libro, i quattro animali e i ventiquattro anziani caddero davanti all’agnello dicendo: ‹O Signore, tu sei degno di ricevere il libro: poiché tu ci hai fatti diventare regni e sacerdoti al nostro Dio e regneranno sopra la terra» (Ap 5,8-10). Perciò Davide, invitando questi stessi che sono stati fatti regni al nostro Dio, dice: «O regni della terra, cantate al Signore, rallegratevi nel Signore» (Sal 67,33).

Ma bisogna sapere che, sebbene questo regno è già venuto una volta per illuminare coloro che erano nelle tenebre e nell’ombra della morte, e per insegnare ai fratelli e annunciare loro il nome del Padre loro, così come egli dice[10]: «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli» (Sal 21,23), bisogna però che di nuovo venga «con i suoi angeli e la sua potenza, con fiamma di fuoco, facendo vendetta di quelli che non hanno conosciuto Dio e di quelli che non hanno creduto al Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo» (2Ts 1,7-8), perché «sia glorificato nei suoi santi e sia onorato in tutti quelli che hanno creduto» (2Ts 1,10), così come san Paolo dice ai Tessalonicesi, e perché salvi e «convochi i suoi eletti dai quattro venti, dalla sommità dei cieli sino ai loro confini» (Mt 24,31), così come è scritto nel Vangelo, e renda a ciascuno secondo le sue opere, così come dice nell’Apocalisse: «Ecco, io vengo presto e con me la mia mercede, per rendere a ciascuno secondo le sue opere» (Ap 22,12). E inoltre è necessario che venga perché i suoi amici, quando egli verrà e discenderà dal cielo al comando e al soffio potente dell’arcangelo nella tromba di Dio, siano rapiti incontro a lui nell’aria per stare con lui per sempre, così come dice san Paolo ai Tessalonicesi: «Ma, fratelli, non vogliamo lasciarvi nell’ignoranza riguardo a coloro che dormono, perché voi non siate contristati come quelli che non hanno speranza; poiché, se noi crediamo che Gesù è morto ed è risorto, così crediamo che Dio condurrà a sé quelli che si sono addormentati in Gesù; infatti diciamo questo per la parola del Signore: perché noi che viviamo, che siamo rimasti per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che si sono addormentati; poiché lo stesso Signore discenderà dal cielo a un ordine e alla voce dell’arcangelo, al suono della tromba di Dio e i morti che sono in Cristo risorgeranno per primi; poi noi che viviamo, che siamo rimasti, saremo rapiti con loro nelle nubi, incontro a Cristo nell’aria e così per sempre saremo con il Signore. Dunque confortatevi a vicenda con queste parole» (1Ts 4,13-18).

Ma come sia imminente la redenzione di questo popolo e l’avvento di questo regno, cioè del Figlio di Dio, lo dice il Signore mostrandolo nel Vangelo: «Quindi vedranno il Figlio dell’uomo venire dalle nubi con grande potenza e gloria. E allora invierà i suoi angeli e raccoglierà i suoi eletti dai quattro venti, dai confini della terra sino ai confini del cielo» (Mc 13,26-27). Perciò questo popolo, molto curioso della venuta del suo Signore, domanda a lui in segreto, secondo quello che mostra l’Evangelista: «Dicci quando avverranno queste cose e quale sarà il segnale della tua venuta e della consumazione dei secoli» (Mt 24,3). E poiché quel popolo spera di ricevere dal Signore al suo arrivo la propria ricompensa e salvezza, come è detto più sopra e come dice san Paolo ai Romani: «Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere: a quelli che hanno perseverato nelle opere buone, gloria, onore e incorruttibilità; certamente vita eterna a coloro che la chiedono; ma a quelli che sono nella contesa, che non si accordano con la verità ma con l’iniquità, ira e indignazione e tribolazione e angoscia; ma gloria, onore e pace a tutti quelli che operano bene» (Rm 2,6-10). Perciò Davide, ispirato dallo Spirito Santo, pregando per l’avvento del Signore dice: «Tu che regni su Israele, ascolta, che riconduci Giuseppe come pecora: risveglia la tua potenza e vieni a salvarci» (Sal 79,2-3). E san Giovanni, ricordando questa preghiera nell’Apocalisse, dice: «E lo sposo e la sposa dicono: ‹Vieni›; e chi ascolta dica: ‹Vieni» (Ap 22,17). E lo stesso san Giovanni, pregando così, dice: «O Signore, vieni» (Ap 22,20). Perciò lo stesso Signore, parlando per confortare questo popolo, dice nell’Apocalisse: «Ecco che io vengo presto; conserva quello che hai» (Ap 3,11). E ancora: «Ecco che io vengo presto e con me la mia mercede, per rendere a ciascuno secondo le sue opere» (Ap 22,12). E san Giacomo dice che «la venuta del Signore è vicina» (Gc 5,8). E san Paolo dice agli Ebrei: «Ancora un poco, solo un poco, e chi deve venire verrà senza tardare» (Eb 10,37).

Il regno del nostro padre Davide di cui si è detto sopra, cioè il nostro Signore Gesù Cristo[11], viene anche per questo. E inoltre deve presto venire «perché, assiso sopra il regno del suo padre Davide, lo confermi nel giudizio e nella giustizia da qui innanzi per sempre» (Is 9,7), così come dice attraverso il profeta Isaia; inoltre, stabilito dal Padre suo sopra ogni principato e potestà, potenza e signoria che sono fatti in lui e di cui è capo, svuotati ogni potestà e principato, potenza e signoria e spogliatili, consegnarli alla sua venuta a Dio e al Padre, così come san Paolo dice agli Efesini: «E costituendo lui alla sua destra nei cieli sopra ogni principato e potestà, potenza e signoria» (Ef 1,20-21). E dice ai Colossesi: «Poiché in lui sono fatte tutte le cose visibili nei cieli e sulla terra, troni e signorie, principati e potestà» (Col 1,16). E ai Colossesi dice: «Spogliati i principati e le potestà, li condusse trionfando davanti a sé» (Col 2,15). Ma di questa fine egli stesso, il Signore, dice nell’Apocalisse: «Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine» (Ap 1,8; 21,6). E sicuramente della venuta del Signore e dell’opera che doveva compiere al suo avvento, il profeta Malachia parla, dicendo: «Improvvisamente verrà al suo santo tempio il Signore che voi cercate, l’angelo del testamento che voi cercate; ‹Ecco: viene!›, questo dice il Signore degli eserciti; e chi potrà sostenere il giorno del suo avvento e chi potrà stare a vederlo? Poiché è come fuoco che fonde, come l’erba dei lavandai» (Ml 3,1-2). Ma, poiché molti «schernitori, che vanno con le proprie passioni» (2Pt 3,3), come dice san Pietro nella Lettera, dubitando della venuta del nostro Signore Gesù Cristo e ignorando in quale maniera e quando egli deve venire, hanno detto: «Dove sono la sua promessa e la sua venuta? Poiché dalla morte dei nostri padri tutte le cose sono rimaste così come dagli inizi della creazione» (2Pt 3,4), dice che il nostro Signore Gesù Cristo verrà presto e non tarderà (cfr. Eb 10,37).

Ma in quale maniera verrà questo benedetto regno del nostro padre Davide, cioè il Figlio di Dio[12], e quale sarà il segno della sua venuta, lui stesso lo mostra nel Vangelo dicendo: «La tribolazione; ma subito dopo quei giorni il sole si oscurerà e la luna non darà la sua luce e le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte; quindi apparirà il segno del Figlio dell’uomo nel cielo e allora si compiangeranno tutte le tribù della terra e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e maestà; come fu ai tempi di Noè, così sarà alla venuta del Figlio dell’uomo» (Mt 24,29-30.37). E inoltre: «Quando egli si sarà seduto sopra il trono della sua maestà, e tutte le genti saranno condotte davanti a lui» (Mt 25,31-32), ecc. E san Giovanni dice nell’Apocalisse: «Ecco: egli viene con le nubi del cielo e ogni occhio lo vedrà e quelli che lo trafissero e tutte le tribù della terra, sì, in verità» (Ap 1,7). E san Pietro parla di questo Signore che nell’Apocalisse ha detto: «Ecco: io vengo come un ladro» (Ap 16,15). Il quale Signore è giorno del Santo Padre, del quale giorno anche noi siamo, come dice san Paolo: «Infatti voi siete figli della luce e figli del giorno; noi, che siamo del giorno, siamo temperanti» (1Ts 5,5.8); quello stesso san Pietro dice nella Lettera che «il giorno del Signore verrà come un ladro» (2Pt 3,10). E san Paolo dice ai Tessalonicesi: «Voi sapete, infatti, che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (1Ts 5,2).

Perciò il popolo del Signore, avendo fiducia nella sua promessa, prega il Santo Padre che, per compiere le cose innanzi dette, venga quaggiù nel suo regno.

 

Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra

Questo popolo, dopo avere pregato il Padre per la santificazione del suo nome e per la venuta del suo regno, così come è detto sopra, prega inoltre il Padre suo che la sua volontà sia fatta come in cielo così anche sulla terra. Ma quale sia la volontà di Dio che deve essere fatta come in cielo così anche sulla terra, san Paolo lo mostra ai Tessalonicesi, dicendo: «Questa è la volontà di Dio: che vi asteniate dalla fornicazione, che ciascuno di voi sappia mantenere il proprio vaso in santità e onore e non nella passione della libidine così come quelli che non conoscono Dio, e che nessuno inganni o derubi suo fratello, poiché il Signore è vendicatore di tutte queste cose; correggete gli impazienti, confortate quelli che hanno poco coraggio, sostenete gli infermi, siate pazienti con tutti e fate in modo che nessuno renda male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti. State lieti davanti al Signore, pregate senza sosta, in ogni cosa rendete grazie; poiché questa è la volontà di Dio in Cristo in tutti voi» (1Ts 4,3-6; 5,14-18). E poiché il Padre «opera tutte le cose secondo il consiglio della sua volontà» (Ef 1,11), come dice san Paolo agli Efesini, il Figlio suo è disceso dal cielo per compiere la sua volontà e per insegnare ai propri fratelli qual è la volontà del Padre, così come mostra nel Vangelo, dicendo: «Poiché io sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha inviato; ma questa è la volontà del Padre che mi ha inviato: che tutto ciò che il Padre mi ha dato io non lo perda ma lo risusciti nell’ultimo giorno; perché questa è la volontà del Padre mio che mi ha inviato: che tutti quelli che vedono il Figlio e credono in lui abbiano la vita eterna e io li risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6,38-40). E per questo l’Apostolo prega i suoi fratelli che capiscano e riconoscano qual è la volontà buona di Dio, gradita e perfetta (cfr. Rm 12,2). E inoltre egli prega Dio per loro perché li ricolmi di ogni bene, affinché facciano la sua volontà. E dice agli Ebrei: «Dio vi ricolmi di ogni bene perché facciate la sua volontà e compia in voi ciò che a lui piace, per mezzo di Gesù Cristo» (Eb 13,21).

E bisogna sapere che il Santo Padre che è invocato da questo popolo è Padre del cielo e di quella terra nei quali la sua volontà deve essere fatta, cioè sia nell’uno che nell’altra, come il nostro Signore mostra nel Vangelo, dicendo: «Io ti lodo, Signore del cielo e della terra» (Mt 11,25). E quel cielo è lo spirito: poiché lo spirito è chiamato cielo. Ma anche la visitazione e la carità sono chiamate cieli, così come è scritto nel libro di Gesù Sirach: «Ecco: il cielo e i cieli dei cieli saranno turbati alla sua vista, e quando Dio li guarderà essi saranno scossi per il timore» (Sir 16,18-19). Ma la terra nella quale la volontà di Dio deve essere fatta è la terra di vita, la quale è sottoposta al cielo, cioè allo spirito.

Perciò questo popolo, cioè la congregazione degli spiriti, prega che, come di loro, così anche delle vite il Signore misericordioso abbia compassione e le santifichi, e come il Signore opera sullo spirito, così operi anche sulla vita. E per questo il salmista, che è lo spirito del primo formato, prevedendo in spirito che la misericordia del Signore sarebbe discesa sopra le vite, promette e dice che loderà e benedirà il suo Dio nella sua vita, dicendo: «Perché più grande è la tua misericordia sopra le vite; le mie labbra ti loderanno e così ti benedirò nella mia vita» (Sal 62,4-5). Ma poi quello stesso profeta, pregando per la salvezza della propria anima, dice: «O Signore, pietà di me e sana la mia anima: poiché io ho peccato davanti a te» (Sal 40,5). E ancora dice: «O Signore, libera la mia anima dalle labbra di menzogna e dalla lingua che inganna» (Sal 119,2).

Ma quello stesso profeta, avendo compreso che la sua preghiera era stata ascoltata dal suo Dio, cioè che il Signore aveva fatto del bene alla sua anima e l’aveva liberata dalla morte, così come egli mostra dicendo: «O anima mia, ritorna al tuo riposo; poiché il Signore ti ha fatto del bene» (Sal 114,7), invita quella stessa anima a lodare il suo Signore Dio. E inoltre mostra che egli loderà il Signore nella sua vita dicendo: «O anima mia, loda il Signore; io loderò il Signore nella mia vita; finché io vivrò mi rallegrerò nel mio Dio» (Sal 145,2). Quello stesso profeta invita la propria anima a benedire il suo Signore perché aveva redento la sua vita dalla morte, dicendo: «O anima mia, benedici il Signore che redime la tua vita dalla morte» (Sal 102,1.4). E così queste tre sostanze, cioè lo spirito, la vita e l’anima, dopo avere ricevuto grazia e misericordia dal Padre loro, devono lodare a un’unica voce, benedire e rallegrarsi nel Signore.

 

Dacci oggi il nostro pane sovrasostanziale

Questo popolo di cui si è parlato prima, che fa questa preghiera al Padre suo, è un pane, così come san Paolo mostra ai Corinti, dicendo: «Perché tutti siamo un solo pane e un solo corpo e tutti prendiamo parte a un solo pane e a una sola bevanda» (1Cor 10,17). E poiché quel popolo aveva fame e sete da molto tempo, così come dice il profeta Davide: «Affamati e assetati, la loro anima veniva meno» (Sal 106,5), a lungo hanno richiesto il pane ma non c’era chi glielo desse, così come dice il profeta Geremia: «I piccoli chiedevano il pane ma non c’era chi glielo desse» (Lam 4,4). Perciò il Signore «ricordandosi della sua misericordia per la casa d’Israele» (Sal 97,3), come dice il salmista, «riempì di beni gli affamati e lasciò i ricchi a mani vuote» (Lc 1,53), come dice la benedetta Maria. Egli dona a loro quel pane del quale il Signore parla nel Vangelo: «Io sono il pane vivo che è disceso dal cielo» (Gv 6,51); così come mostra Isaia, parlando di quel Figlio di Dio che è donato a questo popolo, dicendo: «Un bambino ci è donato e un figlio è nato a noi» (Is 9,6).

Ma quando questo pane vivo è disceso dal cielo ed è stato donato al suddetto popolo che è un solo pane e un solo corpo, ha insegnato loro a chiedere ancora al Padre un altro pane, cioè il sovrasostanziale, cioè la carità; poiché la carità è chiamata pane sovrasostanziale perché sta sopra tutte le altre sostanze, cioè visitazione, spirito, vita, anima, cuore e corpo; e da questo pane tutte queste sostanze sono sostenute, così come mostra l’Apostolo ai Corinti, dicendo: «La carità è paziente, è benigna la carità; tutto sopporta, tutto crede, tutto spera e tutto sostiene» (1Cor 13,4.7). Ma certamente questa carità che sostiene tutto, così come dice san Paolo, vigila e sostiene la visitazione; ma la visitazione, aiutata dalla carità, vigila e sostiene lo spirito, così come dice il benedetto Giobbe, parlando del suo Dio: «Vita e misericordia mi hai dato e la tua visitazione vigila sul mio spirito» (Gb 10,12). Ma lo spirito vigila e sostiene la vita, così come è scritto nelle Parabole di Salomone: «Lo spirito dell’uomo sostiene la debolezza» (Pr 18,14). E l’Apostolo, parlando in persona della vita, dice ai Romani: «Così lo spirito aiuta la nostra debolezza» (Rm 8,26). Ma la vita sostiene e vigila sull’anima. Ma l’anima rivolta verso il suo riposo, vigila sul cuore; il quale cuore sostiene il corpo. Così ciascuna di queste sostanze, con l’aiuto della carità, è custodita dalla superiore.

Ma il salmista, il quale non aveva tutta la sua sostanza, ma era senza una parte della sostanza che gli apparteneva, ricevuta dal Padre suo e perduta in una contrada lontana vivendo lussuriosamente, parlando al Padre suo della propria sostanza, cioè della carità che non aveva ancora ricevuto dal Padre suo, dice: «La mia sostanza è presso di te» (Sal 38,8). E ancora, parlando della propria sostanza che aveva perduto, cioè della vita e dell’anima, dice: «La mia sostanza è nelle cose più basse della terra» (Sal 138,15). E perciò quello stesso salmista, avendo perduto una sostanza e non potendo avere l’altra, grida al suo Dio, dicendo: «O Dio, salvami; poiché le acque sono entrate nella mia anima; sono confitto nel fango della terra[13] e non c’è sostanza» (Sal 68,2-3). Così quel profeta che è nostro padre e servo del nostro Dio, così come gli apostoli rendendogli testimonianza negli Atti degli Apostoli hanno detto: «O Signore Dio che hai fatto il cielo e la terra e il mare e tutte le cose che sono in essi; che attraverso lo Spirito Santo, per bocca del nostro padre Davide, il tuo servo, hai detto» (At 4,24-25), ecc. Ed egli è stato trovato imperfetto davanti al suo Dio, così come dice: «Signore, i tuoi occhi hanno visto la mia imperfezione» (Sal 138,16). E ancora dice: «Io sono ricondotto a niente e non sapevo nulla» (Sal 72,22). Perciò il nostro Signore, che è fatto del suo seme secondo la carne (cfr. Rm 1,3), discende nelle parti più basse della terra, così come dice l’Apostolo agli Efesini: «Ma cosa significa che ascende, se non che prima è disceso nelle parti più basse della terra? Colui che discende è quello stesso che sale sopra tutti i cieli per portare a compimento tutte le cose» (Ef 4,9-10). Così il Dio di ogni grazia invia il suo Figlio amato e il dono della sua carità a quel Davide e al popolo, per perfezionare, consolidare e confermare[14], così come san Pietro mostra nella sua Lettera, e dice: «Ma il Dio di ogni grazia che ci chiama nella sua eterna gloria in Gesù Cristo, ha sopportato un poco[15]; egli stesso perfezionerà, confermerà e consoliderà» (1Pt 5,10).

Perciò quel popolo chiede al Padre suo che il suo pane sovrasostanziale, cioè la carità, gli sia donato dal Padre oggi, cioè in questo giorno[16], ossia in Cristo, che è quel nostro giorno del quale il salmista dice: «Questo è il giorno che il Signore ha fatto, rallegriamoci in esso» (Sal 117,24). E ancora dice: «Il giorno invia la parola al giorno» (Sal 18,3), cioè: il Padre insegna la parola al Figlio, così come lo stesso nostro Signore insegna nel Vangelo dicendo: «Io non sto parlando da me stesso, ma il Padre che mi invia mi ha ordinato cosa dire e di cosa io devo parlare; e io so che il suo comandamento è vita eterna. Dunque ciò che dico, così come a me lo ha detto il Padre lo dico» (Gv 12,49-50). E l’Apostolo, parlando di quel giorno, dice ai Romani: «La notte è avanzata, ma il giorno si avvicina» (Rm 13,12). E ancora, parlando agli Ebrei, insegna che lo Spirito Santo invia questo giorno in Davide, quando, parlando del suo riposo, dice: «Poiché risulta che alcuni devono ancora entrare nel riposo di Dio, e quelli ai quali per primi arrivò l’annuncio non entrarono per disobbedienza; quindi ha fissato un giorno in Davide dicendo dopo tanto tempo come è detto più sopra: ‹Oggi, se voi udite la sua voce non vogliate indurire i vostri cuori» (Eb 4,6-7). Perciò questo popolo prega il Padre suo, poiché in questo giorno, cioè in Cristo, è sofferto il termine della sua salvezza e la fine del suo travaglio, che in lui sia donato a loro il suo pane sovrasostanziale, cioè la carità, in modo che non venga più rinviata a un altro giorno, ma che sia donata loro dal Padre; poiché essa «è legame di perfezione» (Col 3,14); anzi essa è la perfezione stessa, come dice l’Apostolo ai Corinti: «Ma quando sarà giunto ciò che è perfetto, allora sarà svuotato ciò che è parziale» (1Cor 13,10). Ed essa è una tale perfezione che senz’essa nessuno può essere perfetto, come dice san Paolo ai Corinti: «Se io parlassi con le lingue degli uomini e degli angeli e non avessi la carità, io sarei come un bronzo sonante e un cembalo che squilla; e se io avessi la profezia e conoscessi tutti i segreti e tutta la scienza e avessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, io non sarei niente» (1Cor 13,1-2), ecc.

Perciò questo popolo prega che questo pane sovrasostanziale, cioè la carità, gli sia donato dal Padre, in modo che, quando l’avranno ricevuto, siano trovati perfetti davanti al loro Dio, così come mostra il pane vivo che discende dal cielo insegnando loro nel Vangelo: «Siate anche voi perfetti così come il Padre vostro celeste è perfetto» (Mt 5,48).

 

E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori

Ma quali sono quei debiti per il perdono dei quali questo popolo prega il Padre suo, l’altro Evangelista lo mostra, dicendo: «E perdona a noi i nostri peccati» (Lc 11,4). Per questo bisogna sapere che il primo padre di questo popolo ha peccato davanti al suo Dio, così come il Signore mostra attraverso il profeta Isaia, dicendo a questo popolo, cioè a Israele: «Il tuo primo padre ha peccato» (Is 43,27). Perciò quel padre, cioè lo spirito del primo formato, confessando i propri peccati al suo Dio, dice nel Vangelo: «Padre, ho peccato in cielo[17] davanti a te» (Lc 15,18.21). E nel salmo dice: «Io ho peccato contro te solo e ho fatto il male davanti a te» (Sal 50,6). E anche il popolo di quel primo padre ha peccato davanti al suo Dio, così come lo Spirito del Signore, parlando attraverso il profeta Geremia, dice a loro: «Per i peccati che avete fatto davanti a Dio sarete condotti prigionieri del re di Babilonia a Babilonia» (Bar 6,1). E il profeta Daniele, pregando per sé e per il suo popolo, dice: «O mio Signore, Dio grande, terribile, noi abbiamo peccato, noi abbiamo commesso iniquità, noi abbiamo agito empiamente; poiché a causa dei nostri peccati e per le iniquità dei nostri padri, Israele, il tuo popolo, è oggetto di vituperio» (Dn 9,4-5.16).

E ancora quel medesimo popolo è in odio l’uno con l’altro e peccarono l’uno contro l’altro, così come dice l’Apostolo, parlando a suo figlio Tito: «Poiché noi eravamo insipienti e increduli ed erranti nei desideri e diversi piaceri, vivendo nella malvagità e nell’invidia, degni di odio, odiandoci a vicenda» (Tt 3,3). E il Signore, parlando di quel popolo peccatore, dice attraverso il profeta Geremia: «Ciascuno si guardi dal suo prossimo e non si fidi totalmente del proprio fratello: poiché ogni fratello che inganna sarà ingannato, e ogni amico mentirà al fratello e lo calunnierà e mentirà: perché essi insegnarono alla loro lingua a dire menzogne e si sforzarono di comportarsi iniquamente» (Ger 9,4-5). E il Signore, parlando attraverso il profeta Ezechiele di ciò alla sua città, Gerusalemme, dice: «Ecco i principi d’Israele, ciascuno con la sua forza entrò in te per spargere il sangue con il proprio braccio, in te hanno tormentato il padre e la madre, calunniato lo straniero in mezzo a te, hanno oppresso l’orfano e la vedova presso di te; ciascuno ha operato infamie» (Ez 22,6-7.11), ecc. E nel libro della Sapienza è scritto del peccato di questo popolo: «Quelli o sacrificando i loro figli o passando notti tra le orge, non conservando integre né la vita né le nozze, ma l’uno uccide l’altro per invidia o lo contrista con l’adulterio e tutto è in grande confusione: sangue, omicidi, furto, inganno e corruzione, infedeltà, perturbamento e spergiuri, tumulti, ingratitudine per i beni del Signore, corruzione delle anime, mutamento delle nascite, incostanza dei matrimoni, disordini di adulteri e di impudicizia» (Sap 14,23-26).

Per questo il Santo Padre comanda a quel popolo che aveva peccato l’uno contro l’altro, attraverso il Figlio suo, che essi si perdonino, dicendo: «Perdonate e vi sarà perdonato: ma se voi non perdonerete agli uomini i loro peccati, neppure il vostro Padre celeste perdonerà a voi i vostri peccati» (Lc 6,37; Mt 6,15). E ancora il nostro Signore Gesù Cristo, parlando nel Vangelo del padrone adirato contro il servo malvagio che non voleva perdonare all’altro servo e comanda che fosse consegnato ai tormentatori finché non avesse reso tutto ciò che doveva, dice: «Così farà a voi il Padre mio, se voi non vi perdonerete l’un l’altro nel vostro cuore» (Mt 18,35). E l’Apostolo al quale Cristo parlava dice agli Efesini: «Siate benigni tra di voi e misericordiosi, perdonandovi tra di voi come Dio in Cristo perdona a voi» (Ef 4,32). E ai Colossesi dice: «Sopportandovi a vicenda, perdonandovi tra di voi; se qualcuno ha qualcosa contro un altro, come il Signore perdona a voi così sia anche tra di voi» (Col 3,13).

Perciò questi del popolo, volendo perdonare come il Signore comanda affinché sia a loro stessi perdonato, pregano il Padre loro che perdoni i loro debiti così come essi stessi li perdonano a tutti i loro debitori. E bisogna sapere che essi erano debitori fin dal principio, cioè debitori dell’amore reciproco, così come san Giovanni mostra nella Lettera dicendo: «E ora, signora, io ti prego, non come se ti scrivessi un comandamento nuovo, ma quello che abbiamo fin dal principio, cioè di amarci l’un l’altro» (2Gv 5). Inoltre quello stesso popolo nel tempo opportuno e nel giorno della salvezza è debitore di quel debito, cioè della carità reciproca, così come l’Apostolo mostra ai Romani, dicendo: «Noi siamo debitori non alla carne, per vivere secondo la carne» (Rm 8,12). E dice ancora: «A nessuno dovete nient’altro se non l’amore reciproco: poiché chi ama adempie la legge» (Rm 13,8). Ma il nostro Signore Gesù Cristo, ricordando quel debito, cioè l’amore, dice nel Vangelo: «Questo io vi comando: che vi amiate l’un l’altro» (Gv 15,17). E san Giovanni dice nella Lettera: «O carissimi, così come Dio ama noi, allo stesso modo noi dobbiamo amarci l’un l’altro; questo è il suo comandamento: che noi crediamo nel nome del suo Figlio, Gesù Cristo, e che ci amiamo l’un l’altro» (1Gv 4,11; 3,23).

Perciò questo popolo in cui ci si ama reciprocamente e che perdona a tutti i suoi debitori, secondo quello che dice san Luca, prega il Padre suo dicendo: «Perdona a noi i nostri peccati, così come noi perdoniamo a tutti i nostri debitori» (Lc 11,4).

 

E non ci indurre in tentazione

Inoltre il santo popolo prega il Santo Padre di non indurlo in tentazione perché, preso in quella tentazione, non cada, così come dice l’Apostolo ai Corinti: «Se qualcuno presume di stare in piedi, veda di non cadere; non vi assalga nessuna tentazione se non umana» (1Cor 10,12-13). Per questo il nostro vescovo Gesù Cristo fu tentato in ogni cosa a somiglianza[18], senza peccato, per potere aiutare i suoi fratelli nelle tentazioni, così come dice san Paolo agli Ebrei: «Poiché noi non abbiamo un vescovo che non possa compatire le nostre infermità; ma fu tentato in ogni cosa a somiglianza, senza peccato» (Eb 4,15). E «poiché sopportò la tentazione è capace di aiutare coloro che sono tentati» (Eb 2,18).

E bisogna sapere che il nostro Signore tenta qualche volta il suo popolo, così come dice la Sapienza: «Le anime dei giusti sono nella mano di Dio e perciò non toccherà loro il tormento della morte; poiché Dio li tenta e li trova degni di sé e li prova come oro nella fornace» (Sap 3,1.5-6). E l’Apostolo, parlando agli Ebrei di quella tentazione, dice: «Per fede Abramo offrì Isacco, come tentato nel sacrificare l’unico figlio che doveva ricevere le promesse» (Eb 11,17).

Inoltre il Signore permette che il suo popolo sia tentato, così come dice san Pietro nella Lettera: «O carissimi, non vi sembri strano l’incendio che è fatto contro di voi dalla tentazione e non spaventatevi, come se vi avvenisse qualcosa di nuovo; ma, accomunati alla passione di Cristo, rallegratevi» (1Pt 4,12-13). E san Giacomo dice: «Ma ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza, che lo attrae e lo seduce» (Gc 1,14). Ma questa tentazione è fatta da quel tentatore del quale dice san Matteo: «Allora Gesù fu condotto nel deserto dallo Spirito perché fosse tentato dal diavolo e, avvicinandosi, il tentatore disse» (Mt 4,1.3), ecc. E san Luca dice: «Ed esaurita ogni tentazione, il diavolo lo lasciò fino al tempo stabilito» (Lc 4,13). E l’Apostolo dice ai Tessalonicesi: «Perciò non potendo più resistere, mandai a chiedere della vostra fede, che per sventura il tentatore non vi avesse tentati e il vostro lavoro fosse così reso vano» (1Ts 3,5).

E bisogna sapere che il nostro Signore qualche volta permette la tentazione[19] perché sia fatto dono dell’esempio della propria pazienza agli uomini futuri, così come è scritto nel libro di Tobia, il vecchio che temeva Dio: «Ma il Signore ha permesso per questo che lui fosse tentato: per dare esempio ai posteri della sua pazienza, così come di san Giobbe» (Tb 2,12). E san Giacomo dice nella Lettera: «Fratelli, ricevete esempio dal travaglio e dalla pazienza dei profeti» (Gc 5,10), ecc. E bisogna sapere che la tentazione è fatta dal Signore al suo popolo per due motivi. Il primo è perché lo stesso popolo tenta il Signore come nei giorni antichi e lo prova, secondo quello che dice san Paolo agli Ebrei (cfr. Eb 3,9). E ai Corinti dice: «E non tentiamo Dio così come alcuni di loro lo tentarono e perirono a causa dei serpenti» (1Cor 10,9). E perciò quello stesso Signore, volendo portare a compimento quell’opera promessa attraverso il profeta Isaia a proposito della sua vigna che è la casa d’Israele, disse: «La giudicherò misura contro misura quando sarà esiliata» (Is 27,8). E per questo il Signore vuole provare e tentare questo popolo: poiché il popolo lo tenta. L’altro motivo della tentazione del Signore è che, quando quel popolo sarà stato provato con la tentazione, riceverà la corona di vita, così come è scritto nel libro della Sapienza: «Poiché Dio li tenta e li trova degni di sé; e li prova come oro nella fornace e come vittima di sacrificio» (Sap 3,5-6). E san Giacomo dice: «Beato l’uomo che sopporta la tentazione; poiché quando sarà provato, egli riceverà la corona di vita che Dio ha promesso a coloro che lo amano» (Gc 1,12). Perciò il Signore, parlando a coloro che avevano sopportato la tentazione con lui, dice loro: «Voi siete quelli rimasti con me nelle mie tentazioni e io dispongo per voi, così come il Padre mio ha disposto per me, il regno, affinché voi mangiate e beviate alla mia tavola nel mio regno e sediate sopra i dodici seggi, giudicando le dodici tribù d’Israele» (Lc 22,28-30).

E bisogna sapere che la duplice tentazione che è fatta al popolo di Dio, cioè la tentazione di Dio e la tentazione del diavolo, è fatta loro per due motivi: la tentazione di Dio per la vita e la tentazione del diavolo per la morte. La tentazione per la vita è quella di cui dice la Sapienza: «Dopo avere sofferto poco, riceveranno molto: perché Dio li tenta e li trova degni di sé» (Sap 3,5), ecc. E san Giacomo dice: «Beato l’uomo che sopporta la tentazione» (Gc 1,12). E nel libro della Sapienza è scritto: «La sapienza dà la vita ai suoi figli; chi la ascolta permarrà confidente perché essa lo accompagna nella tentazione; timore e paura e prove scatenerà sopra di lui per tentarlo fin nel suo pensiero e lo renderà felice e gli scoprirà le sue cose nascoste e lo riempirà di scienza, intelletto e giustizia» (Sir 4,12.16.18-21). La tentazione del diavolo per la morte è quella della quale san Paolo, parlando a Timoteo, dice: «Poiché quelli che vogliono diventare ricchi cadono nella tentazione e nel laccio del diavolo» (1Tm 6,9). E nell’Apocalisse dice: «Ecco che il diavolo sta per gettarvi in carcere per tentarvi e avrete tribolazioni per dieci giorni» (Ap 2,10). E inoltre dice all’angelo di Filadelfia: «E io ti preserverò dall’ora della tentazione che sta per venire in tutto il mondo per tentare gli abitanti della terra» (Ap 3,10).

E bisogna sapere che questo popolo non prega il Padre suo che non lo tenti, come il loro padre, cioè il salmista Davide, che pregava così il Padre suo: «O Signore, mettimi alla prova e tentami» (Sal 25,2); ma prega il Santo Padre che non lo conduca nella tentazione del diavolo e della morte per i suoi peccati. Perciò il nostro Signore, conoscendo già da prima la tentazione preparata a Simone e agli altri apostoli, dice nel Vangelo: «Ecco, Simone, che Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te perché la tua fede non vacilli; e tu, una volta convertito, riconferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32). E poi dice a loro: «Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione» (Mt 26,41).

 

Ma liberaci dal male

Questo popolo che prega il Santo Padre è il gregge del Signore; questo popolo lo prega di liberarlo dal male perché è stato fatto prigioniero, così come mostra il profeta Geremia, dicendo: «La mia anima implorerà davanti all’orgoglio; piangerà e i miei occhi effonderanno lacrime poiché il gregge del Signore è stato catturato e disperso» (Ger 13,17). Di questo gregge dice il Signore nel Vangelo: «Non temere, o piccolo gregge: perché al Padre vostro è piaciuto donarvi il regno di vita» (Lc 12,32). Questo gregge, cioè il popolo del Signore, è stato fatto prigioniero e quelli che lo presero non lo volevano lasciare libero, così come dice il profeta Geremia: «I figli d’Israele e i figli di Giuda sono tormentati; tutti quelli che li presero li tengono prigionieri e non li vogliono liberare. Il loro redentore è forte: Signore degli eserciti è il suo nome» (Ger 50,33-34).

E quando questo popolo fu imprigionato in quel carcere, quelli hanno gridato al Signore dicendo: «Liberaci dal male» (Mt 6,13). Questo male dal quale il popolo di Dio prega di essere liberato, lo interpretiamo come il diavolo. Poiché nelle Sante Scritture è chiamato male, Satana e diavolo. Egli è chiamato male, secondo ciò che Matteo mostra nel Vangelo a proposito del seme, dicendo: «Tutti quelli che ascoltano la parola del regno e non la intendono, viene il male e porta via ciò che è seminato nel suo cuore» (Mt 13,19). Ed è anche chiamato Satana, come mostra san Marco parlando proprio di lui, dicendo: «E quando hanno udito la parola, viene Satana e rapisce la parola che è seminata nel loro cuore» (Mc 4,15). Ed è anche chiamato diavolo, così come dice san Luca: «Il diavolo rapisce la parola dal cuore» (Lc 8,12). Ed è chiamato nemico, così come mostra san Matteo, parlando dei semi di zizzania, dicendo: «O Signore, non hai forse tu seminato buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?» (Mt 13,27). E poi dice Cristo spiegando quella parabola, che «il nemico che ha seminato è il diavolo» (Mt 13,39).

Ma è proprio questo quell’uomo malvagio dalla malizia del quale il salmista, gridando al Signore, lo pregava di liberarlo da quell’uomo malvagio, dicendo: «O Signore, liberami dall’uomo malvagio e sottraimi all’uomo cattivo» (Sal 139,2). E dice ancora: «O Signore, pietà di me poiché l’uomo mi ha calpestato, ogni giorno l’aggressore mi ha oppresso» (Sal 55,2). Inoltre il popolo di Dio, gridando a quello stesso, dice: «O Signore, levati, aiutaci e liberaci per il tuo nome» (Sal 43,26). Ma questo uomo malvagio regnava sopra loro a causa dei loro peccati; e ancora regna sopra molti, così come è scritto nel libro di Giobbe: «E sopra le genti e sopra tutti gli uomini che fanno regnare l’uomo ipocrita a causa dei peccati del popolo» (Gb 34,29-30). Perciò quello stesso Giobbe dice: «Dio mi ha rinchiuso presso l’iniquo e mi ha consegnato nelle mani degli iniqui» (Gb 16,12). Proprio questo è il nemico per il quale Davide si rivolge al suo Dio, dicendo: «O Signore, ascolta la mia orazione perché il nemico perseguita la mia anima e umilia la mia vita nella terra relegandomi nell’oscurità, come i morti del secolo» (Sal 142,1.3). E Gerusalemme, nostra madre, compiangendosi per quel nemico, dice per mezzo del profeta Geremia: «I miei figli sono perduti poiché il nemico ha potere; il mio nemico stermina quelli che io avevo nutrito» (Lam 1,16; 2,22). E ancora dice per mezzo del profeta Baruc: «Il Signore mi ha mandato un gran pianto, poiché ho visto la cattività dei miei figli. O figli, siate pazienti poiché il nemico vi ha perseguitati a causa dell’ira di Dio» (Bar 4,9-10.25). Per questo l’Apostolo, parlando ai figli di quella Gerusalemme, dice di quel nemico: «Ma il Dio della pace schiaccerà Satana sotto i vostri piedi» (Rm 16,20). E il profeta Geremia parlando della stessa Gerusalemme, che è nostra madre, dice: «Il nemico ha messo le sue mani su tutte le sue cose desiderabili. I re della terra non credevano che il nemico entrasse per le porte di Gerusalemme. Il Signore ha distrutto il suo altare, consegnato le mura delle sue torri nelle mani del nemico» (Lam 1,10; 4,12; 2,7).

E bisogna sapere che questo nemico che ha regnato sopra le genti e sopra tutti gli uomini, così come prima è stato detto, non solo è chiamato diavolo e Satana, ma anche, secondo il senso delle Sante Scritture, è chiamato re Assur, il quale divorò il popolo di Dio e abbatté colui che sedeva in alto e i principi del popolo, ha conquistato e ha sparso il suo terrore nella terra dei viventi; i cedri non erano più alti di lui nel paradiso di Dio. Egli fu invidiato da tutti gli alberi che erano nel paradiso di Dio; egli fu re del popolo di Dio, poiché essi non si volevano convertire. Dal quale il Signore promette che libererà il suo popolo e che la città sarà tolta al violento e ciò che è stato conquistato sarà salvato dal violento. E il Signore libererà il suo popolo dalle mani del più forte, come dice il profeta Geremia: «Israele, gregge disperso, i leoni gli hanno dato la caccia; Assur lo ha divorato per primo» (Ger 50,17). E il Signore dice per bocca del profeta Isaia: «Io passerò sul frutto del cuore orgoglioso del re Assur e sopra la gloria dell’altezza sua. Poiché egli dice: ho agito con la forza della mia mano e ho compreso con la mia sapienza, ho rimosso i confini dei popoli e ho depredato i loro principi e abbattuto chi stava in alto e la mia mano ha scovato come in un nido la ricchezza dei popoli» (Is 10,12-14). E il Signore dice attraverso il profeta Ezechiele: «Ecco Assur come cedro del Libano; acque lo nutrirono e l’abisso lo ha innalzato; i cedri nel paradiso di Dio non erano più alti di lui; tutti gli alberi di delizia che erano nel paradiso lo invidiavano» (Ez 31,3-4.8-9). E ancora: «Ecco Assur e tutta la sua moltitudine e tutti uccisi, caduti di spada, essi che seminavano il terrore nella terra dei viventi» (Ez 32,22-23). E il Signore, parlando del suo popolo, dice attraverso il profeta Osea: «E Assur è il suo re perché non vogliono convertirsi» (Os 11,5). E il profeta Michea dice: «E il Signore ci libererà da Assur quando verrà nella nostra terra e quando metterà piede nei nostri confini» (Mi 5,6). E il Signore dice attraverso il profeta Isaia: «Dunque sarà tolta la preda al violento e ciò che era stato preso sarà salvato» (Is 49,24). Sicuramente la città sarà tolta al violento e ciò che era stato preso dal violento sarà salvato. E lo Spirito Santo, parlando attraverso il profeta Geremia, dice: «Le genti ascoltino la parola del Signore: il Signore redimerà Giacobbe e il Signore lo libererà dalla mano del più forte; e verranno e lo adoreranno sul monte di Sion e correranno insieme verso i beni del Signore e il mio popolo sarà ricolmo dei miei beni. Questo dice il Signore» (Ger 31,10-12.14).

Perciò il popolo di Dio, confidando e sperando nelle promesse del Signore dette più sopra e nelle altre, poiché ancora molti di loro sono tenuti prigionieri del laccio del diavolo, «della sua volontà» (2Tm 2,26), così come mostra san Paolo, grida al Santo Padre di giorno e di notte, dicendo: «liberaci dal male» (Mt 6,13).

 

Poiché tuo è il regno

Con questo regno intendiamo lo spirito del primo formato e inoltre l’insieme degli spiriti sottomessi a lui; del quale regno le quattro bestie, cioè i quattro regni che si dovevano innalzare dalla terra, erano depositarie e detentrici nei secoli dei secoli, così come mostra il profeta Daniele, dicendo: «Queste quattro bestie potenti sono quattro regni che si leveranno insieme dalla terra; e riceveranno il regno del Santo Dio altissimo e lo possederanno nei secoli dei secoli» (Dn 7,17-18).

Ma il benedetto regno del nostro padre Davide del quale abbiamo parlato sopra, cioè il nostro Signore Gesù Cristo, «andato in una lontana regione, per ricevere il regno e ritornare» (Lc 19,12), così come è scritto nel Vangelo, ha redento il regno di cui si è detto sopra con il proprio sangue e ha reso quel regno, un regno al suo Dio, così come questo regno, rendendo grazie[20], mostra nell’Apocalisse, dicendo: «O Signore, tu sei degno di ricevere il libro e aprire i suoi sigilli: poiché tu sei stato ucciso, ci hai redenti con il tuo sangue da ogni tribù, lingua, popolo e nazione e ci hai resi regno e sacerdoti davanti al nostro Dio e regneremo sopra la terra» (Ap 5,9-10). Ma sopra questo regno lo stesso Gesù Cristo si deve assidere, dopo che lo avrà consegnato a Dio e al Padre perché lo confermi e lo conforti nel giudizio e nella giustizia da ora e per sempre, così come è detto più sopra. Perciò quello spirito reso regno davanti al suo Dio[21], così come è stato detto prima, lo prega che lo liberi dal male perché gli appartiene. Per la qual cosa il salmista che ne è capo, pregando il suo Dio, dice: «Io ti appartengo, salvami; poiché io ho cercato le tue giustificazioni» (Sal 118,94). E ancora: «Io sono il tuo servo, donami la capacità di comprendere i tuoi comandamenti» (Sal 118,125). E l’Apostolo dice ai Romani: «Nessuno di voi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso; perché se noi viviamo, viviamo per il Signore e se moriamo, moriamo nel Signore. Quindi, sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rm 14,7-8)[22]. E nel libro della Sapienza è scritto: «Ma tu, il nostro Dio, sei soave e veritiero e governi tutte le cose secondo misericordia; poiché se noi pecchiamo siamo tuoi, conoscendo la tua potenza, e se non pecchiamo, sappiamo che noi siamo contati presso di te» (Sap 15,1-2).

 

E la potenza

Con questa potenza noi intendiamo la vita del primo formato, il quale appartiene al Signore, e le altre vite sottoposte a lui. Ma bisogna sapere che la potenza del salmista, del quale noi intendiamo che è lo spirito del primo formato, cioè la sua vita, lo ha abbandonato, così come il salmista mostra, dicendo: «Il mio cuore è turbato, la mia potenza mi ha abbandonato» (Sal 37,11). Infatti quella potenza, cioè la vita, si è ammalata perché lo spirito si è distaccato e si è seccata, così come mostra il salmista, dicendo: «La mia potenza si è infiacchita nella povertà» (Sal 30,11). Anche la potenza della nostra madre si è indebolita, così come mostra attraverso il profeta Geremia, dicendo: «La mia potenza è fiaccata; il Signore mi ha consegnata nelle mani da cui non potrò rialzarmi» (Lam 1,14).

 

E la gloria

Questa gloria è quella del Padre nostro che è nei cieli. Intendiamo con questa gloria l’anima del nostro padre Davide e anche le anime dei suoi figli. Perciò dice il Signore attraverso il profeta Ezechiele: «Ecco: tutte le anime sono mie; come l’anima del padre anche l’anima del figlio è mia» (Ez 18,4). Ma il salmista, parlando di questa gloria che è la sua anima, dice: «Io canterò e mi rallegrerò nella mia gloria» (Sal 107,2). E poiché lui voleva cantare e rallegrarsi nella sua gloria, gridò a lei dicendo: «Alzati, gloria mia, alzatevi, arpa e cetra» (Sal 56,9). Ma quella gloria, rispondendo, dice: «Io mi leverò al far del mattino» (Sal 56,9). Per la qual cosa lo stesso profeta, aiutato dal suo Dio e rallegrandosi, grida a lui dicendo: «Tu hai convertito per me il mio pianto in gioia; hai lacerato il mio sacco e mi hai circondato di allegrezza, affinché la mia gloria possa cantare a te» (Sal 29,12-13).

Perciò queste tre sostanze, cioè il regno, la potenza e la gloria, cioè lo spirito, la vita e l’anima, sono del Santo Padre nei secoli, cioè nei padri, cioè nelle visitazioni: poiché le visitazioni sono chiamate secoli, cioè padri, poiché esse sono padri degli spiriti. Delle quali dice il salmista, parlando in persona degli spiriti: «O Dio, noi abbiamo sentito con i nostri orecchi; i nostri padri annunciarono a noi l’opera che tu hai fatto ai loro giorni e nei giorni antichi» (Sal 43,2). E ancora dice: «I nostri padri hanno sperato in te e tu li hai liberati, a te hanno gridato e sono stati salvati, in te hanno sperato e non sono stati confusi» (Sal 21,5-6). Inoltre intendiamo che le carità sono secoli dei secoli, cioè padri dei padri, cioè delle visitazioni; perciò san Giovanni dice nell’Apocalisse: «Benedizione, splendore e sapienza, grazia, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 7,12); cioè nelle carità che sono padri delle visitazioni, le quali visita-zioni sono padri di Amen, secondo quello che noi intendiamo. Ed è lo spirito del primo formato che è chiamato Amen, così come mostra san Giovanni nell’Apocalisse: «E si compiangeranno sopra di lui tutte le tribù della terra, anche Amen[23]» (Ap 1,7). Poiché questo Amen farà il suo pianto sopra di lui con tutte le tribù della terra[24], perché per i suoi peccati nostro Signore Gesù Cristo subì la passione e la morte in modo da prevalere, attraverso la morte, su quello che aveva il governo della morte, cioè il diavolo, così come dice l’Apostolo agli Ebrei: «E per liberare quelli che, per timore della morte, erano condannati per tutta la loro vita alla schiavitù» (Eb 2,15).

Sia grazia su tutti i fedeli che sono in Gesù Cristo. Amen.

 

 

Abbreviazioni

 

B]  Anne Brenon, in René Nelli, Écritures cathares. Nouvelle édition actualisée et augmentée par A. B., Monaco 1995, pp. 289-321.

W. E]  Walter L. Wakefield - Austin P. Evans, Heresies of the High Middle Ages, 2a ed., New York - Oxford 1991, pp. 607-630.

Z]  Francesco Zambon, La cena segreta. Trattati e rituali catari, Milano 1997, pp. 366-398.

 

Note

 

[1]  G.: «e al cal el conversant habitava en la terra», p. 83. D’accordo con B. («et vers lequel il se tournait quand il habitait la terre», p. 291) piuttosto che con W. E. («and, sustaining Himself in Him, dwelt on earth», p. 608) e Z. («e nel quale egli viveva quando abitava sulla terra», p. 368).

[2]  G.: «E es a-saber que, aisicom lo Saint Paire es al cels e lo Fill, aisi es en tot nos», p. 83. W. E.: «It should be understood that just as the Holy Father is in the heavens, so the Son is in all of us», p. 608; B.: «Ainsi le Fils n’est pas seulement dans le Père, mais en chacun de nous», p. 291; Z.: «E bisogna sapere che, come il Padre santo è nei cieli, così il Figlio è in tutti noi», p. 368. Propongo un diversa interpretazione dopo avere modificato la punteggiatura di Venckeleer. Infatti il versetto biblico citato subito dopo (Ef 4,6) spiega che Dio Padre è in tutti noi, mentre solo nel capoverso successivo si dirà che anche il Figlio è in tutti noi.

[3]  G.: «lo ric Fill de Dio», p. 84. W. E.: «the powerful Son of God», p. 609; B.: «le puissant Fils de Dieu», p. 292; Z.: «il potente Figlio di Dio», p. 369. Il problema che sta sotto al termine ric è complesso e interessante allo stesso tempo, per cui riporto il commento di E. Norelli ai versetti 8,7-8 della Visione di Isaia, in cui, dopo avere sottolineato che a differenza delle altre versioni (etiopica, slava ecc.) solo quella latina (L2) offre la variante dives, lo studioso aggiunge: «L2  ha invece solo dives filius Dei. Vaillant menziona la possibilità di una cattiva lettura imovityi, il ricco, per imenityi, che parlerebbe per una dipendenza di L2 da S [versione slava], ma propone piuttosto una corruzione di una forma abbreviata di Deus et Filius Dei. Se la corruzione si è verificata nella tradizione latina, dev’essere antica, perché compare in una glossa catara al Padre Nostro, redatta in un dialetto del Delfinato e databile probabilmente agli anni 1225-1240, in cui è citata la frase seguente dalla visione di Isaia (8,7): ‹Aici ja no est trohn ni li angel senestre, mas de la vertu del seten ciel an ordinament; aqui ont es lo ric fill de Dio, e tuit li cel›. Questo testo corrisponde letteralmente a quello di 8,7 in L2» Id., Ascensio Isaiae. II. Commentarius, CCSA 8, Turnhout 1995, p. 430. La dipendenza del termine ric dal latino dives mi sembra un valido motivo per concludere che la traduzione più fedele è ricco e non potente.

[4]  G.: «deisendent del Paire dels lumes, ço es de las caritas», p. 84. W. E.: «coming down from the Father of lights, meaning the Father of the charities», p. 609; B.: «du Père des lumières, c’est-à-dire des charités», p. 292; Z.: «dal Padre delle luci, cioè dalle carità», p. 369. Poichè già nella prima parte del Commento al Padre nostro si dichiara che Dio «è Padre delle luci, cioè delle carità», mi trovo d’accordo con W. E. e B.

[5]  G.: «per ço lo primer Moyses dis», p. 85. W. E.: «thus the first Moses says», p. 610; B.: «c’est pourquoi Moïse dit le premier», p. 294; Z.: «perciò Mosè per primo dice», p. 371. Per comprendere il significato della espressione, che come è possibile notare dal confronto delle traduzioni qui considerate, risulta piuttosto ambigua, è innanzitutto necessario osservare che la locuzione primus Moses dicit è già presente in Rm 10,19, in cui san Paolo fa riferimento al passaggio di Dt 32,21. Inoltre da una ricerca elettronica nel database della Patrologia Latina del Migne condotta sugli autori latini medioevali, risulta che l’occorrenza primus Moyses dixit/dicit/ait è presente venti volte, delle quali tredici sono una semplice citazione di Rm 10,19 e sette riguardano vari passi del Deuteronomio. Da questa indagine si può ricavare che la formula primus Moses dixit/dicit/ait non era sconosciuta nel Medioevo, legittimata dall’applicazione paolina a un capitolo del Deuteronomio; da qui l’uso della tradizione medioevale di legarla a tale libro dell’A.T. Considerando però che la presente glossa è un testo cataro, è anche necessario tenere in debita considerazione quanto scriveva Durando d’Osca nel suo Liber Antiheresis circa le credenze dei catari. Nella versione madrilena dell’opera abbiamo la seguente versione: «Set forte dicent heretici alium esse Moisen, unde Paulus ait: ‹Primus Moises dicit», con qualche variazione rispetto a quella parigina: «Set forte dicent aliqui: Non dicit de illo Moise, qui populum israeliticum duxit in desertum, qui virga percussit mare rubrum, quando mortui sunt egiptii, set de alio. Putant enim alium esse Moysen» (K.-V. Selge, Der Liber Antiheresis des Durandus von Osca, Berlin 1967, pp. 183, 230). Inoltre anche Moneta da Cremona testimoniava che «qui duo principia ponunt, omnia duplicia faciunt, et ideo duos Moyses ponunt» (Adversus Catharos, p. 179). Anche nel Liber Suprastella si pone sulle labbra di un cataro la seguente affermazione: «dico enim duos Moyses unum bonum et alterum malum a principio fuisse, sed tu non probasti nisi de bono, quod autem duo Moyses sint, audi Apostolum ad Romanos .X. dicentem: primus Moyses dicit et cetera, sed ex quo primus, ergo secundus, ergo sunt duo» Liber Suprastella, pp. 200-201. Infine anche nella Somma attribuita a Pietro da Verona troviamo l’esplicito riferimento a un Mosè celeste e a uno terreno (cfr. Käppeli, Une Somme contre les hérétiques..., cit., p. 322). Alcuni gruppi catari, quindi, mediante una interpretazione strettamente letterale di una formula attestata nel N.T. e nella letteratura ecclesiastica, fondavano la loro credenza circa uno sdoppiamento della figura di Mosè. Da parte mia credo che anche nella glossa si debba riconoscere un accenno a tale credenza, per cui concordo con la traduzione di W. E.

[6]  Cfr. nota precedente.

[7]  G.: «e ha sios liams», p. 87. W. E.: «And he [Jacob] has his own bonds, his cords», p. 612; B.: «et elle a ses liens», p. 296; Z.: «E <Giacobbe> ha i suoi vincoli», p. 373. In realtà qui il soggetto è la carità che ha sotto di sé le cordicelle-carità attraverso le quali attira lo spirito, per cui concordo con B.

[8]  G.: «Mais de questas cordetas, ço es de las visitanças las cals eran caytes en la heredita del Dio de Israel», p. 87. W. E.: «of those cords, the visitations which had fallen in the inheritance of God of Israel», p. 612; B.: «Mais de ces cordelettes, c’est-à-dire des visitations, qui étaient échues en héritage au Dieu d’Israël», p. 296 ; Z.: «Di queste cordicelle, cioè delle visitazioni che erano toccate in eredità al Dio di Israele», p. 373. L’eredità di Dio, come asserito poco prima nella glossa, non corrisponde alle visitazioni ma a Israele stesso, per cui con la presente espressione si vuole dire che le visitazioni cadono come cordicelle in Israele, che è l’eredità di Dio. Per questo motivo concordo con W. E.

[9]  G.: «es fill de David, lo cal es Fill de Dio», p. 88. W. E.: «is the son of David, who is the Son of God», p. 612; B.: «est fils de David, qui lui-même est Fils de Dieu», p. 297; Z.: «è figlio di Davide, il quale è Figlio di Dio», p. 374. Le presenti traduzioni sembrano interpretare il testo come se dicesse che Davide è Figlio di Dio. In realtà nella glossa sono presenti due regni: uno è quello degli spiriti, e l’altro, inviato per salvare il primo, è il regno sempre identificato con nostro Signore Gesù Cristo, figlio di Davide e Figlio di Dio (esattamente come nel Rituale latino: «Per regno di Dio si intende Cristo, come Cristo dice nel Vangelo: ‹Ecco, il regno di Dio è fra di voi›. O anche, per regno di Dio si può intendere il popolo di Dio che sarà salvato, come se fosse detto: fa’ uscire, Signore, il tuo popolo dalla terra del nemico» p. 316). Per tale motivo intendo che l’espressione lo cal es Fill de Dio sia riferita al regno - Gesù Cristo - figlio di Davide, non a Davide stesso.

[10]  G.: «aisicom el dis», p. 89. W. E.: «even as He says», p. 613; B.: «comme [David] le dit», p. 298; Z: «come dice <Davide>», p. 375. È vero che la citazione successiva è tratta da un salmo di Davide, ma il soggetto della frase è il regno, cioè Gesù Cristo, a cui è riferito anche tutto il periodo successivo, per cui concordo con W. E.

[11]  G.: «Lo regne desobre dit de lo nostre paire David, ço es a-saber lo nostre Segnor Yesu Christ», p. 90. W. E.: «The kingdom mentioned above by our father David, that is, our Lord Jesus Christ», p. 615; B.: «Le règne dont parle ci-dessus notre père David, c’est-à-dire Notre Seigneur Jésus-Christ», p. 300; Z.: «Il regno sopra nominato del nostro padre Davide, cioè del nostro Signore Gesù Cristo», p. 377. Per la discussione di questo passaggio cfr. nota 9.

[12]  G.: «Mas en cal maniera aquest beneit regne del nostre paire David, ço es lo Fill de Dio», p. 91. W. E.: «But the way in which this blessed kingdom of our father David, which is the Son of God», p. 615; B.: «Mais de quelle manière viendra ce royaume béni de notre père David, c’est-à-dire le Fils de Dieu», p. 301; Z.: «Ora, in quale modo verrà il regno benedetto di nostro padre Davide, cioè del Figlio di Dio», p. 378. Per la discussione di questo passaggio cfr. nota 9.

[13]  G.: «intre son ficadas al limon de la terra», p. 95. W. E.: «I stick fast in the mire of the earth», p. 619; B.: «elles sont entremêlées au limon de la terre», p. 306; Z.: «sono mescolate al limo della terra», p. 383. Seguendo la Vulgata («infixus sum in limo profundi») concordo con W.-E.

[14]  G.: «a quel David e lo poble perfar, consodar e confermar», p. 95. W. E.: «to David and the people, to perfect, to strengthen, and to establish», p. 619; B.: «à ce David, pour parfaire, conforter et confirmer son peuple», p. 306; Z.: «a questo Davide, per perfezionare, rafforzare e confermare il suo popolo», p. 383. Sono d’accordo con   W. E. in quanto dal contesto risulta chiaramente che il Figlio e il dono della carità sono inviati a Davide e al suo popolo.

[15]  G.: «un poc sufre», p. 95. W. E.: «after a little suffering», p. 619; B.: «a souffert un peu», p. 306; Z.: «ha sofferto un poco», p. 383. Osserva A. Brenon che «le texte cité est assez incohérent par rapport à celui de la Vulgate (… qui vocavit nos… modicum passos: qui nous a appelés après que nous eussions un peu souffert); on peut par contre le rapprocher du texte du Nouveau Testament cathare de Lyon (Mas Deus de tota gracia, loqual nos apelec… u pauquet sufretz, el mezeis perfara…), dont la mauvaise graphie, sufretz pour sufrentz, sans doute copiée et recopiée dans d’autres Bibles cathares, peut être à l’origine de la mauvaise interprétion de notre auteur», pp. 306-307, nota 3. A questa ipotesi si può però obiettare che la variante passus al posto di passos è attestata anche in altri codici antichi perfettamente ortodossi (cfr. apparato critico in R. Weber, R. Gryson (a cura di), Biblia Sacra Vulgata, Stuttgart 19944, p. 1869). Inoltre, a differenza delle altre traduzioni riportate, ritengo che qui il termine sufre abbia lo stesso significato che in altri passaggi della glossa in cui assume la valenza di sopportare, pazientare,  piuttosto che di soffrire.

[16]  G.: «ço es en aquest <dia>», p. 96. W. E.: «that is, in Him», p. 619; B.: «c’est-à-dire en celui-ci», p. 307; Z.: «ossia in colui», p. 384. Con l’integrazione di dia ipotizzata nella nuova edizione, la mia traduzione si discosta dalle altre.

[17]  G.: «pequei al cel», p. 97. W. E.: «I have sinned against heaven», p. 621; B.: «j’ai péché au ciel», p. 308; Z.: «ho peccato contro il cielo», p. 385. Per giustificare la diversa traduzione, riporto le considerazioni da me presentate in un precedente studio sulla glossa di Dublino: «Il testo della citazione biblica nel ms. 269 è il seguente: ‹Paire, pequei al cel denant tu›. Solitamente nelle diverse traduzioni si esprime il concetto di avere peccato contro il cielo, ma è possibile interpretare il testo occitanico anche nel senso di avere peccato nel cielo. Se, infatti, il testo latino della Vulgata recita ‹peccavi in celum›, cioè ‹ho peccato contro il cielo›, nel testo occitanico si presenta la possibilità di una duplice traduzione: contro o in cielo. Ricordiamo allora come Durando d’Osca si scagliasse proprio contro l’interpretazione catara di tale versetto, ponendo in evidenza il senso corretto della locuzione latina: ‹Non tamen dixit: peccavi in celo, sed in celum. Non enim significat peccasse in loco, sed: peccavi in celum, id est contra celum, id est contra omnes sanctos malum exemplum prebendo» Riparelli, Origine e dottrina della glossa catara..., cit., pp. 287-288, nota 116. Anche Moneta da Cremona dopo avere riportato il passaggio di Lc 15 notava: «Per hunc autem Filium adolescentiorem intelligunt creaturas iam dictas, vel aliquam illarum quae dicit: peccavi in caelum, et coram te. Et ita volunt quod aliquando fuerit in caelo» Adversus Catharos, p. 46. Recentemente anche lo studioso F. Zambon ha adottato la traduzione «ho peccato in cielo» (cfr. Id., (cfr. Id., «L’interpretazione delle parabole evangeliche nella dottrina catara», in Eretici del Garda. La Chiesa catara di Desenzano del Garda. Atti del convegno (Desenzano del Garda, 2 aprile 2005), a cura di L. Flöss, Macerata 2005, p. 65)., p. 65).

[18]  G.: «fo tenpta per totas cosas per senblança», p. 99. W. E.: «was tempted by the semblance of all things», p. 623; B.: «fut-il tenté en toutes choses par semblance», p. 311; Z.: «fu tentato in tutte le cose secondo apparenza», p. 388. Nota A. Brenon: «L’auteur, comme celui de la Bible cathare de Lyon, traduit ici le latin similitudine de la Vulgate ou de la Vieille Latine, par l’occitan semblança, nuance de sens qui indique dans la version catholique que le Christ fut tenté à notre ressemblance (pour nous ressembler) et dans la version cathare qu’il fut tenté en apparence, sans qu’il y ait possibilité de péché (il était inconcevable pour un chrétien cathare que le Christ pût être dans l’éventualité de succomber à la tentation)», p. 311, nota 1. Nella mia traduzione mi sono invece attenuto al valore di somiglianza del termine semblança, che possiamo anche trovare nel versetto della Lettera agli Ebrei citato più avanti. Inoltre nella glossa si dichiara che proprio perché Cristo ha subìto la tentazione può aiutare coloro che sono stati tentati: risulterebbe contraddittorio perciò sostenere che Cristo è stato tentato solo in apparenza.

[19]  G.: «que nostre Segnor sufre alcuna vota tentar», p. 100. W. E.: «that our Lord sometimes suffered temptation», p. 623; B.: «que le Seigneur souffre quelquefois qu’on soit tenté», p. 312; Z.: «che nostro Signore qualche volta sopporta di essere tentato», p. 389. Non si tratta della tentazione subita da Cristo, ma di quella che Dio permette che il popolo subisca, come si dirà più avanti nella glossa quando viene spiegato il significato delle tentazioni da parte di Dio, per cui la mia traduzione si avvicina a quella di B. Se può creare problema il fatto che il soggetto dell’azione è nostre Segnor, il che farebbe propendere per Cristo, è sufficiente notare come anche in altri passi del commento tale locuzione venga riferita anche a Dio Padre.

[20]  G.: «aisicom aquest regne, fazent gracias», p. 104. Conseguentemente alla sostituzione di grans dell’edizione del Venckeleer con gracias della nuova edizione, anche la mia traduzione si discosta dalle altre prese in considerazione.

[21]  G.: «aquel sperit fait regne al sio Dio», p. 104. W. E.: «those spirits make a kingdom for their God», p. 628; B.: «cet esprit a fait un royaume à son Dieu», p. 318; Z.: «questo spirito ha fatto un regno per il suo Dio» p. 396. Poco prima nella glossa si era detto che Cristo aveva «reso quel regno, un regno al suo Dio», e qui viene ribadito lo stesso concetto.

[22]  Una parte del versetto paolino manca nell’edizione del Venckeleer e di conseguenza anche nelle traduzioni prese in considerazione.

[23]  G.: «neis Amen», p. 106. W. E.: «Even so. Amen», p. 630; B.: «oui, Amen», p. 320; Z.: «sì, Amen», p. 398. In questa sezione conclusiva del commento cataro la formula Amen viene identificata con lo spirito del primo formato, per cui ritengo che tale ipostatizzazione, legittimata già da Ap 3,14 («Così parla l’Amen, il Testimone fedele e verace»), debba essere riconosciuta anche nella citazione di questo passo dell’Apocalisse.

[24]  G.: «Car aquest Amen fara lo sio plaint sobre luy ab totz los lignages de la terra», p. 106. W. E.: «For this Amen will be bewailed by all the tribes of earth», p. 630; B.: «Cet Amen se lamentera en effet sur lui-même avec tous les lignages de la terre», p. 320; Z.: «Questo Amen gemerà infatti su se stesso con tutte le stirpi della terra», p. 398. Da parte mia ritengo che il luy su cui Amen piangerà non sia lo stesso Amen ma bensì Cristo, come si comprende dal contesto del versetto di Ap 1,7 e come si può ricavare dall’affermazione successiva della glossa, secondo cui a causa dei peccati di Amen Cristo ha subìto la passione e la morte.


 Rialto