Testi: Canello
1883, Toja 1960, Perugi 1978, Eusebi 1995 (X), Perugi 1996. – Rialto 20.v.2008.
Mss: A 39v, B 28, C 202v, D 53v, E 61, G 73, H 12, I 66, K 51, M 143v, N2
2v, Q 39, R 27, S 184, Sg 94v, U 29, V 25, Ve.Ag I f. Lxxv, a 106, c 40, Mc 3
e 289, g’ 90, g’’ 202.
Edizioni critiche: Ugo Angelo Canello, La vita e le opere del trovatore
Arnaldo Daniello, edizione critica corredata delle varianti di tutti
i manoscritti, di un’introduzione storico-letteraria e di versione, note,
rimario e glossario, Halle 1883, p.118 (XVIII); Karl Bartsch, Chrestomathie
provençale (Xe-XVe
siècles). Sixième édition entièrement refondue par Eduard Koschwitz, Marburg
1904, col. 150; René Lavaud, Les poésies d’Arnaut Daniel, réédition
critique d’après Canello avec traduction française et notes, Toulouse 1910
(ristampa anastatica Genève, Slatkine, 1973), p. 111 (XVIII); Arnaut Daniel,
Canzoni, edizione critica, studio introduttivo, commento e traduzione a cura
di Gianluigi Toja, Firenze 1960, p. 373 (XVIII); Maurizio Perugi, Le canzoni
di Arnaut Daniel, Milano-Napoli 1978, II, p. 619 (XVIII); James J. Whilhelm,
The Poetry of Arnaut Daniel, edited and translated, New York - London
1981, p. 2 (I); Mario Eusebi, «Lettura sinottica (con una congettura) della
tradizione della sestina di Arnaut Daniel», Cultura neolatina, 42,
1982, pp. 181-199; Arnaut Daniel, L’aur’amara, a cura di Mario Eusebi,
Parma 19952, p. 154 (XVIII); Maurizio
Perugi, «Per una nuova edizione critica della
sestina di Arnaut Daniel», Anticomoderno, 2, 1996, pp. 21-39.
Altre edizioni: François Just-Marie Raynouard, Choix des
poésies originales des troubadours, 6 voll., Paris 1818, vol.
II, p. 222; Carl August F. Mahn, Die Werke der Troubadours,
4 voll., Berlin 1846, vol. II, p. 70 (testo Raynouard); Carl Appel,
Provenzalische Chrestomathie mit Abriss der Formenlehre und Glossar,
Leipzig 1895, p. 67; Ernesto Monaci, Poesie in lingua d’oc e in lingua d’oïl
allegate da Dante nel “De Vulgari Eloquentia”, premesso il testo delle
allegazioni dantesche, Roma 1909, p. 18 (testo Canello); Erhard Lommatzsch,
Provenzalisches Liederbuch. Lieder der Troubadours mit einer
Auswahl biograph. Zeugnisse, Nachdichtungen und Singweisen
zusammengestellt, Berlin 1917, p. 111; Vincenzo Crescini, Manuale
per l’avviamento agli studi provenzali, Milano 1926, p. 204 (testo Canello,
tranne al v. 12 dove si preferisce quello di Lavaud); Alfons Serra-Baldó, Els
trobadors. Text provençal i versió catalana, Barcelona 1934, p. 132 (testo
Canello); Gianluigi Toja, Trovatori di Provenza e d’Italia, Parma 1965,
p. 193 (testo Toja); Aurelio Roncaglia, Antologia delle letterature d’oc e
d’oïl, Milano 1973, p. 334 (testo Toja); Martín de Riquer, Los
trovadores. Historia literaria y textos, 3 voll., Barcelona 1975, II, p. 643
(testo Toja); Linda M. Paterson, Troubadours and Eloquence, Oxford 1975,
p. 193; Roberto Antonelli, Le origini, Firenze 1978, p. 199 (testo
Canello, con ritocchi); Pierre Bec, Anthologie des troubadours, Paris
1979, p. 190 (testo Toja); Giuseppe E. Sansone, La poesia dell’antica
Provenza. Testi e storia dei trovatori, 2 voll., Milano 1984, I, p. 280
(testo Perugi); Arnaut Daniel, Poesías, traducción, introducción y notas
por Martín de Riquer, Barcelona 1994, p. 91 (testo Eusebi, tranne la tornada).
Metrica: a7’ b10’ c10’ d10’ e10’ f10’ (Frank 864: 3). Sestina: sei coblas
singulars di sei versi e una tornada di tre; mots-refranh,
tutti estramps, al posto delle rime disposte secondo lo schema della
retrogradatio cruciata: 1. a b c d e f; 2. f a e b d c; 3. c f d a b e; 4. e
c b f a d; 5. d e a c f b; 6. b d f e c a. «Nella tornada sono riprese,
come di regola, le tre ultime parole-rima della stanza precedente, mentre le
prime tre sono collocate, nello stesso ordine, all’interno dei tre versi: (b) e
(d) c (f) a. La parola-rima al v. 31 andrebbe a rigore considerata derivativa»
(Costanzo Di Girolamo, I trovatori, Torino 1989, p. 233).
Melodia: Gennrich, n. 91.
Note
Un primo scoglio si riscontra ai vv. 12-13. Canello, leggendo con Bartsch a 12
nol sia prop («Accettiamo questa lezione, quale il Bartsch la ricompone
cogli elementi dati da BIC» [p. 263]), traduce: «tal paura ho di non esserle
vicino all’anima. Vicino al corpo le fossi, se non all’anima»
(p. 137); netto il dissenso di Lavaud («Les leçons que et trop ont
pour elles, outre l’autorité de AB, la majorité des mss.; si on les
adopte – ou même seulement la seconde (Appel), on doit faire rapporter arma
(les 2 fois) et cors au poète lui-même. Canello et, je pense, aussi
Bartsch et Koschw., rapportent ces expressions à la dame; le second vers prend
alors un sens bizarre: ‘puissé-je être près de son corps, non de son
âme’. Canello, il est vrai, trad. arbitrairement comme s’il y avait sinon»
[pp. 112-13]): «telle peur j’ai qu’à elle soit trop de mon âme. A
elle pût-il être trop de mon corps, et non de mon âme» (p. 113); dissente
da entrambi i suoi predecessori Toja («È illogico che il poeta tema che la sua
donna appartenga troppo alla sua anima. È vero l’opposto: che Arnaut, cioè, ha
timore che ciò non avvenga, e perciò, ne desidererebbe anche la vicinanza fisica
[…]. La sola lezione che dia senso è, perciò, quella di CMMcSSgUcg’g’’: tal
paor ai nol sia trop de l’arma, seguita anche dall’Appel […]» [p. 380]):
«tal paura ho di non esser abbastanza suo con tutta l’anima. Fossi suo col
corpo, non coll’anima» (p. 384); Perugi 1979 (nella sostanza confermato da
Perugi 1996) dà ragione a Lavaud («Per conto nostro il glossema dan
sembra dar ragione a Lav […]. È ovvio che es’arma, come aquest’arma
al v. 20, si riferisce all’anima del poeta […]» [p. 638]): «tale è la mia paura
che ne abbia abbastanza di quest’anima. Magari del corpo ne avesse abbastanza,
non dell’anima» (p. 630); mentre, invece, Eusebi torna a Canello e Bartsch:
«tale paura ho di non esserle vicino all’anima. Al corpo fossi vicino, non
all’anima». La nostra opinione è che la lunga scia di dissensi sia
stata innescata dal non aver colto il carattere pleonastico della negazione (per
cui cfr. BdT 194.18a, 27; BdT 305.3, 17-18; BdT 364.36, 8;
BdT 437.33, 3-4) nella lezione di CMSUVa, probabilmente originale,
rispetto alla quale quella, senza negazione, di ABDEGHIKN2Q è da
valutare forse come glossematica: con il corollario necessario di una
sostanziale unanimità della tradizione, quando si parta da SW 3 212, s.v.
eser, che registra la locuzione eser a “gehören” e si arrivi a
questo risultato: «tal paor ai no·l sia trop de l’anima. // Del cors li fos, non
de l’arma» (‘tale è la paura che ho di appartenerle (essere suo) troppo con
l’anima. Fossi suo col corpo, non con l’anima’).
Tutta da
ridiscutere è certamente la tornada; per illustrare le opinioni degli
editori precedenti a Perugi, ci avvarremo della sintesi critica di quest’ultimo:
«Tutto sommato, dunque, la critica precedente prospetta un testo unico […] e due
interpretazioni opposte.
La prima
è rappresentata dal Lav: “Arnaut envoie sa chanson sur l’ongle et l’oncle,
pour l’agrément de celle qui a l’âme inflexible de sa verge, à son
ami Désiré, dont la réputation en (toute) chambre entre”.
L’altra è
rappresentata, con divergenze abbastanza notevoli, da Ca e Toja. Ca traduce “col
permesso di colei che della sua verga ha l’anima, al suo Desiderato nella cui
stanza il Pregio ripara”: infatti “la donna designata nel v. 38 sarebbe una
confidente ed amica della donna amata, una mediatrice cortese fra il poeta e la
sua donna. E verga sarebbe allora da intendere per “padrona”, come
“scettro” per “regnante”; e la mediatrice che possedeva l’anima della dolce
signora d’Arnaldo era pregata di farle avere la studiata canzone”. Il Toja
riprende l’interpretazione canelliana, ma riveduta e corretta alla luce delle
obbiezioni mosse dal Lav: “Concludendo, il congedo della canzone è rivolto da
Arnaut alla sua inflessibile amata (Desirat) per conquistarla e farle
piacere (a grat de lieis), nella speranza di poter avere accesso nella
sua camera, dove per ora entra solo Madonna”; la sua traduzione suona “per il
piacere di lei che della sua verga ha l’anima al suo Desirato, la cui virtù in
camera entra”. Rifulge ancora una volta la tecnica contaminativi cui Toja appare
tanto affezionato […]». Perugi, a sua volta, sulle orme di Bartsch, considera
arma di 38 verbo, mentre opta, nel primo emistichio di 39, per la variante (desirar)
di ABN 2Sa, confermando nel secondo quella (cui prez) di ABGQ
adottata dalla vulgata, ma rinuncia a tradurre l’intero verso; lo stesso
editore, nel 1996, dopo aver posto due punti alla fine del v. 37, interverrà
proprio sul secondo emistichio del v. 39 («c’a pres de ch’ambra: intra»), ma
ancora una volta astenendosi da ogni traduzione e limitandosi a fornire le
seguenti indicazioni: «Ricordo che il ‘desiderio’ o voler personificato è
il protagonista di tutto il componimento: è lui che, sulla scorta di un motivo
lancillottiano, ha finalmente la possibilità di entrare in camera in luogo e in
rappresentanza del ‘corpo’ dell’autore. Ed anche nel congedo, se l’abbiamo ben
interpretato, il desirar – separato ormai dal proprio soggetto (cfr. vv.
29-30) – indugia ancora sulla soglia della camera: è soltanto per la propria
canzone che Arnaut chiede il permesso di entrare» (p. 30). Quasi temeraria la
proposta di Eusebi («Arnaut invia la sua canzone d’unghia e di zio a Gran Desio,
che della sua verga ha l’anima, canto contesto a graticcio che, appreso, in
camera entra»), che già nel 1982 veniva così giustificata: «Così il vero
soggetto dell’ingresso nella cambra, […] non sarà Desirat, né
tanto meno il suo pretz: vero soggetto è il cantar […]. Ma che
cosa nasconde allora desirat? Il participio passato di un verbo che
appartiene al vocabolario dell’edilizia: cledisar. […] Se si accetta
cledisat, tramet resta senza complemento di termine, complemento che
la locuzione avverbiale a grat de liei non riesce a surrogare. D’altra
parte la sede di questo complemento non può trovarsi che nel secondo verso della
tornada, e quindi si deve cercare sotto a grat de liei.
L’esperienza dei fraintendimenti per scambio di lettere e caduta di segni di
abbreviazione induce a ricostruire grant desiei, che è senhal che
conviene all’oggetto dell’ostinato desiderio che la sestina descrive» (pp.
182-83). Beatrice Barbiellini Amidei («L’immagine del desiderio e la metafora
feudale nella sestina di Arnaut Daniel», Cultura neolatina, 64, 2004,
pp. 443-473) ripropone l’ipotesi Bartsch-Perugi di arma verbo
pensando a una «‘metafora feudale’ secondo cui la donna armerebbe, investirebbe
l’amante del suo amore attraverso il passaggio della verga (“de sa verja
l’arma”)», ma crede accettabile anche l’altra ipotesi (quella della vulgata)
per «l’insistenza della sestina sulla figura simbolica del bastone-desiderio e
dell’aderire ad esso dell’amante-escorsa […], a patto che si privilegi
l’interpretazione «secondo la quale la donna possiede l’anima della verga in
quanto simbolo del desiderio, è l’anima del desiderio, per il quale Arnaut ha
usato la metafora della virga, del bastone» (p. 467).
Costanzo Di Girolamo («Past Participles with Active Meaning: An Interpretation
of Two Troubadour Passages (BdT 29.14, 39 and 293.25, 67)», Romance
Philology, 61, 2007, pp. 235-42), infine, rilancia, modificandola
sostanzialmente, l’idea centrale della proposta Eusebi («It is to Eusebi’s
credit to have seen in the song itself, in the son, the subject of the
final intra: only the song, memorized by the addressee, may enter the
chamber from which the lover is banned. The song is the ‘song of desire’. If
desirat is understood as a past participle with active meaning, ‘of desire,
desirous, full of desire’, then proof will be had of what all readers of the
sestina have always believed and of what Arnaut Daniel actually said»), e così
traduce: «Arnaut sends his song of nail and uncle for the pleasure of she who
possesses the soul of his rod, song of desire which, once learned, enters the
chamber» (p. 239).
Per cercare di
risolvere la difficile quaestio della tornada, bisognerebbe
stabilire due inderogabili punti fermi (1: arma vale ‘anima’ in tutte e
sei le strofi della sestina, e tale deve valere anche nella tornada; 2:
il verbo trametre, quando si riferisca a componimenti, messaggi, ecc. da
trasmettere a qualcuno, si incontra invariabilmente con l’indicazione del
destinatario), il cui accoglimento permetterebbe di comprendere senza troppa
fatica la centralità del problema che riguarda l’identificazione del
destinatario, come anche di capire che l’essersi appuntati ossessivamente, anche
se con scarsi risultati, sul primo emistichio del v. 39 (son desirat/desirar),
per la sua localizzazione testuale ha finito per trasformare i versi finali
della sestina in un irresolubile rompicapo.
C’è poi la
locuzione del v. 38 a grat de (lieis), su cui forse varrebbe la pena
soffermarsi un po’. Essa, come si è visto, era stata da Canello tradotta «col
permesso di colei», ma la traduzione fu vigorosamente contestata da Lavaud: «je
crois qu’on a à faire ici à la préposition a marquant la destination
(“pour”; […]), bien distincte de ab, “avec”.
Arnaut
transmet son chant non pas avec la permission ou l’agrément, mais pour
l’agrément, en vue du plaisir et de l’approbation de celle qu’il aime, à son ami
Désiré» (p.115).
Il parere
dell’editore francese è passato, senza alcun vaglio critico, praticamente in
tutti gli studiosi successivi, con l’eccezione di Eusebi, che, però, come si è
detto, innova in modo ardimentoso il testo dei primi emistichi dei vv. 38-39. Ma
la locuzione significa veramente quello che pensa Lavaud? Il nostro parere è che
essa significhi più semplicemente, ma anche, come si vedrà, più congruamente
rispetto al contesto, ‘a grado di colei’, da intendersi, a norma del
Grande dizionario della lingua italiana, a cura di Salvatore Battaglia e Giorgio Bàrberi Squarotti, VI, Torino
1970, s.v. grado2,
al num. 5, «conforme ai suoi desideri, alla sua volontà, alle sue inclinazioni»
(cfr.
Frede Jensen,
The Syntax of Medieval Occitan, Tübingen 1986, § 958).
D’altra parte lo stesso significato si riscontra non solo nell’unica
altra volta che ricorre la locuzione, cioè in Pons de la Garda, Mandat m’es
que no·m recreia [BdT 377.4] 1-7: «Mandat m’es que no·m recreia / de cantar
ni de solatz; / e quar plus soven no fatz / chansos, m’o tenon a mal / sill a
cui chans e deportz abelis; / et a grat de sos amis / deu hom far, com que l’en
prenda» (István Frank, «Pons de La Guardia, troubadour catalan du XIIIe siècle»,
Boletín de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona, 22, 1949, pp.
229-327, a p. 300), ma anche nelle occorrenze della sua variante formata da a
+ agg. poss. + grat: cfr. Arnaut Catalan, Amors, ricx fora s’ieu vis
(BdT 27.3) 13-16: «Be volgra tan l’abelhis / mos estars qu’elha·m sufris
/ qu’ieu ia de lieys no·m partis / e qu’a son grat la servis» («Ben vorrei che
tanto le piacesse il mio comportamento ch’ella mi permettesse ch’io mai mi
separassi da lei e che, a suo grado, la servissi»: Ferruccio Blasi, Le poesie
del trovatore Arnaut Catalan: introduzione, testi, traduzioni, note, Firenze
1937, pp. 4 e 6) e Peire Cardenal, Qui volra sirventes auzir (BdT
335.47) 61-64: «Carles Martels los sap tenir, / mas aquest rei conoisson fat /
que·l fan far del tot a lur grat / e so qu’il degr’onrar aunir» («Carlo Martello
li seppe tenere a freno, ma questo re conoscono per incapace, ché del tutto lo
fanno agire a loro grado, e gli fanno disprezzare ciò che dovrebbe onorare»:
Sergio Vatteroni, «Le poesie di Peire Cardenal I», Studi mediolatini e
volgari, 36, 1990, pp. 73-259, alle pp. 159-61). Ritornando alla tornada,
questa la nostra proposta complessiva: « Arnaut tramet son cantar d’ongl’e
d’oncle, / a grat de lieis, qui de sa verj’a l’arma: / son desirat, qu’apres,
dins chambra intra» (‘Arnaut invia la sua canzone di unghia e di zio, come da
suo desiderio, a colei che con la sua verga [ne] possiede l’anima: canto
desiderato, che, una volta appreso, entrerà nella camera’). A supporto di questa
lettura si possono allegare i vv. 41-45 di Peirol, Be·m cujava que no chantes
oguan (BdT 366.4) («Dampnatge m’es quar no suy poderos / de lieys
vezer, que ten mon cor en guatge, / et estau sai, don totas mas chansos / tramet
ades, quar las vol, per uzatge / a Tot-mi-plaz, la belha d’aut paratge»), in cui
va rilevata non solo la impressionante prossimità della situazione poetica
presentata a quella della tornada (impossibilità di approcciare la donna
amata, invio a lei di canzone o canzoni, su sua espressa richiesta, e loro
funzione vicaria), ma anche e direi soprattutto l’identica (alla tornada)
successione degli elementi tematici e si direbbe perfino sintattici, con
l’incidentale che evoca la volontà della dama in entrambi i luoghi incastonata
tra il tramet e la destinataria. Per de sa verj(a) cfr.
Bartolomeo Zorzi, En tal dezir mos cors intra (BdT 74.4) 4: «e cil
qu’o fer ab l’amoroza verja» (E. Levy [ed.], Der Troubadour Bertolome Zorzi,
Halle 1883, p. 68), dove il complemento di strumento è l’esatta trasposizione di
quello arnaldiano; ma per l’immagine della verga-desiderio l’archetipo va forse
individuato in Raimbaut d’Aurenga, Er resplan la flors enversa (BdT
389.16) 30-32: « vostre bel uelh mi son giscle / que·m castion si·l cor ab joi /
qu’ieu non aus aver talan croi» (ed. Milone, rialto.unina.it). D’altra parte
l’arma non necessita di ulteriore specificazione perché riprende l’identico
sintagma in rima dei vv. 12 e 13.
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BdT
Arnaut Daniel
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