I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
I. Quando all’inizio beltà mi ha fatto entrare in potere d’amore mi sarei aspettato, se voleva davvero impossessarsi del mio cuore, che mi avrebbe tratto di pena; se la mia signora – che non mi soccorre, né le piace prestarmi attenzione e rispondermi – mi lasciava, come fa, languire, mi sarei proposto di sottrarmi ad amore.
II. E invece mi succede come al marinaio, quando si è spinto in alto mare, nella speranza di trovare il tempo che più desidera e cerca, e quando si trova in mare profondo, mal tempo e fiero la nave inonda tanto che al pericolo non può scampare, e non può né restare né fuggire.
III. Parimenti, per mia leggerezza, mi sono avventurato in alto amare, nella speranza di avere gioia preziosa dalla gaia, incantevole persona della mia signora, che è bella e bionda, casta e da ogni difetto monda, salvo da questo: che è impossibile che esca da fiero amore chi in lei si rimiri.
IV. Per lei, tanto ne ho gran desiderio, mi sono arrestato al più gran faro d’amore, e non posso governare se non con timone d’affanno, che ho così grande da ritenere che mi distrugga, a tal punto desidero la più gioiosa del mondo, che è la più gentile che si possa ammirare, per quanto si può e si sa discernere.
V. Vermiglio come fiore di rosaio ha il colorito, senza trucco, e splendente il suo sguardo, con cui sa guardare così finemente da colpire il cuore prima del corpo, donde nasce amore ardente; e non ha intenzione di sottrarsi al colpo, colui che lo riceve, perché lei sa ferire così gentilmente che non se ne vuole guarire.
VI. Re Giacomo, tanto in voi abbonda fine pregio, che vi fa, con il vostro valore senza macchia, essere benaccetto a Dio e agli uomini, tanto sapete fare e dire cose piacevoli.
VII. Conte di Rodes, ne sparli chi vuole, voi tenete corte piacevole e gioiosa, ma la mia più gentile teme tanto di compromettersi che con me non vi si vuole incontrare.
13. «mar prionda» è variante di «auta mar», dove il marinaio si trova esposto alle tempeste («fera mar prionda» in Bernart de Ventadorn, BdT 70.26, v. 39); in Cadenet è il luogo in cui «la naus non a poder de far son dreg viatge» (BdT 106.18a, vv. 1-2).
21. L’unica altra occorrenza di «bela e blonda» è in Cadenet, Plus que la naus qu’es en la mar prionda, BdT 106.18a, v. 25: «sobre totas es gaia, bella, blonda».
22. «casta e monda» («monda de peccat» in Guillem Rainol d’At, Auzir cugei lo chant e·l crit e·l glat, BdT 231.1, v. 11), è sintagma senza altri riscontri.
26-27. L’immagine della donna amata come il maggior «faro d’amore» dal quale non ci si può allontanare se non a prezzo di grande affanno, è assolutamente insolita nella poesia trobadorica. L’unico altro esempio di far ’faro’ è, forse anche qui in senso figurato, in Domna que va ves Valensa (BdT 461.96) dove il termine è riferito al faro di Messina ma anche al porto della felicità (René Lavaud, Poésies complètes du troubadour Peire Cardenal (1180-1278), Toulouse 1957, pp. 28-29).
37. L’unica altra occorrenza del lemma dezironda è in Bernart de Venzac, BdT 71.1a, al v. 45 (S’ie·us er’oi del plait far desironda).
41. La lezione di C («Reys darago») provocherebbe ipermetria in sede che è certamente eptasillabica. La scelta del segmento corrispondente di R («rey iacmes») è qui, pertanto, obbligata, ovviamente con l’aggiunta del segnacaso.
Edizione e traduzione: Giuseppe Tavani 2004, con modifiche; note: Giuseppe Tavani. – Rialto 26.xii.2007.
C 323r, R 98r.
Edizioni critiche: Franz Eichelkraut, Der Troubadour Folquet de Lunel, Berlin 1872 (rist. anast. Gèneve 1975), pp. 13 (I); Federica Bianchi, BdT 154.5, Rialto 2003; Giuseppe Tavani, Folquet de Lunel, Le poesie e il Romanzo della vita mondana, Alessandria 2004, p. 30.
Metrica: a8 b8 b8 a8 c7’ c8’ d8 d8 (Frank 577:235). Cinque strofe unissonanti di otto versi più due tornadas di quattro versi.
Canzone. – Il paragone tra il marinaio che si avventura in alto mare alla ricerca di condizioni a lui favorevoli, ma che al contrario si espone a gravi pericoli per il sopravvenire del maltempo, e l’innamorato che osa aspirare ad un alto amore e che diviene preda dell’indifferenza della signora, si ritrova, che io sappia, solo in Peire Espagnol (Entre que·m pas e·m vauc per ombr’escura, BdT 342.3) che nella quarta strofa mette in relazione il nauchiers il quale, «quan vey lo temps clar | … ·s cocha e corr tro qu’es en auta mar, | pueys vens torbatz ve·l per dezaventura» e «selh que troba d’amor voluntados» che amore «fa… corre vas sas preysos» dove «fa·lh manhs turmens sufrir». È questo l’unico altro esempio di un riferimento all’auta mar (variante di mar prionda, v. 13) come luogo di pericolo analogo a quello dell’aut amar. In Folquet la comparazione si avvale tuttavia anche del sapiente gioco retorico istituito, nel secondo verso delle strofe II e III, dal parallelismo tra i segmenti finali: auta mar / aut amar. Sul tema della nave che si avventura in mare aperto esponendosi alle tempeste, presente nella poesia occitanica in quanto fonte di Ausiàs March, cfr. Robert Archer, The pervasive Image. The Role of Analogy in the Poetry of Ausiàs March, Amsterdam-Philadelphia 1985, pp. 39-42.