I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
7. Domna de plazensa: mentre parte della critica interpretava “Plazensa” come toponimo (e stampava dunque con la maiuscola), Boni, Sordello, sottolinea la plausibilità della locuzione “de plazensa” per ‘piacente’. L’editore non esclude tuttavia la possibilità di un gioco di parole, così come Folena, Tradizione e cultura trobadorica (p. 67).
37. L’espressione “far o desfaire” torna, riferita al potere della donna sul suo amante, nello scambio di coblas fra Blacatz e Falquet de Romans (BdT 97.2; vv. 6-7: «q’ela·m pot desfaire / e se·s vol refaire») e nell’epistola Domna, eu preing comjat de vos (tràdita da c con attribuzione a Falquet de Romans, da G con attribuzione a Pons de Capdoill e da LN anonima; v. 34: «vos me podez far e desfar»). La locuzione compare anche in altri componimenti, ma in contesti totalmente differenti (Peire Cardenal BdT 461.16 v. 40, Raimbaut de Vaqueiras BdT 392.21 v. 9, Cerveri de Girona BdT 434a.35 v. 31) e in una canzone di Daude de Pradas, a significare la totale dipendenza dell’amante dal volere della donna (BdT 124.9a, v. 34).
40. L’espressione morir viven torna in un piccolo corpus di testi per lo più di argomento amoroso e viene riutilizzata dallo stesso Sordel nella tenzone con Guillem Montaignagol (BdT 225.14, v. 15).
Edizione: Marco Boni 1954; note: Elisa Guadagnini. – Rialto 6.iv.2005.
C 265r.
Edizioni critiche: Cesare De Lollis, Vita e poesie di Sordello, Halle 1896, p. 196; Giulio Bertoni, I trovatori d’Italia, Modena 1915, p. 295; Sordello, le poesie, Nuova edizione critica con studio introduttivo, traduzioni, note e glossario a cura di Marco Boni, Bologna 1954, p. 3; James J. Wilhelm, The Poetry of Sordello, edited and translated, New York - London 1987, p. 2.
Altre edizioni: Gianluigi Toja, Trovatori di Provenza e d’Italia, Parma 1965, p.237 (testo Boni); Martín de Riquer, Los trovadores. Historia literaria y textos, Barcelona 1975, vol. III, p. 1461 (testo Boni); Giuseppe E. Sansone, La poesia dell’antica Provenza. Testi e storia dei trovatori, Parma 1984, p. 602 (testo Boni); Emilio Faccioli, Sordello da Goito, a cura di R. Signorini, Mantova 1994, p. 71 (testo Boni).
Metrica: a7’ b7 a7’ b7 a7’ b7 a7’ b7 c7 c7 (Frank 239:03). Cinque coblas singulars di otto settenari con refrain di due settenari. Questo schema metrico è condiviso da una canzone di Guiraut Riquer (BdT 248.65) e una canzone mariana di Peire Cardenal (BdT 335.70), oltre che da un sirventese di Bertran d’Alamanon (BdT 76.15) privo però di refrain. John H. Marshall, «Imitation of Metrical Form in Peire Cardenal», Romance Philology, 32, 1978-79, pp. 18-48 reputa possibile soltanto per Bertran un rapporto di derivazione, considerandolo invece molto improbabile per Cardenal (p. 30), come invece vorrebbe Riquer, Los trovadores (p. 1461). Sulla forma metrica si veda inoltre la BEdT, che segnala l’analogia, in campo oitanico, con il metro MW 735. La presenza del refrain ha fatto sì che parte della critica considerasse il testo una dansa, come – pur registrandolo fra le canzoni – segnala lo stesso Frank. Sposa decisamente questa ipotesi Riquer, Los trovadores, che definisce Ailas una “dansa con refranh de tipo popular” (p. 1461), mentre Gianfranco Folena, Tradizione e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete (ora in Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, pp. 1-137), nota che il refrain «dà al componimento un’aria quasi di ballata, pur mancando la ripresa e ogni collegamento del ritornello con la stanza». La tesi di un’origine popolare del ritornello, riproposta come si è detto da Riquer, si deve a Bertoni, I trovatori (p. 536) e ha goduto di un qualche favore: viene però negata da Boni, Sordello e da Folena, Tradizione e cultura trobadorica, che ne rimarca il «tono squisitamente letterario» (p. 67). Aurelio Roncaglia, recensione all’edizione Boni, Cultura neolatina, 14, 1954, pp. 233-243, a p. 241 confronta il refrain con i vv. 501-502 del Cligès di Chrétien de Troyes («Et que m’ont donc forfet mi oeil / s’il esgardent ce que je vueil?»).
Il testo non presenta elementi datanti. Boni, Sordello, sostiene probabile la composizione in Provenza. Di diverso avviso Folena, Tradizione e cultura trobadorica: a p. 67 scrive che Ailas è «l’unica canzone d’amore che potrebbe essere forse assegnata alla giovinezza italiana», parte della produzione “cortese” di Sordello, in prossimità del partimen con Guilhem de la Tor. Secondo lo studioso, potrebbe riportare all’Italia la presenza del ritornello, forse mutuata dal sirventese di Peire de la Cavarana (BdT 334.1): va notata tuttavia la ricca produzione di dansas situabile oltralpe.